Per evitare un parto indotto o un cesareo, per sentirsi a proprio agio e disporre della massima naturalità, partorire a domicilio suscita sempre più interesse nel nostro Paese.
Sebbene l’interesse per il parto in casa cresca, non sembra crescere una corretta informazione a proposito…
In Italia, come nel resto d’Europa, la donna ha diritto di decidere dove e come dare alla luce il proprio bambino.
Sicuramente dare alla luce un figlio tra le mura di casa propria è l’esperienza che più esprime la naturalità del parto e soddisfa la piena intimità della nascita.
Prima di scegliere la propria camera da letto anziché la sala parto dell’ospedale, informati bene sui potenziali rischi che potreste correre, tu e tuo figlio; soprattutto se soffri di qualche patologia.
Il primo parametro è la sicurezza per la salute e il benessere di entrambi, il resto è importante fino a un certo punto!
La questione dei maggiori rischi, che si corrono durante il parto in casa, è un’altra storia e non riguarda soltanto il pericolo di morte per emorragia!
Cerchiamo allora di capire se il parto in casa è la scelta migliore.
1. Perché il parto a domicilio
L'eccessiva medicalizzazione del parto negli ospedali e recenti casi di cronaca hanno ridotta al minimo la fiducia nei punti nascita rendendo sempre più allettante l'idea di dare alla luce un bambino nella proprio abitazione anziché in ospedale.
A garanzia del diritto della donna di decidere dove e come partorire, il Ministero della Salute non sconsiglia né promuove il parto in casa.
Sebbene la cultura del parto a domicilio cominci a diffondersi e diverse donne prendano in considerazione questa possibilità, una corretta informazione sulla questione risulta ancora carente.
“Ho dato alla luce il mio primo figlio in un ospedale di Roma”, racconta Luciana, madre di due figli.
“È stata un’esperienza terrificante. Probabilmente la ginecologa, in quella notte di guardia, stava finendo il suo turno; così, per accelerare il mio travaglio mi ha fatto somministrare l’ossitocina che mi ha provocato delle contrazioni terribili...
Chissà perché c’era tutta questa fretta; dal tracciato, mio figlio stava bene... Il dolore era diventato così insopportabile che avrei fatto qualsiasi cosa per non sentirlo.
Ho chiesto se potevo avere l’anestesia, ma l’ostetrica ha detto che oramai non c’era più tempo perché mancava poco all’espulsione.
Ero esausta non solo per l’improvvisa impennata del dolore, ma anche per i gemiti e per le grida di altre donne. Eravamo 5-6 in quella sala travaglio, divise solo dai separé; sembravamo galline da covata.
Mi avevano detto che durante il parto avrei potuto assumere qualsiasi posizione che desideravo, ma non avevano specificato che nella fase espulsiva mi sarei dovuta accomodare (accomodare, per modo di dire) nella solita posizione ginecologica.
L’incessante dolore e la posizione scomoda (che di certo non favoriva la discesa) mi hanno stremata; non ce la facevo più a spingere. ‘Non fare l’egoista, spingi!’, ha esclamato l’ostetrica.
Invece di aiutarmi, le sue parole hanno sortito l’effetto contrario...
Di quello che è successo dopo ho un ricordo un po’ offuscato: mentre sentivo parlare del rischio del distacco della placenta e della scarsa ossigenazione del feto, mi sono ritrovata in sala operatoria. Michele è nato con un cesareo d’emergenza”...
Dopo tre anni e mezzo, Luciana ha dato alla luce il suo secondo figlio. Questa volta tra le mura di casa sua.
“Volevo dare un fratellino a Michele, ma solo l’idea di tornare all’ospedale mi terrorizzava. è vero che, quando tieni tra le braccia tuo figlio, dalla felicità dimentichi tutte le cose brutte, ma dovendo affrontare un altro parto, i brutti ricordi affioravano... eccome!
La nascita di Mauro è stata tutta un’altra cosa. Niente fretta, nell’intimità di casa mia facevo come mi pareva, mettendomi in posizioni anche più bizzarre. Le due ostetriche che mi hanno assistita, mi aiutavano senza interferire. Questa volta ero io a decidere per me e per il mio piccolo...”.
Sicuramente Luciana ha vissuto il suo secondo parto come desiderava, ma non si è resa conto del rischio che ha corso. Il parto naturale dopo il cesareo è fortemente sconsigliato tra le mura domestiche, come si può leggere in tutte le linee guida nazionali e internazionali, per i forti rischi materni e fetali.
Luciana è stata fortunata. Ma quanto vale la pena correre questo rischio? Spesso per varie ragioni le donne sono costrette sul lettino e vengono sottoposte a interventi farmacologici e chirurgici che non rispettano le loro esigenze e i loro tempi.
Induzione, episiotomia, l’uso della ventosa e altri interventi medici non necessari e rischiosi, cesarei troppo facili, a cui si ricorre per ignoranza o comodità... ecco i motivi che spingono sempre più donne ad optare per il parto a domicilio.
2. Un diritto non basta...
In Italia, come nel resto d’Europa, la donna ha diritto di decidere dove e come partorire.
Al contrario di molte strutture ospedaliere, un tempo ritenute luoghi sicuri per il parto, e ora spesso considerate posti che violano i diritti delle donna, l’interesse per il parto a domicilio sta crescendo.
L’inversione di tendenza prende ancora più forza appena si riflette sulle realtà di altri Paesi come quelle della vicina Olanda (famosa per l’altissimo numero di parti a domicilio) o di altri Paesi nordeuropei dove il parto in casa è “di casa”.
In Italia, eccetto poche realtà, il parto in casa è un evento ancora poco organizzato in assenza di coordinamento con le strutture ospedaliere; manca soprattutto la cultura di sostegno.
E come in tante altre cose, nei “tentativi pionieri” dei parti domiciliari che si fanno strada, si tende ad estremizzare, esaltando il protagonismo della madre.
Spesso la donna viene investita di troppa responsabilità a discapito della sicurezza madre-figlio. L’eccessiva medicalizzazione da una parte e la scarsa organizzazione domiciliare dall’altra non sono gli unici problemi nel nostro Paese!
Nell’assistenza offerta oggi, sia in gravidanza che nel parto, le donne non ricevono sufficienti informazioni, spesso subiscono, corrono a volte inutili rischi trasformando in un incubo una bella esperienza quale dovrebbe essere la nascita di un figlio.
Finché le cose filano lisce e non ci sono intoppi va tutto bene; quando invece una qualche complicazione rende necessario il trasferimento della donna presso una struttura medica nel bel mezzo del travaglio, ecco che subentrano i problemi.
Un’ambulanza sotto casa, un ospedale pronto ad accogliere la partoriente, il ginecologo di turno allertato e informato sull’andamento del travaglio: queste sono le condizioni necessarie per scongiurare inutili rischi per la donna e il bambino. In Italia i parti domiciliari non sono organizzati in questo modo.
Non di rado, se una donna viene trasferita d’urgenza dalla propria abitazione in una struttura sanitaria, l’ospedale la vede come una “seccatura” (se è arrivata qua vuol dire che qualcosa è andato storto).
Mentre il personale medico che l’accompagna spesso non ha nemmeno accesso all’interno della struttura a meno che non faccia parte dello staff medico di quell’ospedale.
3. Protagonismo ed estremizzazione
Elena ha trascorso senza problemi la sua prima gravidanza e ha deciso di dare alla luce il figlio a casa propria. Entrata in travaglio, viene assistita dalle due ostetriche.
Tra una contrazione e l’altra si chiacchiera, si sorseggia il tè e, con la musica di sottofondo, ci si rilassa in un ambiente familiare.
Ad un certo punto il tracciato del battito evidenzia un problema: il ritmo cardiaco fetale sta scendendo... “Sarà un problema momentaneo”, spera Elena che a tutti i costi vuole evitare il trasferimento in ospedale.
La telefonata dell’ostetrica al ginecologo non lascia più dubbi: bisogna correre all’ospedale senza pensarci due volte perché il bebè è in pericolo...
Purtroppo le cose per il figlio di Elena sono finite male: era arrivata in reparto maternità quando per lui era tardi.
Ci sono voluti tre quarti d’ora per raggiungere l’ospedale che ha scelto Elena; eppure vicino casa sua c’era un’altra struttura pubblica con il reparto maternità...Le ostetriche che l’assistevano non erano state capaci di farle capire la necessità di fare un cambio di programma.
È vero che una madre deve prendersi la responsabilità delle proprie scelte, ma è altrettanto vero che la figura professionale di un’ostetrica, con la sua preparazione e la sua esperienza, dovrebbe trasmettere alla donna una fiducia tale da lasciarsi guidare nelle decisioni importanti.
Forse sarebbe stato sufficiente dire: “Basta, fidati di me!” per salvaguardare la vita di Elena e del suo bambino.
L’esasperato tentativo di rendere protagonista la madre può mettere a rischio la sua vita e quella del suo bambino. La libertà decisionale di una donna non dovrebbe contrastare con le scelte mediche dettate dalle necessità!
E qui che dovrebbe entrare in campo la responsabilità professionale di un’ostetrica qualora si preoccupasse realmente del benessere di madre e figlio.
Si comprende allora l’importanza che riveste la responsabilità professionale dell’ostetrica (è a lei che la donna chiede di tutelare il suo benessere e quello di suo figlio) e la fiducia che va in lei riposta quando si tratta di scegliere chi ti assisterà.
4. Lavoro di squadra, non rivalità
Nicole è una giovane madre di tre figli, tutti nati in casa.
Durante la seconda gravidanza Nicole aveva l’emoglobina molto bassa (valori al di fuori di quelli consentiti per espletamento del parto a casa, come documentato nelle linee guida di riferimento), tanto che la sua ginecologa le sconsigliava un parto domiciliare per il possibile rischio di emorragie.
(Affrontare il parto con il giusto valore di emoglobina consente di tenere a bada il rischio conseguente di un’eventuale emorragia). Nonostante questo, spalleggiata dall’ostetrica, Nicole decide di non rinunciare alla nascita in casa...
“Sono stata stupida per non aver dato retta alla mia ginecologa. La meravigliosa esperienza, che la maternità comporta, si era trasformata in un vero disastro.
Avevo perso tanto sangue per via di una forte emorragia e, stando a casa, non mi hanno potuta aiutare subito...
Risultato: non ho potuto prendermi cura di mia figlia né allattarla. Sono stata malissimo per più di tre mesi: non riuscivo a reggermi in piedi, figuriamoci se riuscivo a badare ad un neonato e al mio figlio più grande. La ripresa è stata lentissima anche perché sono vegetariana...”.
E se l’ostetrica, vista la situazione, avesse sconsigliato il parto in casa, Nicole avrebbe preso un’altra decisione? Chissà! La cosa certa è che tra un ginecologo e un’ostetrica deve esserci lavoro di squadra.
Ognuno deve rispettare le mansioni dell’altro! Invece molto spesso accade che le due figure professionali entrino in competizione. Spesso sentiamo dire che la gravidanza non è una malattia, ma solo un evento straordinario per l’organismo della donna. Giusta affermazione.
In effetti per seguire una gravidanza e un parto fisiologico basterebbe un’ostetrica. Purtroppo diversi motivi trasformano a volte una gravidanza fisiologica in patologica non esente da rischi o complicazioni, tali da esigere una sorveglianza medica specifica. Ed è questo il caso in cui il ginecologo serve!
Per ritenersi patologica, una gravidanza deve corrispondere ad una di queste situazioni:
- gravidanza multipla,
- placenta previa,
- rischio di aborto e di parto pretermine,
- fibromi uterini,
- patologie come ipertensione, diabete... poliabortività,
- pregressa chirurgia dell’apparato riproduttivo,
- precedente morte endouterina fetale o neonatale...
Anche la gravidanza delle donne sopra i 40 anni è considerata ad alto rischio e quindi dovrebbe rientrare in un percorso di maggiore sorveglianza.
5. Un’ostetrica per il parto e sicurezza prima di tutto
- Un’ostetrica per il parto
1) Che requisiti deve possedere?
Oltre ad essere in linea con l’idea che una donna ha del parto, l’ostetrica deve attenersi alle linee guida internazionali che riportano una serie di raccomandazioni basate sull’esperienza clinica e sulle opinioni di esperti.
Ad esempio, in presenza di una determinata patologia che esclude il parto in casa, un’ostetrica responsabile professionalmente informerà la donna sui rischi a cui si espone e le indicherà il luogo più sicuro dove il parto dovrebbe avvenire.
2) Senza dubbio, competenza e esperienza contano molto!
Per il parto in casa, diffida delle ostetriche alle prime armi, informati sul numero dei parti cui hanno prestato assistenza. L’esperienza ospedaliera conta molto: pensa solo quante donne in Italia partoriscono nelle strutture sanitarie e quante invece partoriscono in casa!
3) Un parametro da non sottovalutare è la questione della fiducia e della responsabilità professionale.
Una donna deve pienamente fidarsi della persona che l’assiste. L’ostetrica brava non scaricherà tutta la responsabilità delle scelte sulla donna. Se sarà necessario, l’ostetrica guiderà la partoriente sulla strada più sicura affinché madre
e figlio stiano bene.
4) Un’ostetrica preparata e scrupolosa valuterà attentamente il luogo del parto in rapporto alla distanza e al tempo di percorrenza necessari per raggiungere l’ospedale, se subentra un’emergenza.
Si metterà subito in contatto con il ginecologo pronto ad intervenire se il “fisiologico” dovesse diventare “patologico”. Un’ostetrica brava affiderà la futura mamma in mani più sicure delle proprie se e quando riterrà necessario un aiuto più qualificato! - Sicurezza prima di tutto
Sicuramente dare alla luce un figlio tra le mura di casa propria è l’esperienza che più esprime la naturalità del parto e soddisfa la piena intimità della nascita.
Prima di scegliere la propria camera da letto anziché la sala parto dell’ospedale, informati bene sui potenziali rischi che potreste correre, tu e tuo figlio; soprattutto se soffri di qualche patologia. Il primo parametro è la sicurezza per la salute e il benessere di entrambi, il resto è importante fino a un certo punto!
La questione dei maggiori rischi, che si corrono durante il parto in casa, è un’altra storia e non riguarda soltanto il pericolo di morte per emorragia!
Occorre però tener presente, per completezza d’informazione, che la tanto lodata Olanda ha un tasso di mortalità materna quasi doppio rispetto al nostro Paese, come si evince dai dati Euro Peristat II (European Perinatal Health Report 2010).