Nel 59 d.C. Nerone compì ventun anni e per festeggiare il rito della prima rasatura istituì a Roma un nuovo evento: gli Juvenalia (giochi della Gioventù).
In molti ammirarono il giovane imperatore tagliarsi la barba, quindi riporla in uno scrigno d’oro ornato di perle e consacrarla nel tempio di Giove Capitolino.
Furono poi rappresentate delle opere teatrali in cui si esibirono uomini e donne di alto rango e di ogni età.
Vedere i romani dei ceti aristocratici impegnati in uno spettacolo suscitò grande scalpore: all’epoca la recitazione non godeva di buona fama. Il pubblico dovette senz’altro rimanere a bocca aperta quando Elia Catella uscì per danzare. Non solo era ricca e di nobile famiglia, ma aveva anche ottant’anni.
Il culmine della cerimonia fu però quando lo stesso Nerone salì sul palco abbigliato da suonatore di cetra. «Signori, chiedo la vostra attenzione», esordì prima di mettersi a cantare accompagnandosi con la musica, sotto gli sguardi attenti dei suoi soldati e degli spettatori seduti ai loro posti.
Un gruppo di prestanti giovanotti istruiti in precedenza dallo stesso Nerone iniziò ad applaudire, e ben presto il resto del pubblico si unì all’ovazione: «Bellissimo Cesare, Apollo, Augusto! Nessuno potrà sconfiggerti!», gridavano.
Nerone continuò a intrattenere generosamente i suoi ascoltatori. Più tardi, in serata, la festa proseguì sulle barche ormeggiate in un grande lago artificiale accanto al Tevere. Nei dintorni erano state allestite delle capanne e delle taverne, e l’imperatore si preoccupò di distribuire denaro a tutti.
Il senatore Tacito, i cui Annali sono un’importante fonte di notizie sul regno di Nerone, inorridiva. «Poi scandali e infamie dilagarono e, pur nella corruzione morale di quel tempo, nessuna accozzaglia di persone, più di quella, riuscì a diffondere altrettante perversioni».
Ma chi era veramente l’imperatore Nerone? Scopriamolo insieme.
1. Un’eterna cattiva fama ma generoso con la plebe
Molti storici moderni hanno accolto la valutazione negativa che Tacito diede di Nerone; tuttavia negli ultimi anni si sono aperte nuove prospettive.
Gli spettacoli di massa dell’epoca, a cui assistevano migliaia di persone, sono sempre più spesso interpretati come essenziali per la stabilità politica della Roma imperiale.
I giochi rappresentavano il modo in cui l’imperatore comunicava con la popolazione di una megalopoli potenzialmente ingovernabile.
Le enormi spese affrontate da Nerone per intrattenimenti di questo tipo servivano a dimostrare la sua preoccupazione per la gente. E la gente, che amava quel genere di emozioni, lo ricambiava con una gratitudine entusiasta.
Visto da questa prospettiva, l’istrionico Nerone non era tanto un tiranno folle, quanto un politico astuto e particolarmente dotato per le pubbliche relazioni. È vero però che nel tentativo di rendere ogni spettacolo più impressionante di quello precedente finì per non prestare attenzione ad altre realtà, con risultati nefasti.
Pochi imperatori romani seppero organizzare giochi come quelli di Nerone, e nessuno eguagliò la sua capacità di suscitare scalpore. Nel 59 per esempio allestì una serie di spettacoli di grande creatività.
Svetonio descrive una scena particolarmente memorabile: «Nel corso delle rappresentazioni [...] un cavaliere romano, seduto su un elefante, discese lungo una corda».
Nerone fece anche mettere in scena un’antica opera teatrale di Lucio Afranio intitolata Incendium, in cui c’era un’autentica casa in fiamme sul palcoscenico. Il pubblico osservò affascinato gli attori che cercavano di strappare al fuoco l’arredamento dell’abitazione, che per l’occasione avevano ricevuto il permesso di portarsi a casa.
In occasione di questi eventi la gente riceveva doni d’ogni tipo: grano, vestiti, oro, argento, pietre preziose, perle, dipinti, schiavi, cavalli e altre bestie da soma, e persino animali selvatici addestrati. Nerone lanciava ai presenti delle palline recanti un’iscrizione, e chi riusciva ad afferrarne una riceveva in dono l’oggetto indicato su di essa.
Già prima di Nerone altri politici avevano investito denaro per intrattenere il popolo romano. Anche nei periodi più austeri della repubblica i magistrati avevano l’obbligo di organizzare spettacoli teatrali e corse di carri.
Se moriva qualche personaggio insigne, la famiglia allestiva in suo onore dei giochi funebri con combattimenti di gladiatori. L’apprezzamento di cui godeva Giulio Cesare era dovuto anche allo splendore dei suoi spettacoli, e il figlio adottivo Ottaviano ne seguì le orme.
Dichiara quest’ultimo nella sua autobiografia: «In ventisei occasioni ho offerto alla gente [...] cacce di animali selvatici africani, in cui ne sono stati uccisi circa 3.500 esemplari».
Allo stesso modo, finanziare spettacoli di splendore ed esotismo inediti permise a un imperatore giovane e inesperto come Nerone di ottenere rapidamente il sostegno popolare. Ma c’era qualcosa che lo distingueva dagli altri governanti. Non amava solo organizzare giochi: voleva anche parteciparvi come cantore e persino come auriga.
L’imperatore adorava entrambe le attività. Da bambino era appassionato di cavalli e parlava in continuazione delle corse. Da imperatore giocava spesso a un gioco da tavolo con delle bighe d’avorio ed era un assiduo frequentatore del circo. Finché un giorno decise addirittura che avrebbe imparato a condurre un carro.
2. Idolo delle masse
In età adulta riacquistò anche il suo antico interesse per la musica e fece venire a corte Terpno, il miglior suonatore di cetra dell’epoca, che ascoltava fino a notte fonda.
L’imperatore iniziò a esercitarsi con serietà e dedizione. Fece vari tentativi di rafforzare la sua voce, debole per natura, come per esempio respirare disteso supino con una lastra di piombo sul petto.
Nerone era molto esigente con sé stesso. Nel 67, ormai verso la fine del suo regno, fece un viaggio in Grecia alquanto propagandato, nel corso del quale partecipò anche ai giochi olimpici.
Fu protagonista di una corsa di carri a dieci cavalli, durante la quale fu sbalzato dal cocchio in corsa. Nonostante il fisico corpulento risalì a bordo, ma non riuscì a portare a termine la gara. I giudici gli assegnarono comunque l’alloro della vittoria.
Nerone interpretò anche ruoli drammatici molto impegnativi, come quello di Edipo o di Ercole. Si racconta che un giovane soldato vide a teatro l’imperatore vestito di stracci e incatenato, come richiesto dal suo ruolo, e corse ad aiutarlo.
Questo aneddoto è probabilmente apocrifo ma è indicativo dell’amore di Nerone per le arti sceniche. Per quanto i suoi interessi fossero genuini, parte di ciò che lo spingeva a competere era il desiderio – che poteva raggiungere la compulsione – di essere al centro dell’interesse pubblico.
Il suo ruolo politico gli permetteva di ricevere già molte attenzioni, tuttavia come imperatore-attore riusciva a ottenerne ancora di più. Nell’antica Roma gli artisti erano vere e proprie celebrità.
Sotto il regno di Claudio, il predecessore di Nerone, un bellissimo ballerino, mimo e attore di nome Mnestere divenne il grande mito della città per il suo modo di danzare sinuoso e le battute spiritose che rivolgeva al pubblico.
La moglie di Claudio, Messalina, s’innamorò perdutamente di lui e lo tenne gelosamente lontano dal teatro. Allora i romani protestarono reclamando di sapere dove fosse il loro beniamino: Mnestere apparteneva alla gente, non all’imperatrice.
Nel suo ruolo d’imperatore-attore, anche Nerone creò un legame unico e forte con il popolo di Roma. Ai Neronia (i giochi da lui istituti a imitazione delle Olimpiadi) si limitò inizialmente a recitare una poesia. Ma il pubblico gli chiese di più.
Così lui tornò sul palco, cantò e posò un ginocchio a terra in attesa del verdetto dei giudici. Tutti gli spettatori lo acclamarono con fervore, tranne – ricorda Tacito con sarcasmo – alcuni visitatori non abituati al clima frivolo della città.
Nerone e il suo pubblico si esaltavano a vicenda, e il fatto che questo potesse offendere qualche sconosciuto non faceva che rafforzare il loro legame. Grazie alla loro capacità di riunirsi in grandi assembramenti per applaudire, fischiare o avanzare richieste, le masse di Roma avevano un autentico potere politico.
Di fatto era stata la plebe a favorire l’ascesa di Nerone al trono. Nei giochi organizzati dall’imperatore Claudio nel 47 il giovane Nerone fu acclamato ben più del figlio biologico di Claudio, Britannico. Poco tempo dopo, Claudio sposò Agrippina e adottò Nerone.
Nella foto sotto, il Campidoglio. Il tempio di Giove, raffigurato nell’incisione, fu bruciato subito dopo la morte di Nerone e ricostruito sotto Domiziano. Musée d’Orsay, Parigi.
3. L’arte della diceria
Gli imperatori investivano molte risorse nei giochi perché questi erano una valvola di sfogo per il popolo.
Ma né i giochi né le occasionali distribuzioni di denaro o di altri beni erano sufficienti a garantire il sostegno della plebe.
Nel 59 furono in molti a rimanere sconvolti dalla notizia che Nerone aveva ucciso la madre Agrippina, e ben presto la città si riempì d’iscrizioni che lo accusavano esplicitamente del crimine.
Un popolare comico cantò il verso «Addio, padre. Addio, madre» facendo i gesti di bere e nuotare, in allusione alle voci secondo cui l’imperatore aveva avvelenato Claudio e tentato di annegare Agrippina. Gli splendidi giochi che Nerone organizzò quello stesso anno avevano probabilmente lo scopo di distogliere l’attenzione dal matricidio.
L’imperatore fece anche divulgare una lunga lista di presunti misfatti commessi da Agrippina, come il tentativo di annullare una distribuzione di denaro al popolo che lui stesso aveva organizzato. Le false accuse e i capri espiatori erano per Nerone uno strumento di pubbliche relazioni.
Ci furono diffuse proteste anche quando l’irrequieto sovrano allontanò la moglie Ottavia per sposare l’affascinante Poppea. Il popolo compativa quella donna giovane e innocente e non credeva che fosse andata a letto con un flautista di Alessandria.
Con l’aiuto di Poppea, Nerone convinse un liberto che era a capo della flotta di marina e si era occupato dell’esecuzione di Agrippina a denunciare Ottavia in cambio di un lussuoso vitalizio.
Quindi l’imperatore accusò pubblicamente la donna non solo di aver avuto una relazione con l’ufficiale, ma anche di avere tentato di attaccare Roma con la flotta, lasciando intendere che la città avrebbe potuto subire delle interruzioni alla fornitura di grano.
Non è chiaro se questo fu sufficiente a placare le proteste, ma Nerone si affrettò a eliminare Ottavia per assicurarsi che non ci fossero manifestazioni a favore di un suo ritorno a Roma.
Qui sotto, il palazzo di Nerone. Il complesso della Domus Aurea era formato da un grande stagno centrale (su cui Vespasiano avrebbe costruito il Colosseo), da un vestibolo con un portico, da un ninfeo (sulla sinistra dell’immagine) e dal padiglione dell’Oppio, l’area privata dell’imperatore Nerone.
4. L’incendio di Roma
L’evento più conosciuto del regno di Nerone fu il devastante incendio del 64 che si protrasse per nove giorni, distruggendo completamente tre delle quattordici zone di Roma e danneggiandone in modo grave altre sette.
Migliaia di persone persero la casa. Nerone, che al momento dell’inizio della tragedia era fuori città, vi ritornò immediatamente e gestì la crisi relativamente bene.
Fece costruire dei rifugi d’emergenza per coloro che non avevano più un tetto, mettendo a disposizione anche i propri giardini, e organizzò la distribuzione di viveri.
Ma si sparse la voce che durante l’incendio, ispirato dalle fiamme, avesse preso la cetra e si fosse messo a cantare della leggendaria caduta di Troia, bruciata dagli achei al momento del loro ingresso in città.
Qualcuno sosteneva persino che fosse stato lui ad appiccare il fuoco per poter edificare una nuova città e chiamarla con il suo nome. Nerone rispose a queste congetture con una sua teoria. Incolpò dell’incendio la nascente comunità cristiana di Roma.
Riuscì a estorcere delle false confessioni e a far pronunciare una sentenza di condanna. Fedele alla sua fama, l’imperatore organizzò una crudele punizione pubblica per i presunti piromani.
Alcuni furono ricoperti di pelli di animali selvatici e fatti sbranare da cani feroci, mentre altri furono crocifissi oppure arsi vivi come delle torce, per servire da illuminazione notturna al calare della notte. Nel frattempo Nerone partecipava a corse di carri e si faceva vedere in giro per la città in tenuta da auriga.
Tacito racconta che il supplizio dei cristiani suscitò una certa compassione, ma è plausibile che il processo e le condanne aiutarono Nerone a riconquistare popolarità. Un anno più tardi, ai Neronia, il pubblico scandiva il suo nome invitandolo a cantare.
I romani continuarono a partecipare con entusiasmo ai grandi eventi che seguirono, come il favoloso ricevimento per il re armeno Tiridate o la parata trionfale per il ritorno dell’imperatore dalla Grecia.
Nella foto sotto, Le torce di Nerone. Olio di Henryk Siemiradzki, 1876, Museo Nazionale, Cracovia. Secondo lo storico Tacito, dopo l’incendio di Roma del 64 Nerone fece arrestare i membri della nascente comunità cristiana e ne ordinò la crudele esecuzione nei giardini imperiali: «Venivano crocifissi oppure arsi vivi in guisa di torce, per servire da illuminazione notturna al calare della notte».
5. Ormai alle strette
Anche se Nerone aveva superato momenti critici come il grande incendio, la sua ossessione per il teatro finì per essergli fatale.
Nel 68, di fronte alla notizia di un grande sollevamento in Gallia volto a rovesciarlo, si offese soprattutto perché il capo dei ribelli lo aveva tacciato di suonare male la cetra.
L’imperatore non diede sufficiente peso alla minaccia e preferì dedicarsi a provare organi idraulici per i suoi spettacoli, a comporre canti che denunciavano i rivoltosi e a travestire le sue concubine da amazzoni.
Importanti settori di Roma iniziarono a voltargli le spalle: prima la guardia pretoriana, poi il senato e infine il popolo stesso. Nerone pensò d’invocare pubblicamente aiuto, ma era troppo spaventato per farlo e preferì ritirarsi in una villa alla periferia di Roma.
Lì, con l’aiuto del suo segretario, Epafrodito, si suicidò pugnalandosi alla gola. Secondo Svetonio, prima di esalare l’ultimo respiro esclamò: «Che grande artista muore con me!». Dopo la sua scomparsa non si celebrarono più i Neronia, ma i suoi spettacoli ebbero comunque un impatto duraturo.
Alcuni dei successori investirono ingenti somme per imitare il suo esempio, ma nessuno partecipò personalmente alle corse dei carri o si esibì in canti. Domiziano ripristinò le competizioni atletiche in stile greco e fece costruire delle splendide strutture dove realizzarle.
Piazza Navona conserva ancora la forma del nuovo stadio da lui voluto. Una ventina d’anni più tardi Traiano festeggiò le sue vittorie in Dacia con 123 giorni di giochi in cui furono uccisi 11mila animali, selvatici e domestici, e diecimila gladiatori si sfidarono tra loro.
Per una strana ma felice coincidenza è stato proprio un film su Nerone a dare inizio, al termine della Seconda guerra mondiale, all’età dell’oro del cinema sull’antica Roma.
Quo Vadis – una produzione milionaria del 1951 che si distingueva per le imponenti ricostruzioni dei Neronia e del grande incendio, oltre che per una memorabile interpretazione di Peter Ustinov – fu un autentico successo di pubblico. Dopo vennero La tunica, Ben Hur,
Spartacus e Cleopatra, con le grandi star e le imprescindibili fiumane di comparse. Gli eroi più in vista di Quo Vadis sono il rude comandante romano Marco Vinicio (interpretato da Robert Taylor) e Licia (l’attrice Deborah Kerr), la cristiana di cui questi s’innamora.
Ma è il Nerone di Ustinov a essere sempre al centro della scena e ad attirare su di sé l’attenzione degli spettatori. Proprio come lo stesso imperatore avrebbe voluto.
Sotto, La fine dell’imperatore. Accerchiato dai suoi rivali, Nerone si uccise in una villa alla periferia di Roma. Quest’olio di Vasili S. Smirnov mostra il corpo dell’imperatore. Museo di stato russo, San Pietroburgo.