Un talento straordinario e un’astuzia fuori dal comune fecero di questo artista, di cui si celebrano i 500 anni dalla morte, uno dei più acclamati pittori della storia dell’arte.
Fu attivo a Firenze e a Roma dove seppe introdursi negli ambienti giusti, scavalcando colleghi di fama, se non addirittura “cancellandoli”…
Di fronte ai suoi quadri, si prova una fascinazione che rasenta lo sgomento. Una sorta di stupore che dovettero certamente provare anche i suoi contemporanei.
Soprannominato “il divin pittore”, di lui si disse che «non visse da pittore, ma da principe». In effetti, insieme a Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti, è stato uno dei tre “principi” del Rinascimento.
1. Figlio d’arte
Raffaello nasce a Urbino nel 1483 ed è il primo e unico figlio di Magia Ciarla (Magia è il nome di una ninfa) e di Giovanni Santi, un pittore di 50 anni, titolare di una bottega d’arte piuttosto attiva grazie alle commesse del duca Federico da Montefeltro e dell’aristocrazia locale.
Raffaello resta orfano di madre a 8 anni e di padre a 11.
Occorre dire che, dopo la morte della moglie Magia, Giovanni si era risposato con Bernardina di Pietro Parte, la quale, subito dopo il funerale del marito, nel 1494, cita il figliastro Raffaello in tribunale: vuole accaparrarsi il grosso dell’eredità.
Per fortuna a difendere Raffaello c’è lo zio Bartolomeo (fratello del padre) che lo protegge durante la battaglia legale.
Nel giro di poco tempo, il ragazzino entra nella bottega paterna dove inizia l’apprendistato artistico sotto la guida dei collaboratori e dei garzoni che erano stati al servizio di suo padre Giovanni. Di questi anni non sappiamo niente.
Si può solo ipotizzare che Raffaello abbia dato prova di un talento fuori dell’ordinario se nel 1500, a soli 17 anni, firma il primo contratto da magister, titolo riservato a chi guida una propria bottega.
Il ragazzo si firma magister Rafael Johannis Santis de Urbino e ottiene la sua prima commissione importante da Andrea Baronci, un facoltoso commerciante di lana che vuole decorare la propria cappella di famiglia.
Col vecchio aiutante del padre, Evangelista da Pian di Meleto, dipinge nel 1501 il Trionfo di san Nicola da Tolentino sul diavolo, detto anche Pala Baronci, oggi smembrato e visibile solo a frammenti.
Nella foto sotto, "Scuola di Atene" il celebre affresco di Raffaello, 1509-1511 circa.
2. L’ascesa del giovane maestro
All’inizio del Cinquecento di Raffaello si perdono le tracce.
Non si sa se sposti la bottega di famiglia da Urbino a Città di Castello o se passi un paio di anni di apprendistato presso il Perugino.
Si sa solo che tra il 1502 e il 1504 ottiene alcune importanti commesse tra Siena e Perugia, dove nel giro di poco tempo riesce a farsi largo tra artisti celebrati come Perugino, Pinturicchio e Luca Signorelli.
Nel 1502 è tra gli artisti scelti dal Pinturicchio per realizzare gli affreschi della sala che deve accogliere la celebre biblioteca di Enea Silvio Piccolomini, ovvero Papa Pio II (la Libreria Piccolomini).
Non si sa come Raffaello riesca a entrare in questo gruppo o chi lo abbia raccomandato al Pinturicchio. Certo questa scelta è quantomeno singolare, come osserva Costantino D’Orazio in Raffaello segreto: Dal mistero della Fornarina alle Stanze Vaticane (Sperling&Kupfer).
«Raffaello non è un giovane alle prime armi, è già un magister. Potrebbe impegnarsi nella ricerca di nuove commissioni per la sua bottega, sfruttare la fama guadagnata grazie alla Pala Baronci, invece si mette a disposizione di uno degli artisti più in voga del momento come un umile collaboratore».
Pur giovanissimo, è infatti consapevole del proprio talento, e desidera imparare, carpire i segreti dei grandi maestri per poi superarli: ecco la sua strategia. A Città di Castello, nel 1504, la famiglia Albizzini gli commissiona lo Sposalizio della Vergine per la locale chiesa di San Francesco.
Qualche tempo prima Raffaello aveva visto il Perugino immerso nella realizzazione di un’opera sull’identico tema per il Duomo di Perugia.
Ebbene, nonostante abbia solo 21 anni, non esita a rischiare il tutto per tutto: sfida il maestro sul suo stesso terreno, si misura con la stessa struttura compositiva e, tra la sorpresa di tutti, ottiene un risultato nettamente superiore.
Nella foto sotto, ritratto di Baldassare Castiglione.
3. Il periodo fiorentino
È in questo stesso periodo che Raffaello viene a conoscenza dei grandi lavori commissionati a Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti, due artisti che si detestano, costretti in quegli anni a convivere nella stessa città, Firenze, e a dividersi l’ammirazione sconfinata dei contemporanei.
Il giovane urbinate capisce subito che cosa deve fare: il suo istinto infallibile e la sua ambizione, smisurata quanto il suo talento, lo conducono a Firenze per osservare e assimilare quanto di meglio la città dei Medici offre dal punto di vista artistico.
Vi arriva sul finire del 1504 (o forse verso l’inizio del 1505) e ci resta fino al 1508 circa. È già una tigre spregiudicata, ambiziosa, conscia del proprio talento e desiderosa di misurarsi con i più grandi.
Qui osserva le soluzioni compositive di Leonardo e Michelangelo e in particolare studia il movimento e la plasticità che i due geni imprimono ai corpi umani, rivoluzionando le arti figurative dell’epoca.
A Firenze Raffaello stringe amicizia con Taddeo Taddei, un uomo d’affari e un intellettuale di spicco, che gli commissiona la pittura di una Vergine con Bambino, la prima di una lunga serie di Madonne: nella sua breve vita Raffaello ne dipingerà infatti più di trenta, una più bella dell’altra.
La Madonna del Belvedere o Madonna del Prato, dipinta per Taddei nel 1506, la Madonna del Cardellino dipinta nello stesso periodo per Lorenzo Nasi, ricco commerciante di panni di lana, e La Bella Giardiniera, dipinta nel 1507 per il senese Filippo Sergardi, tanto per citare le più famose, mostrano quanto abbia assimilato i moduli leonardeschi cui aggiunge una sensibilità umana nuova, calda, affettiva, immediata che Leonardo non ha.
La plasticità delle sue figure e dei dettagli rivelano invece quanto abbia fatto proprio l’insegnamento di Michelangelo.
Nella foto sotto, La Madonna del Belvedere (a sinistra), era stata commissionata a Raffaello da Taddeo Taddei intorno al 1506. La Madonna del Cardellino (al centro), dipinta attorno al 1506, oggi si trova nella Galleria degli Uffizi a Firenze. La Bella Giardiniera, (a destra), dipinta intorno al 1507 e conservata al Louvre di Parigi.
4. Il Papa lo invita a Roma
La fama di Raffaello varca i confini di Firenze e alla fine del 1508 è chiamato a Roma da papa Giulio II (foto a sinistra), al secolo Giuliano della Rovere.
Il pontefice sta ridisegnando la Città Eterna sia sul piano monumentale sia su quello politico nel tentativo di ridare a Roma (e a se stesso) lo splendore e il potere di un tempo.
La città è tutto un susseguirsi di cantieri che attirano i migliori pittori, scultori, architetti e ingegneri sulla piazza, da Michelangelo al Bramante. Secondo il Vasari, è proprio quest’ultimo a fare il nome di Raffaello al pontefice.
Vero o no, il 25enne non si fa ripetere l’invito due volte: lascia Firenze di corsa ed entra alla corte pontificia in punta di piedi. Intendiamoci: il giovane urbinate non ha nessuna umiltà ed è pronto a misurarsi anche con Michelangelo, ma sa bene di doversi travestire con una pelle di pecora se vuole arrivare dove vuole.
A Roma, Michelangelo è alle prese con la volta della Cappella Sistina, mentre un gruppo di affermati pittori, come Lorenzo Lotto, Cesare da Sesto, il Sodoma, Pietro Perugino, Baldassarre Peruzzi e il Bramantino, lavorano in gruppo a un altro progetto del Papa: il rinnovo radicale della decorazione delle Stanze, come viene chiamato il nuovo appartamento privato del pontefice.
Per tutti loro, l’invito e la commessa in Vaticano è il coronamento di una lunga, onorata carriera che l’ultimo arrivato manderà discretamente a ramengo. A Raffaello, il Papa chiede schizzi e progetti pittorici per la Stanza della Segnatura e il giovane artista, per nulla intimidito, si mette all’opera.
Il Papa resta così folgorato dalle sue proposte da decidere di licenziare tutto il gruppo degli artisti e affidare a lui solo la decorazione di quattro Stanze. Gli dà addirittura il permesso di distruggere la decorazione sottostante, sia quella “vecchia” dipinta da Piero della Francesca, Andrea del Castagno e Luca Signorelli, sia quella “nuova”, eseguita da poco.
È il 1509 e in Vaticano non si parla d’altro. Il Papa è impazzito? Ben quattro Stanze all’ultimo arrivato! Probabilmente Giulio II, che fu uno dei mecenati più intelligenti della storia pontificia, vide il genio di Raffaello, il suo talento compositivo, la sua mano così “classica” e nel contempo così “innovativa”.
E Raffaello? «È talmente furbo e accorto che per un certo periodo coinvolge nei lavori anche gli altri artisti già impegnati nelle Stanze. Non distrugge tutti gli affreschi presenti in quelle sale. Scompaiono i dipinti di Piero della Francesca, ma restano i soffitti di Baldassarre Peruzzi (nella Stanza di Eliodoro) e Perugino (nella Stanza dell’Incendio di Borgo). Sanzio conserva le immagini che non avrebbero mai potuto danneggiare le sue opere e che, anzi, avrebbero addirittura esaltato la novità del suo stile. È un uomo scaltro che conosce i rischi di un ambiente in cui è facilissimo farsi dei nemici», scrive il saggista Costantino D’Orazio.
Nella foto sotto, su questi due meravigliosi ritratti dell’ultimo periodo è stata costruita una romanticissima storia d’amore. La giovane ritratta da Raffaello in queste due opere e nella Madonna Sistina è la bellissima Margherita, figlia di un senese, Francesco Luti, con bottega di panettiere in via di Santa Dorotea 19, nel quartiere romano di Trastevere.
Raffaello, un trentenne ancora bello, dai lineamenti delicati e dai lunghi capelli scuri, la incontra per caso, lungo il Tevere, e resta abbagliato dalla sua grazia. Margherita, detta la “Fornarina” per via dell’attività paterna, diviene prima la musa ispiratrice del pittore, e poi la moglie, sposata in gran segreto.
Il 6 aprile 1520, Raffaello muore improvvisamente e la ragazza il 18 agosto dello stesso anno si chiude disperata nel monastero di Sant’Apollonia a Trastevere. Che cosa c’è di vero in questa storia? Forse niente.
Gli studiosi non sono sicuri che La Velata, La Fornarina e la Madonna Sistina siano la stessa modella; in secondo luogo “Fornarina” all’epoca era il soprannome che si davano alcune prostitute e questo fa vacillare l’identificazione con Margherita Luti. Per alcuni studiosi, infine, il quadro non è un ritratto reale ma un’immagine di Venere.
5. Le donne e il mistero della sua morte
Nel febbraio 1513, Giulio II muore. Il suo successore Leone X, figlio secondogenito di Lorenzo de’ Medici e Clarice Orsini, conferma tutti gli incarichi a Raffaello, circondato da un’aura di perfezione senza pari.
Le commesse si moltiplicano senza sosta e lui le accetta tutte, grazie alla sapiente gestione di una articolata bottega in cui lavorano giovani apprendisti e artisti affermati.
L’allievo più dotato si chiama Giulio Romano: si unisce alla bottega di Raffaello nel 1515 e alla morte del maestro si trasferirà presso i Gonzaga, a Mantova, dove sarà il “prefetto delle fabbriche” (sovrintendente alle arti e all’architettura) lasciando testimonianza del proprio talento nel Palazzo Te; si sposerà con una nobildonna e darà al proprio figlio maschio il nome di Raffaello, in onore al suo vecchio amatissimo maestro.
Tra i committenti spicca il potente Agostino Chigi (1466-1520), un raffinato banchiere toscano di grandissima fortuna e notevole intelligenza che vuole l’artista più richiesto del momento, di cui diverrà in seguito un ottimo amico, per affidargli dei lavori nella sua meravigliosa villa in via della Lungara, la Farnesina, la decorazione di una cappella nella chiesa di Santa Maria della Pace e infine l’intera progettazione della cappella di famiglia in Santa Maria del Popolo.
Per quest’ultimo lavoro, Raffaello disegna il progetto architettonico ispirandosi al Bramante e cura i cartoni per i mosaici della cupola (la cappella sarà completata da Bernini solo nel 1652-1656).
Ormai Raffaello è un uomo benestante, per non dire ricco: è ben diverso da Leonardo che nonostante i guadagni resta sempre in bolletta, e da Michelangelo che odia parlare di soldi ma sotto sotto è un avaraccio. Raffaello gestisce il denaro che guadagna con grande accortezza, come fa del resto con la propria carriera.
Difetti? I contemporanei lo descrivono come un uomo di buon carattere e molto affidabile, il Vasari lo cita come un gran donnaiolo: «Fu Raffaello persona molto amorosa et affezzionata alle donne, e di continuo presto ai servigi loro». Vero? Probabile, ma non ne sappiamo molto.
Negli ultimi anni Raffaello si impegna quasi a tempo pieno come architetto capo nella fabbrica della Basilica di San Pietro e negli incarichi legati alla nomina di conservatore delle antichità romane.
Dal 1517 al 1519, con il suo gruppo di collaboratori e allievi di bottega, decora le Logge Vaticane, e accetta una grande commessa dal cardinale Giulio de’ Medici (che da lì a poco diverrà Papa) per una Trasfigurazione di Cristo. Sarà la sua ultima opera.
Secondo varie fonti, Raffaello iniziò infatti a soffrire di forti febbri, curate, come si faceva allora, con un salasso. Morì alle 3 di mattina del 6 aprile del 1520, a soli 37 anni. Di che cosa morì? Vasari parla di un “disordine” legato agli eccessi sessuali, cioè insinua si trattasse di sifilide o di altra grave patologia a trasmissione sessuale.
C’è chi sostiene sia morto di polmonite e chi ipotizza si sia trattato di un avvelenamento con l’arsenico (pratica alquanto usuale all’epoca). Non è possibile accettare o ricusare alcuna ipotesi: mancano documenti, prove o testimonianze che ci permettano di far luce sulle vere cause della morte dell’artista.
Nella foto sotto, papa Giulio II. Raffaello eseguì questo dipinto nel 1511, ritraendo il pontefice insolitamente pensieroso. Quell’anno aveva subìto pesanti sconfitte da parte dei francesi.