La notizia è di poche settimane fa: il 19enne Nikolas Cruz è entrato in un liceo di Parkland, in Florida, sparando con un fucile automatico a chiunque incontrasse (17 le vitime, tra studenti e adulti).
L’assassino della porta accanto, insomma, è quello che imbraccia il fucile e ammazza come in un videogame.
Poi tutti dicono “sembrava normale”, e nessuno riesce a spiegarsi che cosa gli sia accaduto.
Una rabbia cieca, che può portare fino all’omicidio. Ecco che cos’è e come nasce il furore degli assassini.
1. L'odio e i "crimini d'odio”
La notizia è di poche settimane fa: il 19enne Nikolas Cruz (foto sotto) è entrato in un liceo di Parkland, in Florida, sparando con un fucile automatico a chiunque incontrasse (17 le vitime, tra studenti e adulti).
E solo l'ultimo in ordine di tempo dei cosiddetti "crimini d'odio”, atti generati da una cieca furia omicida, che non avvengono certo solo negli Usa.
Secondo i dati dell'Osce (l'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea) nel 2010 sono arrivate 56 segnalazioni di crimini di questo tipo da fonti ufficiali italiane, salite a 472 nel 2013 e a 596 nel 2014.
Dati più recenti non ce ne sono, ma c'è da scommettere che il numero reale sia parecchio più alto, anche se non tutti ovviamente si concludono con la morte di qualcuno.
Ma in definitiva che cos'è l'odio? E che cosa lo genera? Lo racconta il nuovo libro di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi, Amok (Mondadori): un tour agghiacciante nella mente e nei gesti di chi non ha potuto o saputo contenere questo sentimento e l'ha lasciato esplodere in una violenza apparentemente insensata.
L’amok, appunto, termine che deriva dal malese mengamok e indica una carica di livore tale da portare a uccidere senza controllo.
Perché come spiega il criminologo Picozzi, «i "mostri del crimine" della nostra epoca non sono più gli assassini seriali dominati da lucida follia, ma soprattutto i cosiddetti "rampage killer", che compiono stragi in preda a furia omicida».
2. Sembrava normale
L'assassino della porta accanto, insomma, è quello che imbraccia il fucile e ammazza come in un videogame.
Poi tutti dicono "sembrava normale”, e nessuno riesce a spiegarsi che cosa gli sia accaduto.
«La furia omicida è un sentimento più duraturo di un'emozione come la rabbia, è una molla che porta a voler distruggere convinti di essere nel giusto, al di là di ogni legge scritta e di ogni codice morale», spiega Picozzi.
Alle radici di questo sentimento, secondo gli scienziati, c'è soprattutto la paura: ci si sente minacciati da qualcosa che riteniamo diverso, pericoloso, malevolo.
Di conseguenza, iniziamo a detestarlo: si tratta quindi di un'emozione che chiunque può provare, ma che di solito scompare così com'è arrivata, quando la minaccia cessa.
Lo psicanalista tedesco Erich Fromm la chiamava "odio reattivo”, perché è il risultato di una situazione specifica ed è diversa dall’“odio caratteriale’", che invece deriva dal tipo di personalità, ed è tipica per esempio degli individui collerici, sempre in cerca di nuove occasioni per sfogarsi.
Anche in quest'ultimo caso l'ostilità nasce dalla paura dell'altro, ma è più duratura: finisce per diventare un modo di guardare il mondo (in qualche caso mettendo in pratica propositi violenti), soprattutto se manca completamente la capacità di mettersi nei panni degli altri (empatia).
Chi ha una buona stima di sé ma conosce i suoi limiti prova compassione per i propri difetti e quindi sarà più tollerante con l’altro, non lo vorrà trasformare in vittima perché capirebbe il suo dolore.
Ecco perché la prevenzione dell'odio va iniziata da bambini, con l'educazione all'empatia: bisognerebbe insegnare come si gestiscono le emozioni, soprattutto quelle negative.
3. Nessuna compassione
Non riuscire a provare empatia porta chi odia a costruire uno steccato sempre più alto fra sé e colui/colei che ha generato l'avversione, o verso la categoria detestata di persone (per esempio ebrei, musulmani, donne, ecc...).
Uno “scollamento" dalla realtà così potente da cambiare i meccanismi cerebrali e quindi sfociare in quegli atti di violenza inspiegabile che raccontano le cronache.
Il barbone picchiato senza un perché, l'omicidio compiuto per noia di vivere, per vedere l’effetto che fa.
Magari in gruppo, perché nel “branco" l'odio non solo si rafforza specchiandosi in quello degli altri, ma trascina anche chi sarebbe riluttante ad agire.
«La ricerca del brivido è fra le cause più comuni nei crimini di questo tipo: non c'è un motivo valido per aggredire o un obiettivo specifico», conferma Picozzi raccontando la storia della sedicenne Brenda Ann Spencer, una delle pochissime killer di massa al femminile, che il 29 gennaio 1979 imbracciò il fucile e dalla finestra di casa iniziò a sparare verso la scuola di fronte, la Grover Cleveland Elementary di San Diego, uccidendo due persone e ferendo otto bimbi: disse che l'aveva fatto per il piacere di farlo, perché si annoiava.
Perché era lunedì, e lei odiava i lunedì.
4. Personalità estreme
In molti casi, però, l'obiettivo dell'astio è molto preciso perché la minaccia si incarna in qualcuno che riteniamo ci abbia rovinato la vita.
Si perde il lavoro, si viene lasciati, si finisce in bancarotta e l'ira tenuta a freno esplode, riversandosi su ex colleghi, ex partner...
Viene quindi da chiedersi se chiunque di noi possa trasformarsi in un killer, trovandosi in una situazione di forte pressione. La risposta è “probabilmente no”, perché di solito riusciamo a gestire questi impulsi.
L'odio, però, può travolgere più facilmente personalità fragili, e se ci si trova in un Paese o in una situazione in cui è facile procurarsi un'arma, il rischio di una strage è dietro l'angolo.
Così, sebbene non sia semplice fare l’identikit di chi dall’astio soltanto covato passa ad armare la mano, gli psichiatri individuano due categorie di questi potenziali assassini: coloro che soffrono di un disturbo psicotico e coloro che hanno un disturbo di personalità.
Nel primo caso non si riesce a comprendere bene la realtà, con annessi deliri e allucinazioni che per esempio portano a sentirsi “perseguitati” dagli altri o dalla sorte, spesso associati a pensieri violenti ricorrenti in cui si immagina di vendicarsi dei torti subiti.
Fra i disturbi della personalità che possono sfociare in delitti, invece, c'è quello narcisistico, in cui l’assenza di empatia è totale, o quello antisociale, che rende incapaci di avere rapporti normali con il mondo e il comportamento tende a essere impulsivo e aggressivo, senza però sentire alcun rimorso.
In questi casi spesso basta una scintilla per decidere di passare ai fatti.Esistono comunque tante sfumature di odio, e anche per questo solo alcuni tipi di ira finiscono per trasformarsi in violenza.
Secondo la cosiddetta “teoria triangolare” di Robert Sternberg, psicologo della Cornell University (Usa), l'odio ha infatti tre componenti diverse:
- c'è la negazione dell’intimità tipica dell’odio “freddo”, che porta a cercare la distanza dall’odiato per cui si prova solo repulsione, disgusto;
- oppure la passione, l'odio “caldo” di chi prova rabbia o paura nei confronti di qualcuno percepito come dannoso, pericoloso per sé;
- infine c'è l’odio “gelido”, che svaluta l'altro e lo ritiene inferiore al punto di non considerarlo quasi umano.
Sternberg sostiene che dal mix di questi tre tipi di odio ne nascono altri, e che la somma di tutti porta a desiderare il definitivo annientamento dell'altro.
A volte basta la presenza dell’oggetto di questa avversione per scatenare una furia che annebbia la vista, come nel caso della donna incontrata dall'ex compagno mentre è con le amiche: lui, lasciato da tempo, la odia perché lei ha una nuova vita e il solo vederla fa scattare il comportamento violento.
Non è un esempio a caso: sono più spesso gli uomini a passare ai fatti. «Le donne com mettono circa il 10 per cento degli omicidi e ancora più di rado sono protagoniste di una strage di massa», dice Picozzi.
«I killer preda di odio indistinto e furioso, come quelli che irrompono in una classe sparando agli studenti, manifestano una violenza sadica, prerogativa quasi esclu sivamente maschile».
5. Coscienza spenta e la mente di chi odia
- Coscienza spenta
Se non tutti i tipi di odio sono uguali, è però sicuro che odiare fa sempre male: crea dolore esistenziale, e cambia i meccanismi con cui funziona la mente.
Gli studi sul cervello iniziano infatti a fare luce sui meccanismi fisiologici che stanno alla base di queste esplosioni di rabbia e che sono una delle cause per cui dall’odio trattenuto si passa ai fatti: la depressione grave per esempio “scollega” i circuiti che governano le risposte di azione-reazione ai rischi.
Quasi un black-out della consapevolezza, che potrebbe contribuire a fare un passo verso la violenza, anche contro gli altri.
Violenza da cui si può tornare in dietro solo al prezzo di un lavoro su se stessi.
Chi ha commesso questo tipo di atti può recuperare la stabilità emotiva se sviscera i motivi del suo odio e li comprende. Deve volerlo fare, però.
Perché da solo questo sentimento non si spegne, anzi: anche dopo un gesto criminale in cui si sia sfogato, non “guarisce”.
Entra soltanto in stand by, pronto a riaccendersi alla prima occasione in cui ci si senta aggrediti, in qualunque modo.
Non a caso alcuni assassini, dopo essere stati scarcerati o aver approfittato di un permesso durante la detenzione, spesso tornano a “finire il lavoro” che è stato interrotto.
- La mente di chi odia
Guardare il viso di chi odiamo attiva neuroni in alcune precise zone cerebrali (putamen, insula, giro fronto-mediale e corteccia pre-motoria): un vero e proprio circuito dell’odio, scoperto dal neurologo dell’University College di Londra Semir Zeki, che coinvolge sia aree correlate alle emozioni sia la corteccia motoria, dove si “pianifica” l’atto violento.
Un esperimento dell’Università di Stanford, poi, suggerisce che “accendere” l’odio possa bloccare ogni compassione della vittima (empatia): vedere pungere la mano di qualcuno attiva nel cervello di chi osserva i circuiti del dolore; ma se su quella mano c’è la scritta “ebreo” o “musulmano” e chi guarda odia quella categoria di persone, l’empatia si attenua.