Quando le parole fanno molto male

«Guarda come ti vesti», «Stasera te ne stai a casa», «Non combinerai mai niente nella vita».

La violenza non è solamente fisica. Ne esiste una forma più sottile, ma potentissima: quella delle parole.

Può causare danni enormi, che purtroppo passano spesso inosservati: la troviamo nelle coppie, dove la disparità tra i partner porta a fenomeni di aggressione verbale o di sopruso mentale, ma anche nelle relazioni di lavoro e in molti altri contesti.

Frasi del genere non vanno sottovalutate perché la violenza psicologica può creare nelle vittime danni importanti quanto quella fisica.

Teniamone conto e impariamo a difenderci.

 

1. Dati allarmanti

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Il fenomeno rientra molto spesso nelle dinamiche della violenza di genere, dal momento che le vittime sono spesso donne e i carnefici i loro compagni.

Secondo un’indagine ISTAT del 2014 la violenza psicologica è più diffusa tra le giovani (l’ha subita il 35 per cento delle 16 - 24enni rispetto a una media del 26,5 per cento) e tra le donne che vivono al Sud e le straniere residenti nel nostro Paese.

Ormai la maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea considera la violenza psicologica come componente della violenza domestica,ma alcuni hanno istituito un reato distinto di violenza psicologica.

«Anche se abbiamo osservato tra gli aggressori una prevalenza di maschi, non si può escludere il contrario», spiega Carmela Mento, psicologa all’Università di Messina e co-curatrice di Gabbie di parole. Il linguaggio della violenza psicologica: valutazione, prevenzione e intervento (Franco Angeli).

 

Talvolta anche le donne mettono in atto forme di sopraffazione psicologica nei confronti di fidanzati e mariti: «Non parlerei quindi di genere quanto di elementi, tratti e funzionamenti della personalità di ognuno che possono agevolare dinamiche disfunzionali, perverse e tossiche».

La violenza psicologica, infatti, nasce sempre dall’incontro di un aggressore e di una vittima che per qualche ragione intessono legami patologici che possono condurre a conseguenze nefaste.

Come quella fisica, anche la violenza psicologica si manifesta in varie forme, tutte caratterizzate dalla presenza di un carnefice che adotta forme di comunicazione distorte.

«Ci sono soggetti che generano spirali di bugie, che tengono l’altro attaccato al filo della dipendenza affettiva oppure che, in modo più diretto, fanno uso di minacce, accuse che instillano sentimenti di colpa», spiega Mento.

Chi usa violenza può arrivare a umiliare l’altro con critiche che lo svalutano sul piano fisico e relazionale o con commenti negativi sulle sue capacità professionali. A volte questa svalutazione si alterna a espressioni di amore.

Si tratta della dinamica definita warm-cold, cioè caldo e freddo: «È un comportamento basato sul dare amore per poi toglierlo, generando fratture interiori: l’altalena emotiva è stressante e porta a pesanti conseguenze sul benessere psichico».

 

2. Controllo esasperato o silenzio

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Una forma particolarmente diffusa di sopruso psicologico in coppia è anche il controllo: la pretesa di controllare i movimenti dell’altro o di leggerne i messaggi sul telefono portano a un annullamento del partner che diventa uno schiavo.

D’altro canto, l’abusante può esercitare violenza attribuendo sempre e solo all’altro l’origine dei problemi della coppia.

Infine, c’è la tattica più violenta: quella del silenzio. Se il sopruso psicologico si basa in genere sulle parole, anche i silenzi possono indebolire e limitare la vittima.

Mostrarsi indifferente all’alto interrompendo la comunicazione causa frustrazione e dolore: è il fenomeno della disconferma, come lo definisce il celebre psicologo della comunicazione Paul Watzlawick.

Si tratta di una forma di manipolazione molto subdola: del resto, la violenza psicologica si fonda proprio su atti manipolatori.

I soggetti che li mettono in atto hanno una dote naturale nel controllare l’altro grazie a innate capacità comunicative che lo rendono dipendente dai loro stessi soprusi: «Contano sul fatto che il partner cederà sempre di fronte alle loro reazioni emotivamente esagerate», spiega la psicoterapeuta di coppia Randi Gunther su Psychology Today.

Chi abusa psicologicamente non è inconsapevole di queste dinamiche: è pressoché sempre cosciente di farlo. «Un manipolatore», dice Mento, «agisce intenzionalmente per i propri scopi e avendo scarsa, se non assente, empatia, non si cura della sofferenza che genera».

 

3. Che cos’è il gaslighting e perché è difficile fuggire?

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Negli ultimi anni diversi studi si sono concentrati sul gaslighting, fenomeno che si manifesta quando la persona abusante confonde e destabilizza l’altro convincendolo che i suoi ricordi sono falsati.

Il termine deriva da un film del 1944, dal titolo Gaslight (in Italia, Angoscia) in cui un marito cerca di portare la moglie alla follia alterando piccoli elementi dell’ambiente: ad esempio abbassa le luci delle lampade a gas di casa per poi sostenere che erano sempre state così e che è lei a ricordare male.

Chi fa gaslighting può persino portare la vittima a credere di essersi immaginata le violenze subite: così però questa dubita sempre di più di se stessa, rendendosi sempre più schiava del partner.

«Questa e altre dinamiche di violenza psicologica conducono la vittima a perdere la propria autostima, il proprio senso di integrità fino a vedere indebolita la propria dignità», aggiunge la psicologa.

Tutto ciò può generare disturbi dell’umore, ansia e depressione, con una compromissione della qualità di vita: lo ha dimostrato anche uno studio coreano del 2019 firmato da Je-Yeon Yun del Seoul National University Hospital e colleghi, uscito su Scientific Reports.

 

Condotto su 5616 studenti universitari, ha rilevato una correlazione possibile tra violenza verbale subita e insorgenza di fenomeni di irritabilità e cambiamenti psicomotori.

Perché allora le vittime non scappano da relazioni così tossiche? «La crescente insicurezza non solo porta all’erosione costante dell’autostima, ma rende anche difficile metterein discussione la relazione», scrive Francesco Bulli, psicoterapeuta presso l’istituto Ipsico di Firenze. «Il risultato è che si innesca una spirale che rende la vittima sempre più dipendente dall’abusante».

Da un lato, il profilo psicologico della persona abusata può rendere ancora più complessa una separazione: «Spesso questa presenta aspetti di vulnerabilità, come una tendenza innata alla dipendenza affettiva, ma anche bassa autostima di base, paura dell’abbandono e della solitudine», conclude Mento.

Senza contare un’eventuale dipendenza economica, che complica ulteriormente la condizione. In questo, come in altri casi di relazioni pericolose, occorrerebbe poter mantenere un minimo di lucidità così da prevenire gli esiti più gravi interrompendo il legame quando si è ancora in tempo.

«Occorrono un’educazione alla comunicazione empatica e non violenta, l’apprendimento di tecniche di protezione da chi abusa verbalmente e un sostegno psicologico puntuale alle vittime», scrivono gli autori dello studio coreano nelle loro conclusioni.

Se questo è vero per chiunque, lo è in modo particolare per i più giovani, che oggi, complice il mondo digitale, sono fortemente esposti al rischio di subire le conseguenze psichiche delle parole che feriscono.

 

4. Il bullismo verbale si affronta mostrandosi senza paura

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Una forma di violenza verbale oggi sempre più dibattuta è il bullismo.

«Una ricerca di alcuni anni fa», ha spiegato Bruna Ferrarese, formatrice nell’ambito delle risorse umane e autrice dell’ebook Comunicazione assertiva (Bruno editore), «tracciava un identikit delle vittime di bullismo: ragazzi timidi e sensibili con difficoltà a socializzare e pochi amici. Intelligenti, sono lodati dagli adulti, suscitando invidia fra i coetanei».

Non si tratta di un fenomeno limitato ai giovanissimi: il bullismo verbale riguarda anche gli adulti, ad esempio nei contesti di lavoro.

Secondo gli psicologi, gli autori di queste azioni hanno molto in comune con i ragazzi prepotenti che probabilmente sono stati. Spesso la vittima è remissiva e docile e presta il fianco alla sopraffazione.

Un modo per difendersi è mostrarsi assertivi: se un collega ci chiede di fare del lavoro per lui, rispondiamogli che prima vogliamo finire il nostro lavoro e poi gli daremo una mano.

Se insiste con crescente aggressività, impariamo a rifiutare. Facciamolo senza paura e guardandolo direttamente negli occhi.

Evitiamo in ogni caso il nervosismo e manteniamo una postura che esprima sicurezza: sono piccoli trucchi che daranno di noi l’immagine di chi non ha intenzione di farsi sopraffare o manipolare.

 





5. In ufficio il mobbing è spesso mascherato

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Anche sul lavoro si verificano fenomeni di violenza psicologica.

«Nei contesti lavorativi l’ostracismo, il bullismo, la prevaricazione non possono essere facilmente ostentati nella nostra società democratica», ha spiegato in un’intervista Adriano Zamperini, docente di Psicologia della violenza all’Università di Padova.

Insomma, un datore di lavoro che insulti il dipendente è subito stigmatizzato e può essere denunciato. «Si può pertanto verificare un mascheramento».

Così il datore di lavoro abusante non userà toni pesanti, ma agirà piuttosto manipolando la vittima in modo sottile: «Pensiamo all’arroganza da parte di un dirigente nei confronti di un suo sottoposto ottenuta attraverso la disattenzione: non fa niente contro il dipendente, se non comportarsi come se questo fosse invisibile».

Tacendo e ignorandolo, lo svaluta: è quello che capita in alcuni fenomeni di demansionamento, ovvero la riduzione delle mansioni affidate a un dipendente, messi in atto con l’obiettivo di farlo sentire inutile danneggiandolo così sul piano psichico.

Un fenomeno che, a tutti gli effetti, rappresenta una grave forma di mobbing.

 








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