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Perché abbiamo paura di innamorarci

Si chiama filofobia (dal greco φιλος, amore, e φοβια, fobia, avversione) ed è la paura di amare intesa come paura di innamorarsi e di entrare in relazione con un’altra persona.

Ma si tratta di aver paura dell’amore o piuttosto di temere l’altro?

Si dice spesso: “ho sofferto per amore”. In realtà soffriamo perché incontriamo una persona sbagliata che ci fa soffrire. Il vero problema è instaurare una relazione.

Molti hanno il terrore di innamorarsi perché hanno paura di entrare in una relazione intima con l’altro, dove la parola “relazione” non è intesa come sessuale, ma come il permettere a un estraneo di invadere la propria sfera personale, scoprendo inevitabilmente limiti e debolezze.

Entrare in una relazione intima con qualcuno significa svelargli le nostre debolezze ed esporci al rischio di essere feriti: ecco perché i filofobici si chiudono a riccio e fuggono a gambe levate!

 

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1. Provoca sintomi fisici gravi

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La filofobia provoca sintomi fisici gravi: dalla tachicardia all’attacco di panico, con il blocco del respiro e la sensazione di stare per morire per mancanza d’aria.

A mandare nel panico non è necessariamente la persona che attrae (e quindi fa paura), ma la prospettiva della richiesta di una relazione, che fa scattare nel soggetto filofobico una reazione di chiusura e fuga.

Non solo: in psicologia si parla di profezia che si autodetermina: se una persona pensa che l’amore sia qualcosa di pericoloso e negativo, vivendo questi sintomi ricaverà la conferma che l’amore fa davvero star male e quindi lo eviterà.

Spesso il disturbo è legato al timore di perdere la libertà e il controllo della propria vita e di diventare dipendenti dall’altro; soprattutto chi ha alle spalle delusioni e sofferenze d’amore è restio a investire in una nuova relazione per paura di ritrovarsi nuovamente ferito e umiliato. Ma queste sono le conseguenze, non la causa del problema.

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Tecnicamente la causa prima è detta difetto dell’attaccamento, un problema che risale all’attaccamento del bambino alla mamma all’età che va da 0 a 12-18 mesi.

In questa fase il piccolo sviluppa il legame di attaccamento con la persona di accudimento, quasi sempre la madre, ossia con chi si prende cura di lui (gli dà da mangiare, gli cambia il pannolino ecc.).

Il neonato, impotente, deve infatti acquisire la certezza che l’adulto di riferimento sia presente ogniqualvolta egli abbia bisogno. In questo caso svilupperà un legame di attaccamento sicuro.

Se invece l’adulto di riferimento non risponde sempre ai bisogni del bambino (se ad esempio tarda a nutrirlo o a cambiarlo), il piccolo, intuendo di non potersi fidare dell’adulto, svilupperà un legame di attaccamento insicuro che lo condizionerà poi nella vita.

Identico per uomini e donne, in età adulta il difetto dell’attaccamento si traduce in una sfiducia a priori nel prossimo.

Così, di fronte a una possibile relazione, nella persona scatterà una molla inconscia, una sorta di allarme interno che andrà a riaccendere la vecchia angoscia secondo cui la persona a cui starebbe per abbandonarsi potrebbe non rispondere alle sue aspettative e causare sofferenza.

 

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2. Un lungo avvicinamento

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Per i filofobici avere una relazione è molto difficile poiché il difetto nella fiducia impedisce loro di aprirsi all’altro e più che mai di abbandonarsi a un’attività sessuale sana e appagante.

D’altra parte, queste persone sono estremamente affascinanti proprio perché misteriose, chiuse e sfuggenti.

Dato che non si concedono facilmente, rappresentano una conquista difficile e stimolante.

Dopotutto una relazione amorosa parte dal desiderio dell’altro; non solo dal desiderio sessuale, ma anche dalla voglia di vederlo e incontrarlo.

La filofobia può avere vari livelli. Non sempre parliamo di patologie conclamate e a meno di una chiusura totale e di un rifiuto netto della relazione, con opportuni accorgimenti è possibile gettare le basi di un rapporto.

Trattandosi di persone in atteggiamento di difesa che tengono molto stretti la propria identità e il proprio vissuto emotivo, il consiglio è di mantenersi per un tempo più lungo del solito a un livello superficiale, senza mai entrare nei risvolti del passato e del vissuto emotivo dell’altro.

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Se si esce a cena si parlerà del cibo, condividendo il momento; se si va al cinema si ragionerà sulla trama del film e non su quanto essa ci appartenga.

Inizialmente ci si frequenterà come due buoni amici, evitando sempre il personale e lasciando che sia l’altro a fare dei passi.

Ad esempio, le prime volte ci si congederà dandosi la mano; se in seguito l’altro ci darà un bacino sulla guancia, avremo fatto una piccola conquista che potremo ripetere la volta successiva.

Dagli elementi in comune si cercherà poi di costruire una relazione ex-novo, come se il passato non esistesse.

 

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3. Tre consigli

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Sono tre i consigli preliminari da parte degli psicologi per uscire dalla gabbia della propria paura di amare.

Innanzitutto, arrivare alla consapevolezza di avere un problema. Si tratta di un problema di ansia e l’ansia è una paura anticipatoria. Queste persone hanno paura di amare perché temono che potrebbe accadere qualcosa a quell’amore.

Il secondo consiglio è di mettere in conto che le relazioni amorose sono dei beni dinamici e non statici.

Spiegano gli psicologi: «Non è detto che una persona che mi ama adesso mi amerà ancora fra 10 anni.

Il rischio di una rottura sentimentale esiste per tutti in quanto neppure noi stessi potremmo garantire che fra 10 anni, per via di situazioni imponderabili e imprevedibili, saremo le stesse persone di ora».

Il terzo consiglio è cercare di vedersi come presuntuosi anziché come fobici. Pensare di essere immuni dalle delusioni amorose è presunzione; queste possono toccare a tutti, tanto vale mettersi in gioco. Altrimenti, sarebbe come rinunciare a mettere al mondo un figlio perché prima o poi morirà.

Una storia d’amore può morire dopo un anno, dopo 10 o con noi; spesso i litigi insorgono dopo una malattia grave o un evento tragico in famiglia oppure per la perdita del lavoro.

A quel punto, se la relazione sarà diventata un inferno, la sua fine sarà una liberazione. Non bisogna quindi temere questi imprevisti perché a volte sono la nostra salvezza.

 

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4. Due terapie

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Tra gli approcci terapeutici applicabili alla filofobia c’è la terapia cognitivo-comportamentale, che mira a modificare determinati comportamenti influendo sui pensieri.

I nostri pensieri nascono dalle emozioni e diventano comportamenti.

Il terapeuta deve ripercorrere questi passaggi a ritroso, cioè osservare il comportamento sbagliato, capire da che pensiero sbagliato deriva e a quale emozione è legato. In seguito, con le opportune tecniche, si andrà a modificare il vissuto emotivo.

Un altro approccio è invece la psicoterapia strategica che utilizza spesso dei paradossi assegnando al paziente compiti paradossali.

Per superare la paura di amare si potrebbe suggerire al soggetto di far finta di innamorarsi e di uscire con qualcuno che non gli interessa per nulla e che quindi non lo agita.

Si sceglierà qualcuno dal quale non si è attratti per creare una situazione in cui il paziente potrà simulare un innamoramento facendo tutto quello che farebbe con una persona che gli piace: andare a un appuntamento, mettersi il vestito bello, rompere il ghiaccio in un percorso di apertura verso gli altri da proseguire sbloccando via via le diverse “chiusure”.

In alcuni casi questo percorso viene addirittura fatto fra due donne e due uomini a livello di pura amicizia perché spesso chi ha paura di innamorarsi ha anche paura di creare legami forti di amicizia.

 

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5. Le paure dell’uomo e quelle della donna sono diverse

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La paura d’amare colpisce più di frequente gli uomini rispetto alle donne: il rapporto è del 70 per cento contro il 30 per cento.

Il maschio ha più paura di essere tradito, abbandonato e ferito perché per lui il ruolo di vittima sarebbe più imbarazzante.

Mentre la donna si lascia coccolare da amici e parenti, l’uomo si vergogna di essere stato tradito al punto che spesso, per investire poco nella relazione che sta vivendo, tradisce per primo temendo di venire tradito.

La donna teme piuttosto di diventare dipendente dal maschio, di innamorarsi troppo e di perdere la sua libertà e la sua vita. Se filofobica, per paura di dare troppo dà poco, mostrandosi scostante, disinteressata e fredda.

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Ma cosa temiamo? La paura d’amare nasce dall’odierna società, improntata non all’amore ma al divertimento e al successo. In essa vigono due stereotipi distinti – maschile e femminile – che puntano su falsi valori di facciata: da una parte l’uomo costretto a mostrarsi forte, virile e vincente, dall’altra la donna obbligata a perdere molto di se stessa negando la sua femminilità.

Da questa finzione nasce un senso di inadeguatezza e la paura di ricevere dei no. In realtà le due nature – maschile e femminile – coesistono in entrambi i sessi e si giunge al rapporto ideale di coppia quando la parte femminile di lui copre e soddisfa pienamente la parte maschile di lei e viceversa.

Solo questa totale complementarietà permette di creare una comunicazione vera. Dunque la paura d’amare si vince riconoscendo le due parti negate e disconosciute: quella femminile nell’uomo e quella maschile nella donna.

Come? Per la donna non rinunciando ai valori interiori del femminile e per l’uomo non negandoli in se stesso, riconoscendosi cioè bisognoso di essere completato dall’altra metà del cielo.

 

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