Secondo un’informativa dell’Organizzazione mondiale della sanità pubblicata in Italia dal Ministero della Salute, la mancanza di attività fisica è il quarto più importante fattore di rischio di mortalità a livello mondiale, causando il 6 per cento di tutti i decessi: le persone che fanno poco movimento presentano infatti un rischio di morte del 20-30 per cento più elevato rispetto a chi si muove.
Eppure, si fa sempre meno sport: uno studio pubblicato da Lancet Global Health e condotto su quasi due milioni di partecipanti in 168 Paesi ha rilevato lo scorso anno che 2 adulti su 5 non si muovono abbastanza.
Questo riguarda soprattutto i Paesi ricchi. Insomma, la tentazione di restare comodamente a casa davanti alla tv sembra sempre più forte del desiderio di fare qualcosa per stare meglio.
Sappiamo tutti che il dolce far niente può far male alla salute. Eppure non è facile rinunciarvi e impegnarsi in qualche attività. Secondo gli psicologi, c’entrano alcuni neurotrasmettitori e certe aree del cervello.
Poi ci sono anche delle ragioni psicologiche, come la paura di fare fatica o di non essere altezza. In ogni caso, non è impossibile imparare… a darsi una mossa.
1. Piaceri immediati e futuri. Siamo davvero convinti?
Una persona è pigra, quindi, se la sua motivazione a evitare lo sforzo vince sulla spinta a fare ciò che ritiene utile o doveroso. In teoria si tratta di una reazione normale, come spiegano gli evoluzionisti: come tutti gli animali, ci siamo evoluti per spendere meno energia possibile e concentrarci su ciò che ci dà soddisfazione immediata.
La comodità del divano è un piacere, certo, laddove i benefici salutistici ed estetici della palestra arrivano con il tempo, e non senza sforzi e rinunce.
I meccanismi psichici che ci gratificano quando proviamo piacere immediato sono peraltro più antichi e più forti di quelli necessari alla rinuncia finalizzata a una soddisfazione a lungo termine.
Spesso infatti gettiamo la spugna appena ci rendiamo conto che gli sforzi non portano un beneficio istantaneo. Ad esempio rinunciamo a imparare a suonare uno strumento perché ci aspettiamo di vedere risultati immediati.
Che cosa ci permette allora di uscire dalla comfort zone e di investire in un piacere futuro? Semplicemente la motivazione. A dire il vero c’è ben poco di semplice, dal momento che questa potente spinta che ci consente di mettere da parte l’innata pigrizia è influenzata da tanti fattori.
Primi tra tutti, da questioni emotive. Tutti sappiamo che fare attività fisica è importante, ma molti rinunciano perché non percepiscono i rischi dell’inattività come veri problemi che li possono toccare personalmente.
Uno dei motivi risiede nel volere davvero raggiungere quell’obiettivo: magari la motivazione è fragile, dettata da conformismo o pressioni sociali. In pratica ci imponiamo di fare qualcosa, ma senza esserne davvero convinti.
2. Il senso di autoefficacia. La paura e le basi biologiche
Molte persone, poi, propendono per una vita pigra perché non si sentono all’altezza di ciò che dovrebbero o vorrebbero fare: manca cioè quello che lo psicologo canadese Albert Bandura chiamava “senso di autoefficacia”.
Se riteniamo, a torto o a ragione, che qualcosa sia fuori della nostra portata, non avremo alcuna motivazione a raggiungerlo e quindi preferiremo gettare la spugna senza nemmeno provare.
Questo è evidente, ancora una volta, con l’attività fisica. Molte persone vi associano l’essere prestanti e performanti e la vivono con un senso di inadeguatezza e frustrazione oppure percepiscono i possibili benefici come lontani e difficili da raggiungere.
Se poi siamo di fronte ad attività mai sperimentate prima, potremmo essere bloccati anche dalla paura. Dedicarci a qualcosa di nuovo potrebbe risultare spiacevole: potremmo dubitare di riuscire, ad esempio.
E così il timore di provare sensazioni negative ci spinge a trovare sollievo in una confortevole pigrizia. Esistono poi persone che per darsi da fare hanno bisogno di essere spinte da altri: non riescono cioè a trovare una motivazione interna. In questi casi la condivisione dello sforzo, come succede in chi va ad allenarsi insieme a un amico, può aiutare.
La motivazione ha però anche basi biologiche: uno studio condotto dalla Vanderbilt University (USA) ha infatti scoperto il ruolo di un neurotrasmettitore, la dopamina, la cui presenza in alcune regioni del cervello può determinare la tendenza a essere attivi o procrastinatori.
Per farlo i ricercatori hanno sottoposto a imaging funzionale il cervello di 25 giovani adulti volontari a cui poi è stato somministrato un test per determinare la loro propensione a lavorare a fronte di una ricompensa in denaro.
Dall’indagine è emerso che un picco di dopamina a livello dell’insula anteriore è correlato a una maggiore tendenza alla pigrizia anche qualora ciò corrisponda, come nella situazione sperimentale, a guadagni minori.
3. Le aree della motivazione. Non esistono personalità pigre
«Sono invece le aree prefrontali del cervello», spiega in un’intervista Matteo Rampin, psichiatra e autore di Elogio della fatica (Ponte alle Grazie), «che ci consentono di trattenerci dai piaceri immediati per spostare in avanti nel tempo il soddisfacimento dei nostri bisogni».
Non sempre però queste aree funzionano a dovere, e anche questo può avere una base biologica: lo chiariva nel 2004 uno studio condotto al National Institute of Mental Health americano, durante il quale alcune scimmie furono sottoposte a una terapia che, alterando uno specifico gene che agisce sui meccanismi della dopamina, le aveva trasformate da pigre a stacanoviste.
Attenzione, però: come sempre questi risultati sperimentali vanno presi con le pinze. Differenze individuali in questi meccanismi non sono una giustificazione per chi è “biologicamente pigro” a restare tutto il giorno a oziare.
Prima di tutto non è detto che questa propensione biologica alla pigrizia sia immutabile, inoltre non è nemmeno vero che una persona pigra lo sia sempre: molto dipende dal contesto. La stessa persona può esserlo in un certo tipo di attività, ma non in altre.
E persino per una stessa attività può mostrare livelli di vitalità diversi a seconda del momento. Questo smentisce il luogo comune secondo cui esistano tipologie di personalità più pigre di altre.
4. È anche colpa della società. Paura del successo?
In queste dinamiche un ruolo decisivo è giocato anche dall’ambiente. Una società edonista come la nostra non aiuta. Una cultura che spinge le persone a collegare il concetto di impegno a quello di raggiungimento degli obiettivi produce individui solidi.
Una invece che nega l’impegno e propone modelli di successo basati sugli escamotage dà luogo a individui passivi e vulnerabili.
Se è vero che ci spinge verso i piaceri immediati, d’altro canto la società occidentale pretende tanto dagli individui, che sono chiamati a essere sempre vincenti nella vita privata come in quella professionale.
Questo però non fa che generare paura del fallimento, specie in chi ha bassa autostima. Così veniamo bloccati da un’ansia anticipatoria che può spingere a rinunciare allo sforzo già in partenza.
Certo, per alcuni le pressioni sociali possono funzionare da sprone a cambiare, ma tutto dipende da come ciascuno le percepisce e riesce a sopportarle.
Peraltro, se c’è chi teme il fallimento, non manca chi ha paradossalmente paura del suo contrario: la pigrizia può essere infatti un escamotage quando temiamo che il compito che stiamo svolgendo possa portarci al successo e quindi a responsabilità che temiamo di non saper gestire.
Un caso tipico è quello di chi preferisce non impegnarsi sul lavoro per paura di una promozione e quindi di un incremento di impegno e fatica.
5. Si può smettere di essere pigri? Qualche volta la pigrizia fa bene
Mai spaventare una persona mettendola di fronte ai terribili rischi per la salute di una vita sedentaria. Così rischiamo l’effetto opposto, cioè di allontanarla dallo sport.
È meglio insistere sugli aspetti positivi della palestra, del nuoto o della pallavolo: possono aiutare a migliorare l’aspetto fisico, faranno stare meglio, permetteranno di fare nuove amicizie.
In questo senso è utile la cosiddetta “bilancia decisionale”. Mettiamo per iscritto, per ogni attività a cui vorremo dedicarci ma per la quale ci sentiamo troppo pigri, tutti i pro e i contro: spesso infatti ci concentriamo solo sui vantaggi della pigrizia e non sui suoi costi.
Inoltre è bene che la spinta a darci da fare sia graduale: niente obiettivi irrealistici o che non tengono in considerazione la nostra natura. Per questo il primo passo è conoscere i nostri ritmi, dosando le risorse fisiche e mentali e prendendoci le giuste pause quando servono.
Rallentare è un modo per ricaricarsi e per prendere del tempo per sé. Quando non è noia, l’ozio può essere creativo: ci aiuta a sganciarci dalle preoccupazioni per ritrovare le energie.
Del resto molti studi hanno chiarito come riposarsi porti benefici al corpo ma anche alla mente. In questo senso la pigrizia potrebbe essere intesa come un meccanismo che ci spinge, quando siamo stressati, a fermarci per ritrovare i nostri tempi.
GUARDIAMOCI DENTRO!
Quando la tentazione del dolce far niente ci prende, spesso ci sentiamo scissi in due: una parte di noi sa, razionalmente, che dovremmo darci da fare, mentre l’altra, più emotiva, ci tiene legati al divano. Come fare?
Prima di tutto, spiegano gli psicologi, dobbiamo capire se veramente vogliamo fare quel che la testa ci dice. Chiediamoci allora quanto ha senso per noi fare quella cosa oppure se vorremmo farla soltanto perché pensiamo razionalmente che sia giusto.
Inoltre domandiamoci se nel dedicarci a quell’attività temiamo, in fondo in fondo, di sbagliare o di non essere all’altezza.