Può sembrare incredibile ma la più invocata sui social network da chi ha sperato in una guarigione miracolosa dal Covid-19 è stata una donna vissuta tra Trecento e Quattrocento: Santa Rita da Cascia, che non a caso ha da sempre un grandissimo seguito di fedeli.
Il simbolo di Santa Rita è la rosa, che il 22 maggio viene benedetta in tutti i luoghi dedicati al suo culto, invadendo i centri storici di città come di piccoli borghi.
Santa Rita da Cascia è una delle figure più amate dai fedeli cattolici di tutto il mondo, rispettata e venerata da sempre come colei a cui affidare la soluzione dei casi impossibili.
Una figura che ha fatto della modestia e della moderazione il suo stile, conducendo una vita con grandi dolori e scelte tutt’altro che facili.
Una donna che si è fatta ricordare per la sua semplicità ma anche per qualche prodigio.
1. LA STORIA DALLE ORIGINI
Margherita Lotti, questo il suo vero nome, nasce nel 1381 a Roccaporena, una frazione non lontana da Cascia, in Umbria, da Antonio Lotti e Amata Ferri.
La sua è una famiglia per bene, stimata e benestante. I suoi genitori sono dei “pacieri di Cristo”, un incarico delicato affidato loro dall’amministrazione comunale per ricomporre le liti ed evitarne la degenerazione.
Sono gli anni in cui la guerra tra guelfi e ghibellini travolge anche le vicende familiari. L’educazione della giovane Rita è affidata agli Agostiniani, che la guidano sul cammino della devozione.
Passano gli anni e arriva anche l’amore. Lui è Paolo di Ferdinando di Mancino, un ghibellino con un animo inquieto, anche se non violento come si diceva. I due giovani si amano, si sposano e hanno due figli maschi, Giangiacomo e Paolo Maria.
La vicinanza di Rita e il suo affetto rendono Paolo più tranquillo e la famiglia cresce con amore e valori cristiani. Si trasferiscono in una proprietà di Paolo chiamata il “Mulinaccio”. La vita trascorre serena, con il lavoro di mugnai, una casa adeguata e un affetto incondizionato.
Ma tutto è destinato a cambiare: Paolo viene assassinato vicino casa forse per delle vecchie contese.
Rita vede il marito a terra senza vita e nella disperazione del momento pensa ai suoi figli: nasconde la camicia insanguinata per cercare di proteggere i due ragazzi da un devastate desiderio di vendetta.
Fa quello che le costa di più e perdona gli assassini dell’uomo che amava, senza rivelare mai a nessuno la loro identità.
2. LA PREGHIERA PER LA PACE
La vita di Rita è dedicata ai suoi figli, perché crescano senza cadere nella pericolosa spirale della ricerca dei colpevoli dell’omicidio del padre.
Lei prega proprio per questo, perché i suoi ragazzi non si macchino di peccati e non cedano alla ritorsione.
Ma ancora una volta il dolore più atroce bussa alla sua porta: i due giovani muoiono presto, uno dopo l’altro, per una malattia o per la peste. Senza più il marito e i figli, devastata dalla sofferenza, Rita si affida al Signore condividendo il suo sacrifico con una vita di preghiera.
Ha ormai circa 36 anni quando decide di entrare come novizia al monastero di Cascia, allora intitolato a Santa Maria Maddalena, ma per tre volte viene rifiutata. Il cammino non è facile, ma alla fine riceve l’abito e la Regola di Sant’Agostino.
Per quarant’anni vivrà in monastero, in penitenza e in contemplazione, affidando la sua esistenza a Dio, sempre al servizio dei poveri e dei malati.
Nel corso della sua vita è riuscita a far riconciliare la famiglia di suo marito con quella dei suoi assassini, sfidando le abitudini di vendetta così in voga nella sua epoca. Siamo ai primi del 1400 e di spazio per il perdono di azioni così violente non ce n’era.
Nella notte tra il 21 e il 22 maggio del 1457 la vita terrena di Rita si conclude. Lei è distrutta dal dolore e dagli anni di impegno e preghiera. Secondo la tradizione, nel momento della sua morte le campane del monastero si sarebbero messe a suonare da sole, richiamando i compaesani e la gente delle campagne vicine.
La venerazione di quella che era al momento solo suor Rita Lotti inizia quindi subito, nell’istante della sua morte. In vita aveva lavorato senza risparmio, per curare soprattutto i malati di peste, senza mai ammalarsi lei stessa.
Questo suo impegno ha contribuito a farla conoscere al mondo come “la Santa delle cause impossibili”.
Dall’anno stesso della sua morte, le autorità comunali di Cascia decidono di riportare i primi miracoli di Santa Rita nel Codex Miraculorum, il Codice dei miracoli, che contiene un elenco di miracoli registrato dai notai. Tra questi uno è considerato eccezionale: la restituzione della vista a un cieco.
3. LA SUA FAMA SI DIFFONDE
La fama di santità della suora di Cascia si è diffusa rapidamente e, altrettanto rapidamente, dopo la sua morte sono cominciati ad arrivare ex voto e richieste di grazie. Si è sparsa la voce che lei possa ancora compiere miracoli.
Viene portata in chiesa semplicemente avvolta in un lenzuolo, ma la continua presenza di persone accorse per venerarla impedisce che venga tumulata nel loculo previsto.
Le consorelle, colpite da tanta devozione, decidono di non seppellire il corpo di Rita ma di adagiarla in una cassa, la prima, che sarà chiamata “cassa umile”. Anche qui si racconta di un suo miracolo.
Un certo Cicco Barbaro da Cascia si sarebbe offerto di costruirla ma le sue mani erano ormai deformi: sarebbe bastata l’intenzione espressa davanti alla santa defunta per farlo completamente guarire.
E d è stato lui poi effettivamente a realizzare la cassa, che è rimasta intatta, con il corpo di suor Rita, anche dopo un incendio divampato nell’oratorio. A quel punto è stato costruito un altro sarcofago, chiamato “cassa solenne”, dentro il quale venne messa la “cassa umile”, che ancora oggi è visibile nella cella di Santa Rita.
Per il popolo suor Rita era una santa, capace di fare miracoli e attenta alla sua gente anche dal cielo. Una certezza, però, che non ha aiutato i lunghi percorsi per la beatificazione prima e per la canonizzazione poi.
Il primo si concluse nel 1628, ben 180 anni dopo la sua morte, da parte di papa Urbano VIII. Il secondo, interrotto più volte, alternando testimonianze di nuovi miracoli ad altrettanti blocchi, richiederà molto più tempo. Così, davanti a pontefici che si succedono l’uno dopo l’altro, si arriva al 1900.
Un anno prima si erano provati i due miracoli necessari per arrivare alla canonizzazione, le due guarigioni prodigiose: quella di una bambina, Elisabetta Bergamini, che per il vaiolo stava perdendo la vista, e di Cosma Pellegrini, ripresasi dopo aver ricevuto l’estrema unzione e aver avuto una visione della santa. Inoltre, dopo 450 anni, dal corpo di Rita si diffondeva ancora un profumo di fiori.
È il 24 maggio 1900 quando Rita da Cascia viene proclamata santa da papa Leone XIII. Il suo corpo riposa oggi nella Basilica di Cascia a lei dedicata, all’interno di un’urna d’argento e cristallo, e indossa l’abito agostiniano che le monache del monastero hanno cucito per lei.
La “santa degli impossibili” continua ancora, a distanza di centinaia di anni dalla sua morte, ad essere invocata perché realizzi miracoli per i sofferenti e i bisognosi. Una devozione che non ha mai perso forza, neanche nell’epoca di Internet. Che, anzi, ne ha certificato una volta ancora la potenza.
4. UNA SANTA DA RECORD
La devozione a santa Rita da Cascia è senza confini, basti vedere il grande numero di celebrazioni che si svolgono in ogni continente il 22 maggio, giorno dedicato al suo culto.
Ma c’è una cosa che la fa entrare di diritto nella cerchia ristretta dei più venerati al mondo: sulla collina di Santa Cruz del Rio Grande do Norte, in Brasile, nel 2010 le è stata consacrata una statua in cemento alta 56 metri (nella foto sotto).
È la più alta al mondo tra le statue cattoliche e misura ben 18 metri in più del Cristo Redentore del Corcovado di Rio de Janeiro.
Il 22 maggio a Santa Cruz viene organizzata una grande festa in onore di santa Rita alla quale partecipano in media 60.000 persone.
Un esempio della fede che suscita la santa si può trovare anche ad Aleppo, in Siria, dove in quasi tutte le chiese, di tutti i riti, si può trovare una sua statua, alla quale vengono rivolte preghiere per una sua intercessione per i casi impossibili.
Anche qui, come in migliaia di santuari in giro per il mondo, il 22 maggio sono in molti a festeggiarla e a portare a casa una rosa benedetta durante le funzioni.
Ma come mai il simbolo della rosa diventa il simbolo della santa? È l’inverno del 1456, santa Rita è malata e da lì a poco si spegnerà. La tradizione vuole che chiese a una parente in visita di farle un regalo e di passare alla sua casa di Roccaporena.
Nel giardino, la donna avrebbe dovuto cogliere due fichi da un albero e tagliare una rosa da portarle al convento. Una richiesta, la sua, che sembrava dettata più dal delirio che dal buon senso, visto che nella stagione fredda non era possibile trovare quello che desiderava.
Invece, con grande sorpresa, nel giardino della santa si trovarono sia i fichi sia la rosa, che da allora fu il simbolo della realizzazione delle cose impossibili.
Il 22 maggio nella Basilica di Santa Rita a Cascia si benedicono le rose. Sotto, Il Roseto di Santa Rita, Monastero di Santa Rita.
5. UNA VITA DI PICCOLI E GRANDI PRODIGI
Su santa Rita si sono tramandati tanti episodi sorprendenti e circa quarantasei miracoli, a cominciare dalla sua infanzia.
Uno di questi riguarda uno sciame di api che avrebbe circondato la sua culla senza però toccarla (nella foto sotto).
In compenso un contadino giunto per proteggerla avrebbe visto guarire in un attimo una ferita che si era fatto poco prima.
Al suo ingresso in convento è legato uno dei racconti più conosciuti: come novizia, per mettere alla prova il suo carattere e la sua devozione, Rita avrebbe avuto il compito di annaffiare con costanza una vite evidentemente secca.
Ma la pianta tornò a vivere e a produrre frutti: un altro prodigio che è diventato parte del racconto della sua esistenza terrena. La vite di Santa Rita è diventata così simbolo di umiltà, ubbidienza e pazienza, oltre che di amore per il prossimo. E ancora oggi nel monastero di Cascia si può vedere una bella pianta a lei dedicata.
Il momento più alto della sua consacrazione a Dio è stato però quello che ne ha caratterizzato per sempre l’immagine. Era il Venerdì Santo del 1432 e Rita era concentrata nella preghiera quando, non si sa come, una spina della corona che cingeva la testa di Gesù sul crocefisso davanti a lei si è staccata e si è conficcata sulla sua fronte.
La piaga che procurò non si rimarginerà mai, tranne una volta, in occasione del viaggio in Vaticano per la canonizzazione di Nicola da Tolentino nel 1446, per poi ritornare bene visibile sul suo viso.
Il desiderio di essere partecipe della sofferenza di Cristo era stato esaudito. Ancora oggi nel monastero è conservato il crocefisso del prodigio e sulla cassa solenne che racchiude i resti della santa è scritto: “XV anni la spina patisti”.