Allorché gli viene posta la doppia Corona dell’Alto e Basso Egitto sul capo, Ramesse II si rende conto che per condurre una politica di prosperità e di pace bisogna avere le frontiere sicure e soffocare sul nascere le ambizioni dei popoli stranieri.
Purtroppo il nemico da battere è ancora l’impero hittita. Thutmosis III, due secoli prima, l’aveva ridotto a una potenza trascurabile.
Con il faraone eretico Ekhnaton si era rifatto aggressivo e da allora le sue mire espansionistiche l’avevano visto costantemente impegnato in Siria e in Cananea.
Con Seti I aveva però subito un’ altra batosta. Era tuttavia come la fenice, dalle ceneri nasceva sempre a nuova vita. Il desiderio di colpire mortalmente queste «abominevoli» genti è quindi il primo sogno del giovane Ramesse.
Durante il quarto anno di regno inizia perciò la sua prima “Campagna di Vittorie”, in oriente. Lo scopo è di intimorire la piccole città-stato e di stipare viveri e armi nelle basi egiziane sparse nella Fenicia, condizione indispensabile per poter operare con un corpo di spedizione più agguerrito.
L’importanza di certe roccheforti per dominare l’oriente è nota al giovane faraone. Si chiamano Megiddo, Ugarit, Simira, Aleppo, Tunip, Carchemish, tutti centri carovanieri di primissimo ordine.
La fortezza da conquistare per togliere l’iniziativa agli Hittiti è però Kadesh, roccaforte che domina l’alta valle del fiume Oronte, tra le due catene del Libano. Tutti gli eserciti diretti al nord o al sud erano sempre passati per questa valle onde evitare lo stretto cammino costiero, interrotto dalle foci dei fiumi.
Spintosi fino al Fiume del Cane (oggi Mahr el-Kebb), nei pressi di Byblos, Ramesse si rende conto che con la morte del padre molte cose sono cambiate. I malfidi re della Cananea, sempre pronti a schierarsi con il più forte, hanno accettato per l’ennesima volta la sovranità hittita.
Ramesse II fu uno dei più grandi sovrani della storia dell’antico Egitto, forse il più grande di tutti, sicuramente il più conosciuto anche per coloro che non sono studiosi di professione.
Alla fine del suo lunghissimo regno, durato sessantasette anni, l’Egitto era un paese ricco e potente. Vennero costruiti templi come quello di Abu Simbel, statue colossali, obelischi ed i confini vennero allargati.
1. Kadesh e gli Hittiti
Spostare un esercito di venti-trenta mila uomini dall'Egitto all'alta valle dell'Oronte aveva sempre richiesto mezzi illimitati e molta abilità, fattori che al giovane Ramesse II non mancano.
Deciso ad aggredire per non essere aggredito, ordina che vengano preparate quattro divisioni, la Amon, la Ra, la Ptah e la Seth. Esse portano i nomi e le insegne delle divinità più importanti dell'Egitto.
Il loro organico rimane grosso modo quello classico sperimentato con successo dal grande Thutmosis, e cioè reparti di fanteria leggera con arco a semplice e a doppia curva, altri di fanteria pesante armati di lancia e scudo, carri da guerra con due uomini d' equipaggio, trombettieri, porta ordini, alfieri con gli stendardi, medici e veterinari, scribi e sacerdoti, asini da soma, carriaggi con viveri, barche ed armi di riserva tirati da buoi.
Lo squadrone di carri comprende 50 unità, divise in gruppi di cinque; le compagnie di fanti, di 200 uomini comandati da un «porta stendardo», si dividono in gruppi di cento, cinquanta, dieci. Mentre i carristi sono tutti egiziani, in prevalenza figli di notabili, la fanteria annovera tra le sue file un numero elevatissimo di mercenari, fino a comprendere i due terzi degli effettivi.
Libici, Nubiani, Beduini, Asiatici, militano in compagnie distinte, in raggruppamenti cioè omogenei, con i propri comandanti. la Guardia Reale è un corpo a sé protegge la Maestà del faraone e la reggia. Lo compongono alcuni squadroni di carri con il fior fiore della gioventù egiziana.
Di ritorno dalla campagna d'assaggio, Ramesse II non indugia nei festosi ozi di Palazzo. Già dopo pochi mesi, al termine del quinto anno di regno, parte dalla fortezza di Tjel, sicuro di portare a termine l' impresa non riuscita al padre Seti, e cioè quella di annientare per sempre l' esercito hittita e fare di Kadesh una roccaforte egiziana.
In Egitto parlare degli «abominevoli Kheta» o degli «abitanti della miserabile Terra di Khatti» equivale a nominare gli Hittiti. Negli ambienti responsabili si incoraggia quindi il giovane faraone, desideroso di condurre il «vile» nemico, vinto e rassegnato, nella Valle del Nilo.
Gli Israeliti, costretti a fabbricare mattoni per le nuove città di Pi-Rames e di Pitom, non faticheranno più da soli. Muwatalli, re hittita, non rimane però in sterili meditazioni o a godere nella splendida «casa delle recluse », e cioè con le graziose concubine. Le spie gli hanno riferito sul corpo di spedizione egiziano e sulle intenzioni del suo secolare nemico, il faraone d' Egitto.
Al suo già potente esercito si alleano i Dardani, i Misi, i Pedasi, oltre alle città-stato di Aleppo, Ugarit, Kadesh. Ha poi il vantaggio di attendere il nemico a piè fermo e di conoscere il terreno. Verso la fine di Aprile del 1294 a.C. (data congetturale), il Corpo di spedizione egiziano raggiunge la valle dell'Oronte.
Kadesh è dall'altra parte del fiume, molto più a nord. Al seguito delle avanguardie c'è il cocchio dorato del faraone seguito dalla Guardia Reale. Il giovane re fatica a tenere il morso dei suoi due cavalli «Vittoria in Tebe » e «Delizia di Mut». Ma anche lui, focoso come loro, vorrebbe correre sotto le mura di Kadesh, solo, e chiedere la resa. Il nemico deve sapere che il figlio di un dio potente come Amon è invincibile.
Invece lo scudiero Menna lo invita alla prudenza: «Mio Signore, siamo pratiamente soli. la divisione Amon ci segue a due ore di marcia, la Ra è più indietro, la Ptah e la Seth dovranno camminare per due archi di luce prima di raggiungerci».
E' sera. Ramesse II ha appena guadato il fiume, s'è portato cioè sulla riva sinistra. Ha di fronte il bosco di Robawi, setacciato dalle pattuglie. Non c'è anima viva. Ha da poco lasciato il villaggio di Sabtuna (oggi Riblan). Era un'isola a sé, piena di silenzio, con ciuffi di piante espanse e canali irrigui tra il verde dei prati.
Il sole basso radeva le case senza vita. Dai giovani ai vecchi tutti sapevano che quando giungeva il re-dio d'Egitto l'intera pianura si riempiva di colori vivi e di frastuono, e le armi erano tante da centuplicare i bagliori del sole. L'immancabile battaglia giungeva poco dopo. La gente era quindi fuggita portandosi greggi e masserizie.
Ramesse II ordina di preparare il campo. Come vuole l'usanza, i soldati tracciano un quadrilatero, piantano nel terreno gli scudi lungo il perimetro per evitare la cavalleria nemica. Nel mezzo sorgono la tenda reale a padiglione, quelle dei comandanti, amministratori, sacerdoti, tutte le altre.
I soldati dormiranno all'addiaccio, avvolti in coperte. Si accendono i fuochi e le sentinelle iniziano attorno il loro lento cammino, a due a due, mentre le pattuglie si spingono lontano.
2. La strada da scegliere
Nell'intimità della sua tenda, guardata a vista dai Serdani, Ramesse II ascolta con distacco i consiglieri.
Con il viso atteggiato a grande dignità, il più anziano lo ammonisce: «Maestà, siamo in terra straniera, ti sei spinto troppo avanti. Muwatalli è una vecchia volpe».
Il suo Signore, giovane dagli occhi di falco e dalla mascella aggressiva, ha un gesto di noncuranza. Faraone dell'Alto e Basso Egitto, re dei re, figlio prediletto di Amon e Toro Possente, vede già il «vile» nemico strisciargli ai piedi, supplicando pietà. l forti sono però generosi, e lui si sente generoso.
Per chi avesse giurato fedeltà all'Egitto ci sarebbe stato un posto nel suo esercito. Gli altri avrebbero raggiunto la Valle del Nilo, condannati al lavoro coatto. Le donne no. Avrebbero goduto un trattamento di riguardo.
Erano sempre rimaste alla mercé del vincitore, d'accordo, però nessun faraone aveva infierito su di loro. Anzi, se durante la faticosa marcia di trasferimento qualcuna di esse cadeva sfinita, i soldati di Sua Maestà avevano l'ordine di caricarsela in spalla.
Rimasto solo, in attesa di scivolare nel sonno pieno, quello dei comandanti che vivono la vigilia con freddezza, il pensiero di Ramesse II torna alla scuola militare. Qui le incredibili gesta del terzo Thutmosis fanno ancora testo. Aveva piegato 17 volte gli Asiatici, e ogni sua battaglia era un capolavoro tattico e strategico.
La beffa con cui questo faraone (il Napoleone d'Egitto) aveva sorpreso il nemico per conquistare la munitissima fortezza di Megiddo ha da tempo suscitato invidia ed ammirazione nel giovane Ramesse. E nella notte d' attesa ne ricorda le fasi.
Giunto nei pressi del Carmelo, Thutmosis aveva ordinato di preparare il campo per poi chiamare a rapporto comandanti e consiglieri. Il quesito che aveva posto loro rispettava la prassi normale alla vigilia della battaglia. «Signori miei», aveva detto, «abbiamo davanti a noi il massiccio del Carmelo.
Il nemico si trova dall'altra parte, in attesa di sterminarci. La posta in gioco è la fortezza di Megiddo. Noi dobbiamo agganciarlo e batterlo. Per raggiungerlo ci sono tre strade, una a sud dei monti, che porta anche a Damasco, pianeggiante e quindi priva di sorprese; la seconda si snoda tra i monti.
E' più a nord, anch'essa di tutto riposo perché sale adagio e permette di dominare la zona. La terza passa per Aruna. E' una specie di gola dove i carri devono procedere in fila per uno. Corre tra pareti a picco, dirupi e strapiombi allucinanti. Il fondo è pessimo. Secondo voi, quale delle tre dobbiamo scegliere per distruggere il miserabile nemico?»
Nella foto sotto, il tempio rupestre dedicato a Ramesse II in Nubia, ad Abu Simbel. I quattro colossi, alti oltre venti metri, raffigurano il faraone.
3. L'inganno
Se fosse stato nella tenda di Thutmosis, Ramesse II si sarebbe associato alla saggezza dei comandanti: la strada per Damasco o, in via del tutto subordinata, quella che si snodava tra i monti.
La strada per Aruna era da scartare. Un centinaio di uomini, ben appostati, sarebbe stato in grado di annientare l'intero corpo di spedizione egiziano.
Thutmosis invece non ci pensò un attimo. «Ebbene, signori miei, com'è vero che sono vivo, prenderò la strada per Aruna. Il nemico sa che non sono uno sciocco e quindi non mi attende certo da questa gola. Noi, quindi, lo prenderemo alle spalle».
Il piano pazzesco di Thutmosis riuscì in pieno e la fortezza di Megiddo si arrese. Ramesse II non è però Thutmosis III. Hanno ragione i suoi consiglieri: s'è spinto troppo avanti. Ora il dubbio lo tormenta. Sdraiato sul lettino da campo, rimane in ascolto. I cavalli sono quieti, le poche voci che raccoglie sono dei Serdani, appena fuori; le altre giungono da lontano e si odono appena: «Nulla da segnalare», dicono le sentinelle. Il dubbio lascia il posto ad un cauto ottimismo.
All'alba, con le divisioni ancora sparse lungo la valle, Ramesse si rimette in cammino. Attraversa la foresta di Robawi con la Amon ancora indietro, giunge nella piana di Kadesh e ordina di preparare ancora il campo. Due Beduini dell'esercito hittita, catturati poco prima, tranquillizzano anche i consiglieri più meticolosi. Muwatalli, il loro re, è molto lontano, nei pressi di Khabel (Ateppo), con l'intero esercito.
Certo che gli Egiziani avrebbero attaccato quella fortezza, aveva approntato le difese. La roccaforte di Kadesh è quindi praticamente sguarnita. Il ventiquattrenne Ramesse, convinto che la prudenza dei consiglieri è necessaria ma non sempre saggia, pensa che, caduta la roccaforte, l'esercito di Muwatalli ha le ore contate. Senza neppure attendere l' arrivo della divisione Arpon, si rimette in marcia con i soli «Valorosi del Re», e cioè la Guardia Reale.
Giunge a vedere le mura della fortezza con il sole a picco. Sono possenti, con pochi elmi tra i merli. Questi bastioni avevano infuso timore anche a suo padre Seti. A lui no. Il terzo Thutmosis, aperta una breccia, vi era entrato con i soli «Valorosi del Re». L'impresa deve riuscire anche a lui. La tragedia giunge però poco dopo. Due altre spie hittite catturate confessano un'amara realtà. Muwatalli è nascosto a nord-est della fortezza, al riparo di una collina.
Ha con sé tremila carri ed una marea di fanti. I due Beduini s'erano fatti catturare per ingannare gli Egiziani. Ramesse si rende allora conto di aver agito con l'ingenuità di un graduato di fanteria. Oltre ai «Valorosi del Re», ha con sé una sola divisione, la Amon: La Ra dev'essere ancora nella foresta di Robawi e le altre due addirittura al di là del fiume, oltre Sabtuna.
Che fare? Invia subito messaggeri per affrettarne l'arrivo e sfoga la collera sul servizio d'informazione, mentre la terra comincia a tremare. Muwatalli, sfruttando il momento propizio, lancia i carri verso sud, lungo la riva destra dell'Oronte, con l'ordine di guadare il fiume per sbarrare la strada alla divisione Ra. Sono 2500 carri con tre uomini d'equipaggio, un uragano.
La Ra è travolta ed i carri hittiti convergono verso nord per attaccare la Amon catturare l'incauto faraone. Ramesse è il solo a non perdere la testa. Vede i suoi uomini pallidi e contratti, pronti a fuggire; cinge la corazza e sale sul carro dorato. Si vede solo, con pochi prodi, mentre a sud la nube di polvere oscura il cielo e il frastuono si fa via via più terrificante. Si rivolge allora al dio Amon, di cui ogni faraone è figlio.
Qui sotto: il teatro della battaglia di Kadesh, nel 1294 a.C.
4. La vittoria e la resa
Amon, il dio di Tebe, è con lui. Ramesse lo sente vicino, ne ode la voce paterna. Con un urlo terrificante i carri nemici gli sono addosso. Ma Ramesse è ormai come il dio Montu nella sua ora terribile e come Baal nel giorno della sua vendetta.
Afferra le redini e chiama a raccolta i suoi uomini. L'urto della cavalleria nemica è micidiale. Tra cocchi sfasciati, urla di guerra, nitriti di cavalli, ordini e lamenti, la battaglia infuria.
Ramesse, ormai scatenato, lancia la sua pariglia dove il nemico è più folto, è di esempio ai carristi che si battono con furore, anche se le forze in lotta sono impari. Il campo del faraone è però una miniera di tesori, e ciò è di aiuto agli egiziani.
Sordi agli ordini, i carristi hittiti lasciano i cocchi e si azzuffano per arraffare bottino dando la possibilità a Ramesse di rompere l'accerchiamento. Sicuramente è il divino Amon a proteggere il proprio figlio terreno. Mentre a sud si vedono gli stendardi della divisione Ptah, giunge da ovest un Corpo d'Assalto egiziano, inatteso anche da Ramesse.
Sono reclute, con il fuoco nel sangue, desiderose di battersi. Le sorti della battaglia si capovolgono. Gli Hittiti, ancora intenti ad arraffare bottino, vengono decimati, altri tentano il contrattacco ma sono divisi e circondati. Muwatalli, che dirige le operazioni dalle retrovie, lancia nella lotta altri mille carri, e cioè 2000 cavalli e 3000 uomini. Sono sprecati. Finiscono tra la divisione Ptah e le reclute comandate dallo stesso Ramesse. Per gli Hittiti è la fine.
Prima che giunga la divisione Seth, il campo di battaglia è una necropoli. Muwatalli si rifugia sgomento tra le mura di Kadesh e Ramesse si rivolge ancora al dio Amon. Il bottino sarà per il suo tempio tebano. Lui, faraone dell'Alto e Basso Egitto, re dei re, promette alla divinità che accudirà personalmente e per tutta la vita ai suoi cavalli «Vittoria in Tebe» e «Delizia di Mut"·
Il giorno dopo Ramesse I riordina le sue forze ed indugia sotto le mura di Kadesh. Dopo tanto frastuono, il silenzio sembra più profondo ancora, sepolcrale. Lo spettacolo è orrendo. l morti si contano a migliaia e la terra è sangue. Corvi ed avvoltoi sono in festa. Medici e sacerdoti si prodigano ancora a soccorrere feriti, ma sono tanti. La maggior parte di essi chiede il colpo di grazia.
Dalle mura di Kadesh Muwatalli guarda con delusione le forze nemiche sopravvissute, solo in virtù di un miracolo, all'urto di 3500 carri. Il faraone d'Egitto è davvero un re-dio, pensa guardando al futuro. Avendo diretto le operazioni dalle retrovie, la situazione gli è sfuggita di mano e Ramesse ne ha approfittato. Che faranno ora gli Egiziani? Condurranno una guerra d'assedio? Dal campo di battaglia il giovane faraone guarda invece le mura ancora inespugnate di Kadesh e sente un comprensibile disprezzo per il re hittita.
Ramesse è deciso a iniziare subito una guerra d'assedio. Le gesta del terzo Thutmosis (XVIII Dinastia) hanno fatto scuola nella storia d'Egitto. Da una breccia praticata nelle mura di Kadesh era entrato lui con i «Valorosi del Re» prima delle altre truppe. Dopo la folgorante vittoria è possibile emularlo. La divisione Seth è intatta, e sono 5000 uomini; quella di Ptah ha avuto perdite contenute. Con i superstiti delle altre due e le reclute del Corpo d'Assalto si può contare su una terza.
Dai capisaldi sparsi lungo la costa si possono avere altre truppe. I consiglieri gli fanno però presente che il sangue versato è stato molto, troppo, e lo invitano alla prudenza. Una guerra d'assedio è logorante, e l' Egitto è lontano, a oriente del Delta c'è una moltitudine di Israeliti da tenere a bada, i Beduini compiono razzìe nei villaggi di confine, i Libici non attendono che un segno di debolezza per razziare bestiame e devastare città, i Popoli del Mare stanno diventando una potenza.
E' Muwatalli stesso a mettere fine a una disputa che sicuramente avrebbe rivisto Ramesse vincitore. Gli invia una lettera chiedendo la resa... a condizione che Kadesh non venga occupata: «Migliore è la pace della guerra», scrive. «Concedimi ancora il soffio di vita». La soluzione è saggia e questa volta i consiglieri sopravvissuti convincono Ramesse ad accettarla. Negli anni successivi i due nemici si batteranno ancora e l'ormai esperto Ramesse ne uscirà vincitore.
Dapur, la « Città degli Hittiti », tra Kadesh ed Aleppo, cadrà nélle sue mani. Anche qui ci sarà una furiosa battaglia e l'indomabrle faraone darà ancora prova di coraggio combattendo senza corazza. Solo nel 1278, ventesimo anno di regno di Ramesse II, si giungerà al famoso trattato di pace tra Egiziani e Hittiti : gli Assiri, ormai padroni dell'antica Mitannia, sono infatti per entrambi un pericolo da non sottovalutare.
Qui sotto, Ramesse II in un bassorilievo di Abu Simbel, raffigurato mentre uccide i prigionieri hittiti.
5. Il giudizio della storia sulla battaglia di Kadesh e la stesura del trattato
Qual è il giudizio della storia sulla battaglia di Kadesh sull'Oronte dopo oltre 32 secoli? Di chi fu la vittoria?
Sulle pareti dei templi di Luxor, Karnak ed Adidos viene esaltata la vittoria di Ramesse. Il Poema di Pentaur (nome dello scriba che si limitò a copiare le gesta di questo faraone su foglio di papiro, ora al British Museum) non ha dubbi sul vincitore. E' Ramesse, Toro tra i Sovrani.
A un esame obiettivo però si constata che se sul piano tattico la vittoria va attribuita a Ramesse, sia pure dopo gravi errori iniziali, sul piano strategico il suo obiettivo fallì. Oltre a non essere riuscito a riportare l'Egitto sui confini stabiliti dal terzo Thutmosis, non fu neppure in grado di espugnare Kadesh.
A suo merito va però detto che dopo questa battagla l'impero hittita andò progressivamente perdendo l'iniziativa finché la sua potenza si ridusse a un'entità trascurabile. Sulla estatica contemplazione del suo coraggio, la storia non muove nessun appunto al giovane Ramesse.
C'è però da chiedersi come mai, durante la marcia di avvicinamento, non ignorando che l'esercito hittita era agguerritissimo e condotto da capi valorosi, Ramesse abbia frazionato con tanta ingenuità le sue forze. Arrogante noncuranza del nemico? Pessimo servizio di spionaggio? Eccessiva valutazione del proprio prestigio e della propria autorità come re-dio? Forse un po' di tutto.
Una domanda che sorge spontanea, dopo avere seguito le fasi di questa drammatica battaglia, è la seguente: in una guerra di movimento, il comando delle operazioni deve essere all'avanguardia o nelle retrovie? Almeno a Kadesh, i fatti non hanno bisogno di commenti. Se Ramesse non avesse lanciato la propria pariglia costantemente nella lotta, trascinandosi dietro gli altri carri, non sarebbe sicuramente sopravvissuto al disastro che stava profilandosi.
Muwatalli invece, comandante da tavolino, pur avendo diretto con molta abilità le azioni della sua cavalleria, non aveva previsto né un Ramesse scatenato, né l'arrivo di truppe d'assalto, né il saccheggio del campo egiziano prima di avere la vittoria completamente in pugno. La sua assenza fisica dalla battaglia ebbe quindi un notevole peso.
Come mai non usò la fanteria quando vide che i suoi carri erano in rotta? Muwatalli aveva una superiorità di carri schiacciante, 3500 contro 400 circa. Con tre uomini d'equipaggio erano però più lenti e pesanti da manovrare. I suoi fanti erano invece 8000 contro i 20.000 di Ramesse. Le gravissime perdite della cavalleria devono averlo consigliato a non rischiare: i fanti potevano servire per la difesa di Kadesh.
Quell'uomo poi con le insegne faraoniche, che passava indenne con i suoi cavalli tra nugoli di frecce e di giavellotti, tra fendenti e lance in resta, doveva avergli infuso un sacro terrore. Nell'anno ventesimo di regno di Ramesse II, e cioè quindici circa dopo la battaglia di Kadesh, Hattusilis III, nuovo re degli Hittiti, chiese al «Toro tra i Sovrani, che aveva ormai posto le sue frontiere dove desiderava, in ogni paese», un trattato di buona pace e fratellanza».
E Ramesse, re divino, ormai unica incarnazione dello Stato, non gli disse di no. La stesura del trattato (foto sotto )venne scritta in accadico cuneiforme di fronte a «mille divinità maschili e mille femminili». Davanti a queste divinità, i due re prestarono giuramento mentre le regine Nefertari e Pudukhipa si scambiavano doni.
Il trattato comprende 19 clausole e si divide in quattro capitoli. Nel primo si parla delle guerre tra i due Paesi e del desiderio degli attuali re di concludere la pace. Il secondo reca una promessa reciproca suggellata dalle divinità presenti: «Il grande re di Khatti non violerà mai i confini dell'Egitto con mire aggressive mentre sua maestà il faraone agirà nello stesso modo con quelli del paese di Khatti».
Il trattato però non definisce i confini dei due Paesi. Si presume che la linea di demarcazione, negoziata dagli ambasciatori, corrispondesse alle zone d'influenza acquisite dai due avversari prima della stesura delle clausole.
Il terzo capitolo stabilisce un'alleanza difensiva, in caso di aggressione. La quarta, molto interessante, si occupa invece dei rifugiati politici, «siano essi notabili o uomini sconosciuti»: il profugo estradato non deve subire maltrattamenti. «Al suo rientro in patria, le autorità non devono muovergli accuse, condannarlo a morte, mutilarlo, privarlo della propria famiglia e della propria casa ».
Questo trattato di pace, concordato 1278 anni avanti Cristo, il primo che si occupa di un'alleanza offensiva e dei profughi, non fu mai abrogato. A suffragio di questa tesi abbiamo, tra l'altro, l'invio in Egitto della figlia maggiore di Hattusilis, sposa dell'ormai anziano Ramesse.
Ai tempi del faraone Metehptah, tredicesimo figlio di Ramesse, il trattato era ancora valido. Per gli Hittiti, un tempo gli « abominevoli Kheta» abitanti nella «miserabile Terra di Khatti», vi furono anni di magra. La mancanza di pioggia li aveva costretti alla fame. E Meremptah inviò loro il grano per sfamarli.
Ramesse II (regnò dal 1298 al 1232 a.C.) morì all'età di 82 anni. Come fu irruente nelle battaglie, così fu infaticabile nell'attività edilizia. Con lui l'architettura acquistò un carattere di particolare grandiosità. Ebbe oltre 100 figli. Secondo lui la stirpe dei ramessidi avrebbe dovuto dominare il mondo.
«Ascoltate la mia voce», disse agli operai intenti a strappare pietre dalla Montagna Rossa, presso Eliopoli (la biblica On), «io sono il grande Ramesse, che crea per dare vita alle generazioni future».