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Perché siamo così ossessionati dal denaro?

“La ricchezza è migliore della povertà, se non altro per ragioni economiche”, diceva Woody Allen.

Vogliamo possederne sempre di più, abbiamo il terrore di perderlo e non ci sembra mai abbastanza.

Succede, secondo gli esperti, perché il nostro rapporto con il denaro è governato dalle emozioni e dalla paura e perché spendere o subire una perdita comporta una vera e propria sofferenza.

Ma perché siamo così ossessionati dal denaro? Scopriamolo insieme.

 

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1. Può diventare una malattia

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"La ricchezza è migliore della povertà, se non altro per ragioni economiche", diceva Woody Allen.

Sarà anche vero, ma al di là dell’ovvia necessità di avere quanto occorre per vivere in maniera dignitosa o agiata, l’ossessione sempre più diffusa nella nostra società nei confronti del denaro, che si declina nel desiderio di possederne sempre di più, nel terrore di perderlo o nella sensazione di non averne mai a sufficienza, è tutt’altra cosa.

Dipende dal valore simbolico che attribuiamo al denaro, che spesso determina le nostre relazioni con gli altri e addirittura con noi stessi. Talvolta si verifica addirittura un processo di identificazione tra il proprio potere economico e la propria esistenza.

Succede abbastanza frequentemente nel panorama sociale italiano, caratterizzato dalla fitta presenza di piccole imprese, soprattutto tra le vecchie generazioni, che hanno dedicato la vita al lavoro, senza coltivare altri interessi se non la crescita della propria azienda: è inevitabile che s’identifichino con il denaro che hanno così faticosamente sudato.

Dati alla mano (quelli dell’Istat appena aggiornati e relativi al primo trimestre 2019), un risparmiatore “normale” nel nostro Paese mette da parte una percentuale dei propri guadagni che si attesta mediamente intorno all’8,4 per cento delle proprie entrate.

Un atteggiamento che viene considerato “sano”, non pregiudica la qualità della vita di tutti i giorni e mette al riparo da un certo numero di rischi futuri. C’è però chi si spinge ben oltre questo: il risparmiatore ossessivo che, terrorizzato da ipotetiche difficoltà economiche nel tempo a venire, vive in funzione del risparmio.

Gli psicologi americani dell’Università di Harvard e della Columbia University hanno recentemente definito la sindrome da risparmio col nome di iperopia: chi ne soffre cerca di spendere il meno possibile in previsione di eventuali problemi futuri, riducendo la vita presente all’osso.

Questa tendenza è spesso generata dal desiderio di proteggere il futuro, rendendolo il migliore possibile, per superare il malessere legato a un presente incerto.

Spesso è espressione di una generale sfiducia, che prescinde dai soldi in senso stretto e investe numerosi ambiti della vita quotidiana, a cominciare dalla povera qualità delle relazioni sociali e affettive, percepite come instabili e poco appaganti.

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2. Ci guida la paura

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Sta di fatto che il nostro rapporto con il denaro è guidato soprattutto dall’emotività.

Come emerso da numerosi studi effettuati, sia in ambito economico sia psicologico sia dalle neuroscienze, sono le nostre componenti emotive e in particolare la paura a orientarci nella gestione dei nostri risparmi.

La paura però può farci commettere errori, inducendoci a scelte svantaggiose e poco produttive dal punto di vista economico. Tutte le decisioni guidate dalla paura non sono affatto lungimiranti, come si ha l’illusione di credere.

Si sceglie in base a un unico criterio: ciò che ci sembra meno rischioso. In ambito economico investiamo così negli immobili, teniamo in banca denaro liquido o optiamo per titoli a reddito fisso.

Peccato che gli immobili siano destinati a svalutarsi sempre di più, data la diminuzione della natalità e la conseguente penuria di domanda. Anche gli investimenti a reddito fisso sono tendenzialmente improduttivi, così come i soldi lasciati sul conto corrente.

Si tratta, nel complesso, di investimenti che non ci tutelano e che non si basano su una visione nel lungo periodo. Al contrario di quanto siamo abituati a credere, quindi, le decisioni finanziarie non hanno necessariamente a che fare solo con il denaro.

Hanno a che vedere con la rabbia, la frustrazione, l’invidia, l’orgoglio, l’onore e, mai come negli ultimi tempi, con la paura e il panico, ovvero con la mancanza di ottimismo e di fiducia.

Per questo governi, banche centrali e istituzioni finanziarie dovrebbero dotarsi al più presto di una “Task Force” emotiva.

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3. Perdere denaro fa soffrire

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Esiste un vero e proprio fenomeno mentale che si chiama “avversione alle perdite".

È un meccanismo scoperto da Daniel Kahneman, psicologo israeliano, Premio Nobel per l’economia, del quale otto neuroscienziati cognitivi dell’Università San Raffaele di Milano hanno indagato i correlati neurali.

Dalle loro ricerche è emerso che investire una somma in una scommessa, qualunque essa sia, è più impegnativo per la nostra mente della vincita della stessa somma.

Per compensare la fatica, in sostanza, si deve vincere più di quanto si sia investito: per esempio almeno 225 euro a fronte di un investimento di 100.

Secondo Kahneman, l’avversione alle perdite è una potente abitudine mentale che fa male con intensità doppia rispetto al piacere che ricaviamo dal guadagnare la stessa cifra. La “colpa” risiede nella parte più antica del nostro cervello, l’amigdala, l’area deputata al riconoscimento dei pericoli.

L’amigdala scatta, infatti, come un sorta di grilletto neurale che reagisce inviando segnali di emergenza a tutte le parti principali del cervello e funge anche da memoria della paura.

Questo meccanismo molto efficiente, utile all’uomo per salvaguardarlo dai pericoli per tutta la sua storia evolutiva dalla preistoria a oggi, funziona anche nel nostro rapporto coi soldi e, in particolare, in relazione alle perdite di denaro.

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4. Carte di credito, soldi di plastica

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Anche spendere denaro con bancomat o carte di credito attenua la sensazione dolorosa legata alla privazione.

Privarsi di “soldi di plastica” è molto meno doloroso per la nostra mente che spendere soldi “veri”, ossia banconote fisiche.

Pagare con la carta di credito cambia infatti totalmente il calcolo mentale. Le carte rendono la transazione astratta, riducendo in misura consistente l’attivazione di quella parte del nostro cervello sensibilissima al dolore di perdere.

Come se la carta, al contrario delle banconote, anestetizzasse la chimica dei neuroni deputati a intercettare l’emozione negativa associata a un pagamento.

Due ricercatori della Business School del MIT di Boston hanno potuto verificare sperimentalmente nel corso di un’asta per acquistare i biglietti di un’importante partita di basket che chi pagava con carta di credito era disposto a offrire circa il doppio di chi pagava in contanti.

Non solo si è disposti a pagare di più, dunque, ma con la carta di credito aumentano anche gli acquisti d’impulso. Non basta.

Anche il taglio delle banconote mitiga o esaspera il dolore della perdita: 20 euro in una singola banconota sono spesi più difficilmente rispetto agli stessi 20 euro suddivisi in pezzi da 1 euro.

A piccole dosi il dolore della perdita è meno intenso e risulta più difficile resistere a una gratificazione immediata.

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5. Denaro pubblico e gli ossessionati del risparmio

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- Denaro pubblico? Altra musica
L’avversione alle perdite riguarda anche il denaro pubblico?
La risposta è no: la percezione del valore del denaro pubblico è molto diversa da quella dei soldi che si trovano nelle nostre tasche.
"I soldi pubblici vengono percepiti come qualcosa di astratto, di estraneo e lontano da noi, nonostante siano destinati a garantire servizi importanti come la sanità o l’istruzione", spiegano diversi economisti.
«Non a caso il nostro Paese si classifica terzo in Europa per evasione fiscale dopo la Romania e la Grecia e il debito pubblico italiano è uno dei più alti dell’Unione Europea dagli anni Settanta in poi».
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- Negli USA gli ossessionati del risparmio vanno addirittura in TV
La TV americana trasmette un programma, a dir poco, bizzarro. Si intitola Extreme Cheapskates e racconta le storie di persone ossessionate dal risparmio.
Per esempio quella della coppia Rick e Klarissa, 23 e 26 anni, che risparmiano anche sull’igiene personale. Rick si lava i capelli con la schiuma prelevata direttamente dalla testa di Klarissa, risparmiando sullo shampoo.
I due fanno la doccia insieme, condividono lo spazzolino da denti e il filo interdentale. Il budget settimanale per mangiare è di soli 25 dollari: i due si ritrovano così a dividere le uova segnandole con le proprie iniziali.
Hanno addirittura programmato il loro funerale, prevedendo di essere seppelliti nella stessa bara. Il primo a morire sarà dunque riesumato alla morte del secondo.
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