“Iο mi volsi ver’ lui e guardail fiso: biondo era e bello e di gentile aspetto, ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso”: così Dante Alighieri, nel III canto del Purgatorio, descrive il suo incontro con Manfredi di Svevia (1232-1266).
Come tanti altri personaggi medievali resi celebri dalla letteratura del tempo, Manfredi fu un vero gigante nel panorama storico italiano del XIII secolo.
D’altra parte, vista la sua famiglia, non avrebbe potuto essere altrimenti. Era infatti figlio dell’imperatore Federico II e di Bianca Lancia, la donna più amata in assoluto dallo “stupor mundi”.
Il padre fu probabilmente il più grande sovrano nella storia del Sacro romano impero, mentre la madre proveniva da una delle più importanti famiglie aristocratiche del tempo.
Dal lato paterno Manfredi apparteneva quindi alla gloriosa dinastia sveva degli Hohenstaufen, che era salita al potere con il suo celebre bisnonno Federico Barbarossa e aveva poi acquisito anche il Regno di Sicilia con Enrico VI (padre di Federico II).
Dal lato materno, invece, Manfredi apparteneva a una importantissima casata aristocratica piemontese che aveva acquisito grandi feudi in Sicilia dopo essersi trasferita nel Meridione al seguito di Federico II.
Insomma, si potrebbe dire che Manfredi fosse predestinato a fare grandi cose fin dalla culla. Eppure non tutto fu così semplice.
Soprattutto perché Federico II e Bianca Lancia non erano ufficialmente sposati. Manfredi era quindi un figlio illegittimo dell’imperatore, e neppure l’unico: la grande famiglia di Federico era molto allargata, anche per l’epoca.
Secondo Dante, Manfredi di Svevia fu un sovrano valoroso. Per ben tre papi una spina nel fianco. Ecco come Manfredi, figlio illegittimo dello stupor mundi, diventò re.
1. Un’eredità pesante
Alla morte del padre Federico II, nel 1250, Manfredi si trovò a dover fronteggiare una situazione politica intricata.
Per decenni Federico II era stato in guerra con il papato e con i suoi sostenitori.
Ormai da tempo i Comuni dell’Italia Centro-settentrionale si erano resi autonomi dal controllo del Sacro romano impero, mentre i vari pontefici avevano gradualmente iniziato a crearsi un vero e proprio Stato nell’Italia Centrale.
Federico II, essendo sia imperatore di Germania sia re di Sicilia, aveva cercato di riportare sotto il suo controllo la penisola combattendo duramente sia contro il papa sia contro i Comuni.
Alla sua morte l’Italia era ancora dilaniata dalla lotta tra guelfi (sostenitori del papa) e ghibellini (dalla parte dell’imperatore). E fu proprio in questa tremenda contesa che si trovò a essere catapultato il giovane Manfredi.
Benché fosse il figlio prediletto dello “stupor mundi”, non era destinato a ereditare i domini paterni: questi sarebbero dovuti andare al suo fratellastro Corrado IV, che era, lui sì, figlio legittimo.
Manfredi, sebbene avesse delle chiare mire sul Regno di Sicilia (il padre lo aveva nominato luogotenente dell’isola), decise di rimanere fedele al fratellastro e quindi assunse il controllo dell’Italia Meridionale in suo nome (Corrado era impegnato in Germania, per farsi riconoscere imperatore).
Fu in questa delicata fase iniziale che Manfredi si scontrò per la prima volta con il papa Innocenzo IV: il pontefice, infatti, voleva a tutti i costi separare la corona imperiale da quella del Regno di Sicilia.
Il fatto che i due Stati fossero nelle mani della stessa persona aveva causato grosse preoccupazioni ai pontefici fin dai tempi di Enrico VI: lo Stato della Chiesa, che si stava sviluppando come tale proprio in quegli anni, era infatti geograficamente collocato tra i territori imperiali in Italia Settentrionale e il Regno di Sicilia nel Meridione.
Per rompere questo accerchiamento, Innocenzo IV arrivò, alla morte di Federico II, a fomentare ribellioni in diverse aree del regno svevo. Sperava così di poterlo annettere ai domini della Chiesa, approfittando del caos seguito alla morte dell’imperatore.
Nella foto sotto, Federico II, re di Sicilia e imperatore del Sacro romano impero (1194- 1250), riceve a corte a Palermo la traduzione delle opere di Aristotele dal filosofo Michele Scoto. Il coltissimo e poliglotta “stupor mundi” era il padre di Manfredi, la madre invece era l’aristocratica Bianca Lancia, con importanti feudi nel Meridione.
2. Finalmente re
Inizialmente le azioni del papa ebbero successo, perché Corrado (nella foto accanto, mentre caccia con falcone e cani) era lontano e perché l’aristocrazia del regno era generalmente insofferente al potere centrale degli Svevi.
Formalmente l’Italia Meridionale era un “feudo” della Chiesa e quindi le pretese pontificie avevano anche un certo fondamento legittimo.
Manfredi, però, riuscì a tenere duro fino all’arrivo di Corrado IV nel 1251: sedò gran parte delle rivolte e poi, insieme al fratellastro, completò la “pacificazione” riconquistando anche la città di Napoli (1253).
L’Italia Meridionale era finalmente, e stabilmente, di nuovo sotto il controllo svevo. E poco importa se l’idillio tra i due fratelli era finito.
Corrado cominciava infatti ad aprire gli occhi sulle reali ambizioni di Manfredi. Gli mancò tuttavia il tempo di neutralizzarle: morì improvvisamente di malaria nel 1254, e con la sua uscita di scena risparmiò perlomeno al regno una sanguinosa guerra civile.
Manfredi colse al volo l’occasione per mettere le mani sul Regno di Sicilia, e Innocenzo IV colse al volo l’occasione per scomunicarlo, definirlo usurpatore e fargli guerra: il pontefice infatti reclutò un grosso esercito ed invase la parte settentrionale del Regno di Sicilia.
Inizialmente Manfredi fu costretto a scendere a patti, data la debolezza militare, e lasciò che la Campania venisse occupata dalle truppe papali.
Ma si trattava di un compromesso di facciata, necessario a guadagnare tempo in vista della riscossa. Che non tardò ad arrivare.
3. Il Sultano di Lucera
Sin dal 1223 Federico II aveva creato a Lucera (nella foto accanto il suo castello), in Puglia, una “colonia” di Saraceni che erano stati da lui deportati sul continente dalla Sicilia.
Per lungo tempo l’isola era stata abitata da musulmani, che all’inizio del regno dello “stupor mundi” si erano ribellati contro il potere centrale: Federico, dopo aver sedato la ribellione, decise di non sterminarli e di trasferirli in Puglia.
L’imperatore, infatti, aveva avuto modo di apprezzare le grandi doti militari di questi infallibili arcieri: per questo si decise a creare la colonia di Lucera, dove i Saraceni avrebbero potuto vivere in pace praticando la loro religione in cambio del servizio militare da prestare al regno.
Dopo la morte del loro “protettore”, i Saraceni di Lucera rimasero fedeli a suo figlio Manfredi. I musulmani misero a sua disposizione il loro tesoro e gli fornirono un ingente numero di truppe. Sapevano bene che sarebbero stati sterminati completamente in caso di vittoria del pontefice.
Negli ultimi mesi del 1254 Manfredi si recò dunque a Lucera e, col contributo dei Saraceni, mise insieme un esercito che mandò poco dopo contro le truppe papali. Il 2 dicembre a Foggia i Saraceni di Manfredi ebbero la meglio sui soldati del papa.
Innocenzo, sconfitto e malato, morì cinque giorni dopo. L’uscita di scena dell’acerrimo nemico fu una fortuna per Manfredi: Alessandro IV, il neopapa, era molto meno energico del predecessore. Anche lui scomunicò (di nuovo!) Manfredi, ma non riuscì a indebolirlo.
Nel 1256 ormai il Regno di Sicilia era completamente sotto il controllo dello svevo, tanto da permettergli la fondazione di una nuova città che in suo onore si sarebbe chiamata Manfredonia.
Poi, nel 1257, le truppe papali furono definitivamente sbaragliate e Alessandro IV dovette abbandonare Roma per rifugiarsi a Viterbo, dove sarebbe morto quattro anni dopo. Il 10 agosto 1258 Manfredi venne ufficialmente incoronato a Palermo: era all’apice del suo potere.
In qualità di capo assoluto di tutti i ghibellini italiani, Manfredi sostenne generosamente le città alleate dell’Italia Centro-settentrionale, inviando cavalieri e denaro in funzione anti- guelfa.
Il 4 settembre del 1260, per esempio, i milites mercenari tedeschi mandati in Toscana furono decisivi nell’assicurare a Siena una grande vittoria nella celebre battaglia di Montaperti, contro la guelfa Firenze.
Seguendo l’esempio del padre, Manfredi si dimostrò anche un fine diplomatico tessendo alleanze matrimoniali con le altre case regnanti: lui stesso sposò in seconde nozze la figlia del Despota d’Epiro (che gli portò in dote alcuni territori in Albania) e diede in moglie la propria figlia Costanza all’ambizioso Pietro III d’Aragona.
Nella foto sotto, i guelfi di Firenze attaccano i ghibellini di Siena, destinati a vincere a Montaperti. Manfredi aiutò sempre i Comuni ghibellini con truppe, denaro e con la diplomazia.
4. Tradito
Ma la “pace” non durò a lungo, e la fortuna nemmeno. Ancora una volta fu un papa a sparigliare le carte.
Nel 1261 fu eletto al soglio pontificio il francese Urbano IV (1195-1264).
Ostinato e nemico degli Svevi, lavorò subito per togliere di mezzo Manfredi e rimpiazzarlo con un monarca fedele al papato.
La scelta cadde su Carlo d’Angiò, signore di Provenza e fratello del re di Francia (Luigi IX “il Santo”). Il papato lanciò una vera e propria “crociata” contro Manfredi, che veniva dipinto dalla propaganda guelfa come un sovrano infedele ed eretico.
Carlo d’Angiò naturalmente rispose all’invito e nel 1265 giunse in Italia, ansioso di prendersi il regno. Manfredi tentò il tutto per tutto, arrivò perfino ad appellarsi (invano) alla popolazione di Roma affinché lo incoronasse imperatore.
Gli Angioini si presentarono ai confini settentrionali del regno con un grosso esercito.
Manfredi aveva organizzato un buon sistema difensivo, ma i nobili meridionali lo tradirono: passarono dalla parte di Carlo d’Angiò e permisero ai francesi di attraversare il fiume Garigliano e raggiungere la Campania.
Il 26 febbraio 1266 Svevi e Angioini si affrontarono nella battaglia di Benevento. Proprio nel momento cruciale dello scontro, Manfredi si scoprì di nuovo tradito, questa volta dai suoi stessi cavalieri.
Si gettò allora contro il nemico, per l’ultima sfida. Il suo corpo fu trovato sul campo, tre giorni dopo la disfatta.
Nella foto sotto, il ritrovamento del corpo di Manfredi dopo la battaglia di Benevento (1266), in un dipinto ottocentesco.
5. Un esercito multietnico
L’esercito di Manfredi era simile per composizione e struttura a quello del padre Federico II.
Il nucleo centrale era costituito da cavalieri pesanti tedeschi, la maggior parte dei quali aveva seguito Corrado IV durante le sue campagne nel Meridione ed erano poi rimasti al servizio di Manfredi.
Nonostante fossero dei combattenti stipendiati, i mercenari tedeschi (milites stipendiarii) si dimostrarono sempre piuttosto fedeli nei confronti del figlio illegittimo di Federico II, e molto efficaci sul campo di battaglia.
Ma le truppe più leali furono i Saraceni di Lucera: questi sapevano bene che la loro stessa esistenza era legata alla sopravvivenza della dinastia sveva, poiché non solo il papato, ma qualunque altra famiglia regnante cristiana si sarebbe presto liberata di loro.
Le truppe del regno, composte essenzialmente solo da milites e da pochi fanti delle leve feudali, diedero invece un contributo militare molto scarso a Manfredi, come in precedenza al padre.
Ma soprattutto lo tradirono nello scontro finale a Benevento, determinandone la sconfitta.