Nucleare mai più, aveva auspicato mezzo mondo dopo l’incidente dell’11 marzo 2011 alla centrale giapponese di Fukushima. Il timore del fantasma radioattivo aveva infatti indotto vari Paesi ad abbandonare gradualmente l’opzione atomica a favore delle energie rinnovabili.
La guerra in Ucraina e il conseguente razionamento del gas sembrano però destinati a cambiare le carte in tavola e l’atomo, pur con tutti i suoi difetti, sta tornando alla ribalta.
Infatti, in virtù della convinzione che le sole rinnovabili non saranno in grado di soddisfare la crescente domanda di elettricità a causa della loro produzione intermittente, il 6 luglio di quest’anno il Parlamento europeo ha stabilito, seppure in via transitoria, di inserire il nucleare all’interno della cosiddetta “tassonomia verde”: una lista di attività economiche, considerate sostenibili dal punto di vista ambientale, prevista dal Green Deal europeo come strumento fondamentale per guidare i governi e le imprese nelle loro scelte di sviluppo.
Ne consegue che sarà in particolare possibile fino al 2040 realizzare interventi di modifica e ammodernamento di impianti esistenti al fine di prolungarne la vita nonché investire in nuove centrali realizzate con le “migliori tecnologie disponibili” anche ai fini della produzione di idrogeno, con permessi di costruzione rilasciati entro il 2045.
Le nuove centrali saranno più sicure e produrranno meno scorie. È per questo che, complice la crisi russo-ucraina, lo scorso luglio il Parlamento europeo ha inserito il nucleare tra le attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale. Facciamo il punto sull’evoluzione degli impianti dal 1950 a oggi.
1. Geografia atomica
Oggi sono attivi quasi 450 reattori nucleari sparsi in tutti i continenti, secondo i dati dell’IAEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che si occupa dell’uso pacifico del nucleare.
I Paesi nei quali è concentrato il maggior numero di impianti sono gli Stati Uniti con 92 reattori, seguiti dalla Francia con 56, dalla Cina con 55 e dalla Russia con 37.
La Cina è anche impegnata nella realizzazione di 18 nuovi reattori, mentre l’India, che oggi ne conta 22, ne sta costruendo altri 6. Per quanto riguarda l’Unione europea, non tutti i Paesi hanno il nucleare: lo utilizzano per produrre energia 13 Stati membri su 27.
A favore dell’atomo sono i Paesi dell’Est, con la Polonia che ha appena deciso di costruire il suo primo reattore e con Bulgaria, Ungheria, Repubblica Ceca che stanno pensando di ampliare il loro parco nucleare.
Quanto alla Francia, la gestione dell’intero settore, dalle miniere di uranio alla costruzione e gestione delle centrali, rappresenta la più grande industria nazionale e occupa oltre 200mila persone.
Tuttavia, dall’autunno 2021 in poi, da “grande esportatore” di energia a basso costo il nostro vicino d’Oltralpe si è trasformato nel malato elettrico d’Europa. Metà dei suoi 56 reattori sono spenti, alcuni in attesa di rifornimento di combustibile nucleare, altri per manutenzione programmata avendo ormai raggiunto i 40 anni di teorica fine vita.
Deciso a sostenere il settore, nella sua ultima campagna elettorale il presidente Emmanuel Macron ha promesso, oltre al potenziamento di parchi eolici e solari, un investimento di 50 miliardi per costruire 6 nuove centrali della cosiddetta terza generazione.
Come per tutte le altre centrali in via di allestimento un po’ ovunque nel mondo si tratta di strutture destinate a garantire maggior sicurezza ed efficienza, ma sono molto complesse, richiedono lunghi tempi di costruzione e hanno costi esorbitanti. Per questo oggi si sta cercando di sviluppare una serie di reattori caratterizzati da tecnologie molto differenti da quelle attuali.
La ricerca su questa nuova famiglia di reattori è stata promossa dal Dipartimento per l’Energia degli USA che nel luglio 2001 ha istituito il GIF (Generation IV International Forum) al fine di sviluppare sistemi nucleari innovativi soprattutto per quanto riguarda sostenibilità, economicità e sicurezza.
2. Verso la quarta generazione
Seppure per il momento solo in fase sperimentale, i futuri reattori etichettati come “quarta generazione” sembrano destinati a rivoluzionare l’industria.
Uno dei problemi che si propongono risolvere è quello della produzione di scorie radioattive. In un processo di fissione si generano infatti diversi tipi di isotopi, alcuni dei quali riducono la loro radioattività in tempi abbastanza brevi, mente altri decadono su tempi lunghissimi e vanno stoccati in sicurezza.
Di grande interesse in proposito è l’iniziativa di un italiano: il fisico Stefano Buono (foto sotto), fondatore nel 2021 di NewCleo, startup con sede a Londra, centro di ricerca e sviluppo a Torino e una succursale in Francia.
In collaborazione con Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, lo scienziato punta alla realizzazione di reattori avanzati capaci di smaltire buona parte delle scorie radioattive create nei reattori tradizionali e reimmetterle nel ciclo di produzione dell’energia generando solo poche scorie residue.
Al suo progetto, che ha già raccolto finanziamenti per 400 milioni di euro, lavorano un centinaio di fisici e ingegneri. Nel futuro reattore sarà utilizzato un combustibile, il Mox, costituito da ossidi di plutonio e uranio impoverito: un sottoprodotto del processo di arricchimento dei reattori tradizionali che comporta notevoli costi di stoccaggio e smaltimento.
Grazie a questo combustibile “circolare” non sarà necessario ricorrere a ulteriori prospezioni minerarie. Alcuni calcoli indicano infatti che si potrebbe andare avanti per secoli semplicemente bruciando gli scarti prodotti dalle centrali atomiche negli ultimi settant’anni.
Per scongiurare il rischio che, evaporando l’acqua, resti scoperto il nocciolo facendolo surriscaldare, il reattore impiegherà come liquido di raffreddamento il piombo: sostanza che, nel caso di un aumento pericoloso della temperatura del nocciolo, porterebbe il reattore allo spegnimento automatico senza dispersione di pericolose radiazioni nell’ambiente.
3. Reattori piccoli ma efficienti
In vista di un traguardo tanto ambizioso alla NewCleo si stanno studiando i cosiddetti small modular reactor, macchine piccole e gestibili che saranno contenute in cilindri d’acciaio di appena 3,5 metri di larghezza e 5 di altezza.
Un pieno di combustibile, composto da 10 tonnellate di Mox, sarà in grado di produrre energia per 15 anni senza generare altre scorie longeve.
In questa apparecchiatura il calore raccolto dal flusso di piombo fuso viene portato a uno scambiatore che fa bollire dell’acqua. Questa si trasforma in vapore e va ad alimentare un normale generatore di elettricità.
La sicurezza del reattore è assicurata da sistemi passivi come la circolazione spontanea del fluido di raffreddamento, che quando è più caldo si sposta verso l’alto e quando è più freddo scende verso il basso chiudendo il ciclo.
Se la temperatura sale eccessivamente, la reazione nucleare rallenta automaticamente e il calore in eccesso si disperde da solo. Del resto, lo stesso piombo che avvolge il combustibile nucleare è un ottimo schermo per le radiazioni.
Un primo passo verso il nucleare del futuro sarà costituito dalla macchina in via di allestimento nel centro Enea del Brasimone, nell’Appennino tosco-emiliano.
Si tratta di un prototipo elettrico di reattore raffreddato al piombo senza l’uso di materiali radioattivi o combustibile nucleare che servirà solo per testare i vari componenti, la corrosione e i sistemi di controllo.
Obiettivo alquanto ambizioso di NewCleo sarà quindi la realizzazione, già fra sette anni, dei primi mini reattori da 30 Megawatt: una potenza bastante a rifornire 90.000 famiglie.
4. L’alternativa del torio
A cambiare per sempre il modo di ricavare energia dal nucleare potrebbe essere un reattore che utilizzi il torio invece di uranio.
Metallo debolmente radioattivo presente nella maggior parte delle rocce e dei terreni dove è circa 4 volte più abbondante dell’uranio, il torio è stato scoperto nel 1828 dal chimico svedese Jons Jacob Berzelius, che gli diede il nome dal dio scandinavo del tuono Thor.
A differenza dell’uranio non è un elemento fissile ma fertile. Ciò significa che non può essere utilizzato per generare una reazione di fissione a catena controllata, ma, irradiato in un reattore, assorbe neutroni e forma uranio-233, un materiale fissile che genera calore e può essere impiegato per produrre energia.
La proposta di creare un reattore al torio era stata avanzata nel 1990 dal fisico italiano e premio Nobel Carlo Rubbia, ma solo oggi si sta provando a realizzarlo davvero. A crederci è soprattutto la Cina, dove il torio è un sottoprodotto dell’industria mineraria delle terre rare ed è quindi un’alternativa attraente all’uranio che invece deve essere importato.
A Wuwei, nel deserto del Gobi, l’Istituto di Fisica Applicata di Shanghai, Sinap, sta sperimentando una macchina basata sull’utilizzo di torio liquido e sali fusi: una tecnologia in grado di ostacolare reazioni a catena incontrollate e rivoluzionare il problema della sicurezza spianando la strada per la costruzione di vere e proprie centrali utili a Pechino per raggiungere i suoi obiettivi climatici.
Oltre a produrre pochissime scorie, un reattore del genere non avrebbe bisogno di essere costruito vicino a laghi o fiumi perché, a differenza delle centrali convenzionali che necessitano di enormi quantità di acqua per raffreddarsi, usa come refrigerante gli stessi sali fusi.
Si calcola infine che a parità di peso la produzione energetica rispetto a un impianto alimentato a uranio sarebbe fino a 250 volte maggiore. Non è l’unico vantaggio: poiché dal torio non si estrae plutonio, sarebbe impossibile produrre ordigni nucleari.
5. Quattro generazioni di reattori in 70 anni
- I Generazione
Vi appartengono i primi prototipi di reattore costruiti tra gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso soprattutto per dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica di un impianto a fissione nucleare per la produzione di energia elettrica.
Dai reattori refrigerati a sodio fuso a quelli a gas-grafite, si basavano su design molto diversi fra loro, erano in generale poco efficienti e nella maggior parte dei casi ebbero una vita operativa breve.
- II Generazione
Comprende la maggior parte dei reattori costruiti a partire dagli anni ‘70. Molti di essi, pensati per funzionare una quarantina di anni, sono operativi ancora oggi.
I design più diffusi sono quelli ad acqua pressurizzata e quelli ad acqua bollente: nei primi, l’acqua del circuito di raffreddamento primario è mantenuta liquida grazie all’altissima pressione, ed è l’acqua del circuito secondario a trasformarsi in vapore e a far girare la turbina; nei secondi, invece, l’acqua del circuito primario va in ebollizione e il vapore va in turbina direttamente.
Veri mostri di efficienza erano i reattori sovietici ad acqua pesante RBMK, che presentavano però diversi problema di sicurezza, come ebbero modo di scoprire gli operatori della centrale di Chernobyl il 26 aprile 1986.
- III Generazione
Sviluppata tra la seconda metà degli anni ‘80 e i primi anni 2000, comprende quasi tutti i reattori oggi in costruzione nel mondo. È molto simile alla seconda per quanto riguarda le tipologie di reattori e i componenti di base, ma è dotata di sistemi di sicurezza all’avanguardia.
Si avvale infatti della cosiddetta sicurezza passiva che comporta l’attivazione automatica delle misure di emergenza quando i parametri di funzionamento del reattore escono dai valori prestabiliti.
Progettati per una vita operativa minima di 60 anni, per la maggior parte saranno in grado di operare per oltre un secolo.
- IV Generazione
Si propone di rendere il nucleare più flessibile e sostenibile attraverso un uso ottimale del materiale fissile e la massima riduzione delle scorie radioattive.
Le ricerche puntano in genere all’abbandono dell’acqua come refrigerante in favore di fluidi che consentano di operare a temperature più alte, quindi con rendimenti più alti, e a pressioni più basse, con combustibile riciclato e con composizioni chimiche del combustibile più efficienti.