"Davanti all'acquario si può stare delle ore assorti in fantasticherie, come quando si contemplano le fiamme nel caminetto o le rapide acque di un torrente". In queste parole Konrad Lorenz (tratte da "L'anello di re Salomone") c'è già la convinzione del benessere che l'uomo può trarre da un contatto sia pure solo visivo con il modno animale.
L'azione rilassante prodotta dall'osservazione di un acquario è ormai un dato di fatto. Questo effetto straniante sull'uomo è paragonabile a una sorta di stato di meditazione indotto dalle immagini di un mondo naturale fatto di forme, colori e suoni naturali, che cattura e concentra su du sè l'attenzione, spostandola al di fuori di se stessi e dei propri problemi.
La Pet Therapy o terapia con i pets, cioè gli animali d'affezione, può coinvolgere oltre ad animali familiari come il cane, il gatto, i pesci e gli uccelli, anche delfini, cavalli, scimmie, conigli, galline e caprette, quindi viene spesso definita AAA/AAT (Animal-Assisted Activities, Animal-Assisted Therapies), Attività Assistite dagli Animali e Terapie Assistite dagli Animali.
In Italia anche UTAC, Uso Terapeutico degli Animali da Compagnia, o cinoterapia se gli animali utilizzati sono in particolare i cani o, ancora più genericamente, zooterapia.
Oggi gli specialisti del settore preferiscono non parlare più genericamente di Pet Therapy, ma di AAA/AAT seguendo così la distinzione fatta dal Dottor Dennis Turner, a partire dagli anni Ottanta, con l'intento di classificare gli interventi in base alla complessità e alla tipologia dei casi in cui trovano applicazione. Tuttavia nel linguaggio comune si continua a parlare più semplicemente di Pet Therapy.
In tutti i casi si vuole intendere una serie di attività che prevedono l'utilizzo di un animale nella prevenzione o nella terapia di particolari patologie di tipo fisico e psichico, ma anche nel mantenimento della salute mentale e fisica dell'uomo.
Non possono rientrare in un programma di Pet Therapy i soggetti zoofobici (che hanno paura degli animali) e ipocondriaci; coloro che sono affetti da forme gravi di depressione o da disturbi ossessivo-compulsivi; gli oligofrenici (affetti da deficienza mentale) e chi soffre di allergie correlate agli animali.
Per un'ulteriore approfondimento su questo argomento (e non solo), vi consigliamo la lettura del libro "Amico cane" di Vito Buono e Angela Delle Foglie. Buona lettura.
1. Lo sviluppo della Pet Therapy
L'enorme sviluppo di questa disciplina nata negli anni Cinquanta porta l'uomo a riflettere, dopo la sua lunga convivenza con il cane, su questa amicizia e sulla capacità che essa ha di rigenerarsi continuamente.
Il cane si è adattato alle diverse condizioni di vita con il suo nuovo branco umano, ne ha seguito i cambiamenti trovando sempre il modo di aiutare l'uomo a risolvere una serie di problemi: che all'inizio erano quelli della sopravvivenza e oggi sono quelli della salute e del miglioramento della qualità della vita.
Selezionando per aiutare l'uomo nella caccia, nella difesa del bestiame, nella guardia alla proprietà, nella guerra, nelle attività di polizia e di soccorso e in mille altre cose ancora, il cane ritorna ora a svolgere il ruolo di compagno di giochi e di vita e ridiventa pet, animale da compagnia puro e semplice. Forse proprio con questo scopo l'uomo in origine adottò i primi cuccioli, non per fini utilitaristici quindi, ma per dare un compagno di giochi ai suoi bambini.
Pet Therapy in sostanza è il nome che è stato dato all'azione benefica che la presenza dell'animale, nel nostro caso il cane, esercita sull'uomo da sempre, ma che solo da qualche decennio ha avuto una sorta di riconoscimento ufficiale da parte di medici, neuropsichiatri, psicologi e veterinari che hanno raccolto osservazioni ed effettuato ricerche e sperimentazioni in questo specifico campo.
Fa per esempio della Pet Therapy, da prezioso antidoto contro i mali del nostro tempo: ansia, solitudine, stress e carenze affettive. La verità è che anche prima il beneficio c'era, ma l'uomo ne godeva più o meno inconsapevolmente perché nelle società naturali il contatto con gli animali avveniva spontaneamente.
Oggi che quell'interazione benefica è andata perduta, per lo meno nella società occidentale, l'uomo è diventato consapevole di questa capacità del cane solo perché è emersa in determinate situazioni, e pertanto la sta studiando allo scopo di raggiungere obiettivi precisi, come del resto ha sempre fatto con tutte le qualità del suo compagno di vita.
Per fare un esempio storico, basta citare il singolare utilizzo terapeutico dei cani maltesi già all'epoca degli antichi romani, dove secondo Plinio, "i cagnolini maltesi venivano consigliati anche come cataplasma vivente, nel senso che se vengono tenuti di tanto in tanto vicino allo stomaco, calmano i dolori che possono colpire questa parte del corpo".
Era l'origine dell'uso terapeutico dei pets. L'animale attentamente curato, passionalmente accarezzato iniziava a divenire guaritore.
2. La storia della Pet Therapy
La rinascita ufficiale della Pet Therapy avviene negli Usa nel 1961 e coincide con la pubblicazione del libro "Il cane come coterapeuta" di Boris Levinson.
Nell'attività di neuropsichiatra infantile, l'autore aveva scoperto che la presenza di un cane poteva esercitare un'influenza positiva sui piccoli pazienti. Il merito di questa scoperta va proprio al suo cane che era riuscito a stimolare alcune reazioni in un bambino affetto da una grave forma di autismo: la voglia di rivedere il cane aveva spinto il piccolo a chiedere di ritornare dal terapeuta.
Questo succedeva negli anni 50 e fu il primo di una lunga serie di casi in cui Levinson nelle sue sedute utilizzò in modo sistematico cani o gatti, arrivando alla fine a teorizzare la sua Pet oriented Child Psychotherapy e a coniare poi il termine Pet Therapy.
Secondo le esperienze di questo neuropsichiatra, l'interesse pe ril gioco che accomuna l'animale e il bambino rendeva immediata la loro reciproca comunicazione e nel bambino sollecitava un forte impulso ad esprimersi.
Ma l'intuizione che gli animali possono essere utilizzati a scopo terapeutico l'avevano avuta, già qualche secolo prima di Levinson, anche altri suoi colleghi. Nel 1792 in Inghilterra William Tuke lavorava sull'autocontrollo dei malati con disturbi mentali facendo in modo che si prendessero cura di alcuni animali domestici.
Nel 1867 in Germania, a Bielefeld, gli animali venivano utilizzati a scopo terapeutico in un centro di cura per epilettici; i risultati ottenuti furono tali da indurre a costruire una fattoria all'interno del centro stesso.
Nel 1919, il Segretario del Ministero degli Interni, Franklin K. Lane suggerì al Sovrintendente del St. Elizabeth's Hospital di Washington, dottor W. A. White, di introdurre dei cani a sostegno dei reduci della prima guerra mondiale affetti da gravi forme di depressione e schizofrenia.
Nel 1972, sempre negli Stati Uniti, furono invece alcuni reduci della guerra del Vietnam, ricoverati per disturbi da stress post traumatico (PTSD), a dimostrare quale beneficio può portare la presenza di un cane in determinate patologie.
Sottoposti a terapia riabilitativa e antidepressiva con scarsi risultati, i reduci mostrarono all'improvviso un inspiegabile e positivo cambiamento d'umore. La ragione fu chiara quando gli psichiatri si accorsero che nel reparto era stato portato un cucciolo trovatello di cui i pazienti si stavano prendendo cura.
Fu però dopo le teorizzazioni di Levinson che le applicazioni della Pet Therapy si moltiplicarono grazie ad altri ricercatori come ad esempio i psichiatri Samuel ed Elisabeth Corson, lo psicologo Clark Brickel, i medici James Serpell, Erica Friedmann, Massimo Aquilani ecc.
Il risultato fi che nel 1981, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, preso atto di questa realtà, dichiarò che ".... gli animali da compagnia, se corretamente accuditi, portano immensi benefici ai loro proprietari e alla società e non costituiscono un pericolo per nessuno".
In Italia, gli animali adibiti ad attività e terapie assistite possono entrare negli ospedali, negli istituti e nelle case di riposo, nelle carceri e nelle scuole, sempre naturalmente se condotti da personale preparato.
3. Gli effetti della Pet Therapy
Premesso che tra uomo e animale non debbano esserci incompatibilità di alcun genere (allergie, avversione, fobie, eccetera), prendiamo il caso del cane, l'animale più spesso utilizzato come con coterapeuta, e analizziamo in concreto quali effetti positivi produce sull'uomo la sua presenza.
Alla base del processo terapeutico c'è il rapporto di disinteressata amicizia che il cane riesce a instaurare con il padrone; un'interazione biunivoca, basata sul dare-avere, che gratifica l'uomo e lo rilassa perché è immediata, semplice e chiara e rappresenta quindi un punto di riferimento sicuro e un rifugio lontano dai ritmi frenetici della vita quotidiana.
A beneficiarne è innanzitutto la sfera emotiva e relazionale che il cane ha imparato a interpretare a partire dai cosiddetti "indici corporei", cioè dal linguaggio non verbale (gestualità e mimica, timbro della voce, odore e sudore).
Infatti, attraverso una serie di passaggi adattivi gli animali domestici hanno sviluppato capacità di tipo cognitivo ed emotivo. Il cervello del cane non arriva alla concettualizzazione, però è in grado di risolvere problemi di tipo concreto".
In altre parole, il cane riesce a rielaborare concetti in funzione dei risultati. Strumento di conoscenza del cane da non trascurare è la capacità di captare le sensazioni: comprendere una situazione dai movimenti, dai gesti e dalle vibrazioni che ogni uno di noi comunica". Ecco perché il cane si accorge quando il padrone è triste, nervoso o allegro e si comporta di conseguenza.
A sua volta il padrone sente di avere al proprio fianco un compagno partecipe e solidale che chiede affetto e lo dà, che offre nuovi spunti di comunicazione e socializzazione con il mondo esterno, stimola il buon umore, riduce il senso di solitudine e rappresenta una valvola di sfogo per lo stress e l'ansia.
I benefici prodotti dall'amicizia con un cane investono anche la sfera strettamente fisica dell'uomo come è emerso da numerose ricerche degli ultimi anni. Si ritiene che il semplice fatto di accarezzare un animale o di contemplare un'acquario di pesci tropicali porti a ridurre la pressione arteriosa e a rallentare il battito cardiaco, e che una relazione privilegiata tra un animale e il suo padrone aumenti la produzione di anticorpi e abbassi il rischio di contrarre alcune malattie.
Infatti, secondo diversi studi, pare che i proprietari di animali presenterebbero una riduzione delle patologie minori pari al 50%. Numerose sono anche le ricerche compiute per verificare gli effetti che il contatto con un animale produce su alcuni ben precisi parametri fisici; tutte hanno portato ai medesimi risultati: abbassamento della pressione sanguigna, normalizzazione della frequenza cardiaca, riduzione del rischio di infarto, riduzione del tasso di colesterolo e trigliceridi.
A questo proposito, 2 ricercatori presso l'Università della Pennsylvania (Aaron Katcher ed Erika Friedmann), nel 1977 osservarono che possedere un cane aumenta la percentuale di sopravvivenza nei posti infartuati di qualunque livello di gravità (si è notato un miglioramento generale: riduzione della pressione arteriosa del 10% circa negli ipertesi e migliore funzionalità del cuore).
Insomma, il cane impegna a livello psichico e a livello fisico: stimola la sfera delle emozioni generando riflessi sull'organismo che neutralizzano le negatività prodotte dallo stress e dall'ansia; il suo bisogno di giocare e di fare almeno una passeggiata al giorno impone poi quel minimo di attività motoria che è sempre salutare per la mente e per il corpo del suo padrone.
4. Le indicazioni
La Pet Therapy ha un ampio raggio di azione e diverse modalità di applicazione a seconda degli specifici casi.
Può avere una funzione puramente informativa educativa, ludico-ricreativa o rieducativa se rivolta a bambini sani in età evolutiva, in ambiti scolastici o se inserita in contesti critici (comunità di recupero, case di riposo, luoghi di detenzione ecc.); può svolgere azioni preventiva di stati depressivi e patologie cardiovascolari e può sopportare terapie riabilitative in pazienti con disabilità fisiche o comportamentali (autismo, sindrome di Down ecc.).
Abili e disabili, anziani e malati cronici: a tutti, senza distinzione di età, potrebbe essere prescritto un cane. Grazie alla sua funzione di "lubrificante sociale", il cane è in grado di svolgere in modo ideale il ruolo di catalizzatore e normalizzatore nei rapporti interfamiliari.
Per non parlare dei vantaggi che un bambino affetto da problemi comportamentali può trarre dal contatto con il cane e dal rapporto giocoso che con lui riesce a creare in modo del tutto naturale.
Così come la compagnia di un cane o un gatto può diventare un'ancora di salvezza per le persone anziane, molto spesso costrette a vivere lontano dai figli e oppressi dal senso di inutilità che assale inesorabilmente chi ha lavorato tutta una vita per la sua famiglia e poi si ritrova a doversi occupare solo di se stesso.
Ogni cellula della famiglia può, quindi, trarre giovamento dall'interazione con un cane. Il trattamento naturalmente va tarato a seconda dei casi e degli obiettivi da raggiungere che possono essere solo educativi e ricreativi (se rivolti apersone sane), o terapeutici (se rivolti a malati cronici, a convalescenti o a soggetti con problemi neuropsichiatrici).
Un'importante funzione formativa si realizza con l'inserimento della Pet Therapy in ambito scolastico per avviare i ragazzi alla conoscenza e al rispetto dell'altro o per intervenire in casi specifici di disadattamento ed emarginazione.
Altrettanto importante è l'utilizzo della Pet Therapy nelle comunità di recupero per tossicodipendenti o nelle carceri e nelle case di riposo, luoghi nei quali il cane svolge appieno il suo ruolo naturale di compagno vitale e affettuoso.
In situazioni caratterizzate dalla cronica assenza di stimoli e di prospettive, il cane diventa, infatti, oggetto privilegiato di attenzione e di cure con l'effetto di ridurre l'aggressività che facilmente esplode in questi casi, di stimolare nel gruppo coinvolto l'ottimismo e la rinascita di iterazioni positive, la voglia di conservare e di sorridere e suscitando nel singolo individuo un nuovo interesse nei confronti del mondo esterno e una diversa percezione di sé e degli altri.
Un esempio positivo è rappresentato dalle comunità di recupero dei tossicodipendenti, come quella di San Patrignano dove da anni ormai si fa ricorso alla Pet Therapy.
Al cane è anche affidato con successo anche il ruolo di coterapeuta nella riabilitazione vera e propria e nell'assistenza di pazienti con disabilità psicomotoria e sensoriale: basta pensare che il semplice gesto di spazzolare un cane può diventare un utile esercizio per chi ha problemi alle mani e in genere agli arti superiori.
Ci sono casi di utilizzo di cani per la riabilitazione delle persone affette dal virus HIV, da spina bifida, da morbo di Alzheimer, da sindrome di Down. Per non parlare dei compagni a 4 zampe addestrati ad hoc per fare gli "assistenti" e diventare gli occhi dei non vedenti e le orecchie dei non udenti.
5. L'azione coadiuvante
E' importante però fare delle precisazioni su questa capacità "guaritrice" degli animali per evitare equivoci ed eccessive aspettative.
Innanzitutto va chiarito che per fare Pet Therapy non basta inserire un animale nel contesto su cui si vuole intervenire; l'approccio al problema è molto più complesso e articolato e richiede l'azione multidisciplinare di un'équipe di specialisti che operi in campo sociale e sanitario.
E' necessario avere una giustificazione logica, un preciso scopo, un dettagliato protocollo e una metodologia chiara, un coinvolgimento di figure professionali e la selezione di animali adatti.
Cosa fondamentale da considerare è che l'animale è un coterapeuta, da affiancare quindi alle terapie tradizionali e cioè a quella farmacologica e a quella psicologica. Questo significa che la Pet Therapy non va vista come una terapia alternativa alle cure ufficiali o, peggio ancora, come una soluzione miracolosa adatta a ogni situazione morbosa.
Per esempio non vi si può ricorrere nei casi in cui il soggetto mostri paura o avversione per gli animali né in presenza di patologie fobiche e ossessivo-compulsive.
Occorre anche considerare i rischi all'utilizzo di questa terapia, rischi che per contro, se il trattamento viene condotto corretamente, in linea di massima sono presenti solo in 2 casi:
- morte accidentale dell'animale in corso di terapia, con conseguenti ripercussioni negative sul paziente che si è affezionato all'animale e
- stress a carico dell'animale causato dalla mole di compiti e responsabilità che gli vengono affidati.
Se poi l'animale opera all'interno di strutture sanitarie che ospitano lungodegenti, bisogna tener conto dei rischi di infezioni, allergie o morsicature. Tuttavia i notevoli benefici rilevati e l'adozione di dovute precauzioni rende minimi tali svantaggi.
Non possono, infine, rientrare in un programma di Pet Therapy:
- i soggetti zoofobici (che hanno paura degli animali) e ipocondriaci;
- coloro che sono affetti da forme gravi di depressione o da disturbi ossessivo-compulsivi;
- gli oligofrenici (affetti da deficienza mentale) e
- chi soffre di allergie correlate agli animali.