Cosa sarebbe l’estate nel Sud Italia senza una delle più spettacolari piante del la flora mediterranea?
I suoi fiori dai colori solari da aprile a settembre decorano i maestosi cespugli o piccoli alberi, alti fino a 5 m (ma in casi eccezionali anche di più) e larghi altrettanto, che abbelliscono tutti, ma proprio tutti, i giardini da Firenze e da Ancona in giù.
L’oleandro (Nerium oleander) è una pianta tanto bella quanto adattabile e robusta, facilissima da coltivare (anche perché fa praticamente tutto da sola), longeva, sana e versatile.
In questo elogio dell’oleandro, un solo difetto oggettivo: è una specie velenosa, ma basta saperlo per prendere le nostre contromisure.
Oggi conosceremo l’oleandro, l’arbusto rustico e robusto che prospera in giardino e in vaso senza particolari cure, regalando corolle da aprile a settembre!
1. Dal Sud al Nord
Originario dell’Asia minore, e diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, l’oleandro è pianta spontanea nel Sud del nostro Paese, annidato lungo i corsi d’acqua (per esempio lungo il fiume Cassibile, in provincia di Siracusa), anche periodicamente in secca, e in luoghi sabbiosi umidi, dove fiorisce per circa 6 mesi l’anno.
Al Nord invece si è inselvatichito sulla riviera Ligure e presso il Lago di Garda, mentre altrove è coltivato per ornamento: il clima più freddo impedisce una fioritura superiore ai 4-5 mesi.
Non solo si è adattato al più rigido clima del Nord Italia (sebbene il riscaldamento globale ne abbia mitigato molto le punte di gelo), ma prospera perfino nelle aiuole spartitraffico delle autostrade del
Centro-Sud, incurante del traffico che scuote violentemente e di continuo le sue fronde elastiche, e del tutto insensibile all’inquinamento. E, sempre di più fiorisce anche sull’arco alpino, in vaso, da giugno a metà settembre: 3 mesi e mezzo di fiori impensabili sino alla fine del secolo scorso.
L’elegante oleandro, chiamato anche “mazza di S. Giuseppe” perché una leggenda dice che il falegname utilizzasse un bastone ricavato dal legno di questa pianta - i tronchi di esemplari maturi possono essere molto rigidi, a differenza dei rami giovani -, è apprezzato, appunto, per la fioritura: dalla primavera all’autunno appaiono i fiori, spesso profumati, portati in corimbi apicali.
Hanno corolla imbutiforme, semplice (che cade da sola a sfioritura) in natura, ma semidoppia o doppia (che appassisce sulla pianta) per creazione dei floricoltori, in colori che spaziano dal bianco puro o crema al giallo citrino o frittata, dal rosa pastello o corallo all’arancio salmone o albicocca, fino al rosso rosato, al rosso vino e al porpora.
Ne scaturiscono frutti (soprattutto dalle varietà a fiore semplice) che, in gergo botanico, si chiamano “follicoli” allungati: a maturità si aprono “arrotolando” le valve e mettendo a nudo i numerosi e piccoli semi, muniti di un ciuffo peloso che ne facilita la dispersione anemofila, cioè mediante il vento.
In coltivazione è sempre bene eliminare i frutti appena se ne nota il bottone di formazione, per non depauperare le risorse energetiche della pianta. Se però volessimo cimentarci nella riproduzione da seme, lasciamone andare uno a maturazione.
Ma è apprezzabile anche per il fogliame: è un arbusto vigoroso, riccamente ramificato, con foglie sempreverdi, lanceolate, strette, glabre, coriacee, opposte o verticillate.
Il colore è il verde, da tenero a cupo, ma uniforme, con l’eccezione delle varietà variegate di giallo, che sono più compatte e dalla crescita più lenta.
Il fogliame folto e persistente rende l’oleandro ideale come pianta da siepe: forma rapidamente una copertura fitta, presente anche d’inverno, che non richiede potature, anzi...
2. Meglio non potarlo
La potatura è sempre sconsigliata, innanzitutto perché, dovendola praticare in gennaio (in una giornata tiepida), impedisce all’esemplare di fiorire nella primavera-estate successiva: la produzione di bocci avviene infatti sui rami dell’anno precedente.
Inoltre il taglio dei rami robusti e vigoro si provoca un ricaccio di numerosi rametti deboli per ogni moncone, che danno un aspetto sgraziato e disordinato al soggetto e, soprattutto, indeboliscono ulteriormente la pianta senza portare a dense fioriture l’anno successivo: vanno comunque sfoltiti anch’essi man mano che si formano, nel corso della primavera-estate.
Dunque gli unici tagli da praticare sono quelli di rimonda, per eliminare rami secchi, spezzati o malati e quelli di svecchiamento.
Quando infatti un soggetto diventa maturo, i fusti vecchi produrranno sempre meno rametti nuovi e, di conseguenza, la fioritura negli anni successivi sarà sempre più striminzita.
L’esemplare va allora rinnovato tagliando un solo fusto vecchio per ogni inverno, fino a sostituirli tutti.
Procedendo con questa gradualità, la pianta non si squilibra e continua a fiorire, sebbene non tantissimo, sui rami pre cedenti, in attesa che i rami nuovi incomincino a loro volta a produrre corolle.
Come nella migliore tradizione delle piante ornamentali, l’oleandro è decorativo se lasciato crescere a cespuglio isolato, ma rende altrettanto in siepi o fasce, libere o contenute.
Non stona neppure come alberello: si lascia crescere il fusto principale staccando con l’unghia (non tagliare con il potatoio) nel con tempo i getti laterali; quando il fusto supera di 10 cm l’altezza voluta per il tronco, si reci de con il potatoio l’apice e si lasciano crescere i rami laterali, sopprimendo sistematicamente (strappandoli) tutti i polloni emessi dalle radici e dal fusto stesso.
3. In vaso al Nord
Da pianta adattabile qual è, riesce a vivere anche in vaso, dove può raggiungere i 2,5 m d’altezza, a patto di adattare le dimensioni del contenitore a quelle della pianta, fino ad avere un vaso quasi inamovibile.
Il contenitore deve essere in plastica (anche in terracotta nel Sud), di diametro min 30 cm per pianta alta 1 m, o una grande vasca da 100 x 40 x 50 h cm per due esemplari da 1,2 m d’altezza.
Si rinvasa ogni anno fino ai 10 anni, poi ogni 3 anni in un contenitore di una misura in più fino appunto alla massima sopportabile nel proprio spazio verde.
La coltivazione in vaso è la soluzione migliore per balconi e terrazzi del Nord Italia, sebbene fino alla Val Padana viva molto bene anche in piena terra, se posto in un punto riparato d’inverno.
Ricordiamoci che non tollera geli forti e prolungati: resiste solo fino a -8 °C, dopodiché i rami giovani si spaccano. Sulle Alpi va perciò protetto dai rigori invernali, spostandolo in serra fredda o in cantina non riscaldata; da aprile a ottobre deve invece stare all’aperto anche in montagna.
Sopporta la siccità (in piena terra) e resiste lungo le coste marine anche ai venti salsi, perfino in riva al mare. Infatti, sebbene prediliga terreni ricchi e freschi, vive anche in suoli sabbiosi, argillosi, poveri o aridi.
In vaso il substrato migliore è formato da torba, sabbia e terra da giardino in parti uguali; in mancanza basta una miscela di metà terriccio universale e metà per arbusti da giardino, con un ottimo drenaggio sul fondo del vaso.
Collochiamolo infine in pieno sole, anche nel Sud: all’ombra non fiorisce.
4. Anche senz'acqua, ma se ce n'è ma attenzione... è velenoso
L’oleandro, come già detto, tollera egregiamente la mancanza d’acqua in giardino, ma per vederlo fiorito bisogna bagnarlo. Non per niente il suo nome scientifico Nerium deriva dal greco nerò che significa “acqua”...
Da maggio ad agosto, in piena terra si bagna su terreno fresco se non piove per più di 7 giorni, su terreno sabbioso ogni 4 giorni.
In vaso in primavera-estate necessita di annaffiature quotidiane, con sottovaso, e in autunno-inverno 1-2 annaffiature al mese, senza sottovaso.
In vaso, da aprile ad agosto ogni 20 giorni si concima con un fertilizzante liquido per piante da fiore nell’acqua d’annaffiatura, o con bastoncini a lenta cessione. In giardino invece si distribuisce sotto la chioma un prodotto granulare per arbusti da fiore in marzo, giugno e ottobre.
Sembra incredibile, ma una pianta tanto gradevole è anche altrettanto velenosa (come accade per tutte le Apocinacee): tutte le parti dell’oleandro contengono glucosidi, l’oleandrina e il nerioside, abbondantemente presenti anche nel liquido trasparente che fuoriesce tagliando un ramo, e che rende pericolosa anche l’acqua dove siano state immerse le fronde.
Se ingerito (ma è amarissimo), provoca vomito, sopore, gastroenterite, tachicardia e aritmia, difficoltà cardio-respiratorie (per l’azione digitali-simile) fino, in casi estremi, alla morte.
Si narra che Napoleone si sia trovato, in occasione della battaglia di Austerlitz, l’esercito decimato proprio a causa dell’oleandro. Gli incauti militi ne avrebbero utilizzato i rami come spiedi per arrostire la carne, entro cui il glucoside penetra più velocemente per azione del calore.
Però, non tutto il male viene per nuocere: il principio attivo si utilizza, in dosi controllate, nella medicina tradizionale e in quella omeopatica.
5. Come coltivarlo
- PER RIPRODURLO DA TALEA E DA SEME
La moltiplicazione dell'oleandro si effettua per talea. In giugno-luglio (non oltre, pena il mancato attecchimento) si sceglie un rametto dell’anno precedente (che sia in parte lignificato) di 10-20 cm, si taglia con le cesoie, si eliminano le foglie più basse e si tagliano a metà le altre fino alla cima del rametto. Prepariamo una bottiglietta d'acqua tiepida, tagliamo obliquamente il fondo del rametto e immergiamolo immediatamente. La bottiglia va collocata in casa in un angolo luminoso ma non raggiunto dai raggi solari, riparato e caldo, rabboccando l’acqua, man mano che cala, con acqua riposata. Quando, oltre alla radichetta principale, si saranno formate anche alcune radichette laterali (tipo "lisca di pesce"), è giunto il momento di procedere all'invaso.
Si toglie con delicatezza la piantina dalla bottiglietta e la si pone in un vasetto con terra soffice, da tenere regolarmente bagnato (ma non inzuppato), in un angolo riparato del terrazzo o del giardino. Bisogna avere particolari cure durante il primo inverno, quando la piantina è ancora assai vulnerabile al freddo: sotto i 2 °C va ricoverata al fresco. L'anno successivo si procederà al rinvaso entro un vaso più grande.
Solo come curiosità, data la lentezza di crescita: è anche possibile moltiplicare l'oleandro da seme. Si appoggiano i semi, in aprile, sul terriccio da semina, o su un miscuglio di torba e sabbia in parti uguali, si ricoprono con uno strato sottile di terriccio universale e si inumidisce con il vaporizzatore. Si sistema il vaso al caldo (20-22 °C), eventualmente proteggendolo con pellicola trasparente, mantenendo sempre leggermente umido il substrato, finché non spuntano le prime piantine.
- POCHI (MA PESANTI ) NEMICI
Tra i tanti pregi, l'oleandro possiede anche quello apprezzabilissimo di essere piuttosto resistente alle malattie: il problema più frequente è rappresentato dalle cocciniglie (Diaspispentagono, Aspidiotushederae), insetti succhiatori, simili a scudetti, microscopiche pallottole brune o minuscoli fiocchetti bianchi, a punteggiare di preferenza la pagina inferiore delle foglie, dove scorre la linfa, o i fusti più giovani.
Si possono eliminare con tanta pazienza schiacciandole una per una tra pollice e indice, oppure mediante cotone idrofilo imbevuto d’alcol, o irrorando più volte il sapone molle o la zeolite, o infine con un insetticida anticocciniglia chimico.
Problema analogo lo pongono anche gli afidi gialli (Eucallipterus tiliaé) che formano colonie sui germogli fiorali di piante in carenza idrica, da combattere con sapone molle o macerato d'aglio.
E temibile è pure il ragnetto rosso (Tetranychus teLarius), acaro che si rivela per le foglie "scolorite", micro-puntinate di verde-giallastro. Si combatte vaporizzando ogni giorno Sfogliarne e, se non basta, irrorando il sapone molle o la propoli, oppure un acaricida chimico. Aggredisce quasi solo gli esemplari coltivati in vaso.
L'evenienza peggiore però è rappresentata dal cancro o rogna dei rami (Pseudomonas sovastonoi), un batterio che colpisce indistintamente tutte le parti della pianta, formando escrescenze sugherose. In questo caso bisogna recidere e bruciare le parti colpite, e disintettare con alcol il potatoio a ogni taglio, e con rame la superficie tagliata sulla pianta.