C’è un prima e un dopo Rudolf Nureyev. Sì, perché Nureyev, che pure era figlio della grande tradizione del balletto classico russo, ha rivoluzionato il modo di stare in scena, cambiando per sempre l’arte della danza in Europa e nel mondo.
È stato un talento unico, con uno stile e una plasticità inimitabili, nonché straordinarie doti interpretative. In scena era sempre proiettato verso l’alto, come se la forza di gravità non esistesse.
Mentre prima il ballerino aveva soprattutto il compito di porteur, e cioè di accompagnare e sollevare la ballerina, lui, con la sua presenza scenica imponente, conquista un ruolo preciso sul palco, diventando protagonista.
Nureyev aveva una grande tecnica, ma soprattutto sprigionava una incredibile energia; quando entrava in scena catturava lo sguardo di tutti e sapeva trasmettere passione ed emozioni. Infatti scattava il cosiddetto “applauso di sortita” che tocca solo ai più grandi.
È stato molto amato dal pubblico, che lo acclamava come una rockstar, forse un po’ meno dai suoi colleghi, per via del carattere complesso, capace di tenerezze ma anche di ira e sfuriate. Per tutti fu un eccezionale professionista, esigente con gli altri e soprattutto con sé stesso.
1. In viaggio verso Vladivostok e a scuola di danza
Rudolf nacque il 17 marzo 1938, in un vagone del treno della Transiberiana, durante il lungo viaggio per Vladivostok che la mamma Farida (foto a sinistra) aveva intrapreso insieme alle altre due figlie per raggiungere il marito Hamit, militare dell’Armata Rossa di stanza in Siberia.
Dai suoi spostamenti, infatti, dipendeva il destino della famiglia, che l’anno successivo si trasferì a Mosca e poi, nel 1941, in un piccolo villaggio vicino a Ufa.
In quegli anni difficili, minati dalla tragedia della Seconda Guerra mondiale, le condizioni di vita dei Nureyev erano decisamente precarie: abitavano tutti insieme in una sola stanza, spesso offrendo il freddo e la carenza di cibo.
A Ufa, però, c’era un teatro e, il 31 dicembre 1944, il piccolo Rudolf ebbe modo di assistere, per la prima volta, a un balletto. Era Il canto dell’airone e quel giorno – come racconterà in tante interviste – decise che sarebbe diventato un ballerino. Nella foto sotto, Nureyev nel 1962.
Iniziò a danzare in alcuni gruppi amatoriali e si esibì in qualche saggio, seguito amorevolmente da Anna Udeltsova, una ex ballerina del Ballets Russes di Diaghilev, che per prima intuì il suo enorme potenziale e gli trasmise le basi della danza classica.
Di fatto, però, Rudolf non ebbe la possibilità di frequentare una scuola vera e propria, anche per via dell’atteggiamento ostile del padre, con cui ebbe a lungo un rapporto conflittuale.
Fu ancora Anna a convincerlo, nel 1954, a sostenere un provino per entrare all’Accademia di danza Vaganova del Teatro Kirov (questo il nome in epoca sovietica, oggi si chiama Teatro Mariinskij), di Leningrado (dal 1991 San Pietroburgo).
Ma quando, dopo un lungo viaggio in treno, si esibì davanti alla commissione, destò più di una perplessità: non era così giovane e sembrava avere un carattere spigoloso.
Gli fu però riconosciuto un indiscusso talento e fu così accolto nella prestigiosa Scuola, culla di quel balletto russo. In soli tre anni (al posto dei canonici otto), Rudolf Nureyev completò il percorso di studi e si diplomò Maestro di Danza con il compagno di Accademia Michail Barysnikov; sicuramente ebbe la fortuna di avere come insegnante il grande ballerino e coreografo Aleksander Pushkin.
Il balletto era strumento di propaganda per i politici sovietici, occasione per mostrare le virtù del comunismo e il sostegno allo sviluppo delle arti e della cultura.
Entrato quindi nella Compagnia di balletto del Teatro Kirov, Rudolf debuttò nel 1958 in Laurencia e divenne uno dei ballerini più popolari di tutta l’Unione Sovietica.
Partecipò a tournée organizzate anche al di fuori dei confini nazionali, tuttavia, al rientro da uno spettacolo a Vienna, gli fu revocato il permesso di espatriare per motivi disciplinari. Le autorità non si fidavano di lui e non gradivano l’entusiasmo che scatenava.
Nella foto sotto, Rudolf Nureyev e Michail Barysnikov sono stati compagni di Accademia al teatro Kirov.
2. La fuga in Occidente
Nel 1961 il primo ballerino del Kirov si infortunò alla vigilia di una esibizione all’Opéra di Parigi e a Nureyev fu chiesto di sostituirlo.
Lo spettacolo ebbe un tale successo, di pubblico e critica, che fu deciso di organizzare repliche anche a Londra. Fu così che la mattina del 16 giugno, Rudolf e la sua partner di scena Alla Osipenko si presentarono, per ultimi, al check-in dell’aeroporto parigino.
Pronti per partire. Si era allora in piena Guerra fredda ed era consuetudine che gli artisti sovietici all’estero venissero accompagnati da funzionari del KGB (i servizi segreti dell’URSS).
Uno di loro si avvicinò a Rudolf e gli comunicò che non avrebbe seguito la compagnia a Londra, ma sarebbe rientrato subito a Mosca. Sconvolto, Nureyev si avvicinò al danzatore e coreografo francese Pierre Lacotte, che era venuto in aeroporto per salutarlo, e gli chiese aiuto.
Anni dopo la Osipenko racconterà che Lacotte gli indicò, in inglese per non farsi capire dagli uomini del KGB, una porta al di là della quale avrebbe trovato gli agenti francesi.
Nureyev, che certamente sapeva saltare e correre, sfuggì così ai funzionari sovietici, che lo rincorsero ma non riuscirono ad acciuffarlo, e si consegnò alla polizia parigina chiedendo asilo politico.
Una fuga rocambolesca, quindi, che sembrerebbe essere stata improvvisata; in realtà, si sospettò che fosse stata preparata.
Di fatto, il “grande salto” in Occidente cambiò la vita del ballerino e gli aprì le porte del successo artistico e della notorietà.
Nureyev divenne il simbolo di quel desiderio di libertà che l’URSS non riconosceva ai suoi abitanti. Intanto, in patria, fu processato e condannato in contumacia per alto tradimento a sette anni di carcere: una sentenza che non fu mai revocata, nemmeno al suo rientro in URSS.
Per lungo tempo i sovietici sospettarono che fosse una spia degli americani, mentre le autorità americane temevano fosse una spia del KGB.
Si racconta che per anni se ne andasse in giro con moltissimi soldi in tasca nel caso fosse dovuto scappare immediatamente.
3. Il successo mondiale
Rimasto a Parigi, Nureyev fu scritturato in varie compagnie, quindi lavorò a lungo con il Teatro alla Scala di Milano, che divenne quasi la sua “seconda casa” e per il quale creò le nuove coreografie de La bella addormentata e Lo schiaccianoci, a fianco delle nostre Liliana Cosi e Carla Fracci.
Poi approdò negli Stati Uniti. Al grande successo mondiale arrivò grazie all’incontro con la ballerina inglese Margot Fonteyn (foto sotto).
Oltre che una profonda amicizia, ne nacque un sodalizio professionale che durò tutta la vita, importantissimo per entrambi. Lei aveva 20 anni di più ed era alla fine della sua carriera, lui ancora agli inizi.
Gli fece anche un po’ da mamma, fu un esempio straordinario e lo aiutò a “sgrezzarsi” e a superare le difficoltà che spesso incontrava fuori dal palcoscenico.
Fu Margot Fonteyn a introdurlo al Royal Ballet di Londra, di cui divenne presto il principale collaboratore, ideando nuove coreografie per una quantità di spettacoli (qui ricordiamo solo Antigone, Amleto, Il lago dei cigni, Margherita e Armando, ma soprattutto Giselle). Nella foto sotto, Nureyev con Jacqueline Kennedy Onassis (1971).
Insieme si esibirono nei maggiori teatri di tutto il mondo (da Roma a Vienna, da Toronto a Washington, da San Francisco a Tokyo), formando una coppia artistica perfetta. Dopo ogni esibizione il pubblico lanciava fiori sul palco, mentre si moltiplicavano le chiamate alla ribalta (si arrivò a venti dopo una Giselle a Broadway!).
Nureyev aveva cambiato anche il modo di ringraziare il pubblico: quando tornava in scena con la sua camminata felina (che poi tutti i grandi danzatori hanno riprodotto) alzava le braccia dal basso verso l’alto per abbracciare idealmente la platea e il loggione.
Nel 1973, Rudolf Nureyev si stabilì a New York, dove collaborò assiduamente con la Metropolitan Opera House. Divenuto una celebrità mondiale, nacque la cosiddetta Rudy-mania.
Nureyev divenne il protagonista indiscusso delle cronache mondane, conteso da artisti quali Andy Warhol, Maria Callas, Mick Jagger, Liza Minelli (foto sotto), Gore Vidal, gli armatori greci Aristotele Onassis e Stauros Niarchos, il clan Kennedy, Jimmy Carter e tanti altri.
Pare che il jet set non lo interessasse più di tanto, anche se lo frequentava e faceva notte nei locali più esclusivi; Carla Fracci ha però ricordato che alle 10 del mattino si presentava puntuale alla sbarra, ad allenarsi come tutti.
E poi – come diremmo oggi – faceva tendenza, con le sue tipiche mise alla russa e gli stivali alti. Divenne di moda persino la sua pettinatura a caschetto, quella con cui si era presentato a Londra dopo la fuga.
«Fummo noi Beatles a ispirarci a lui e non il contrario», dirà anni dopo Paul McCartney. Nel 1978 fondò la propria compagnia Nureyev and Friends con la quale si esibì in tutta Europa, e nel 1983 divenne Primo Maestro di Ballo del Balletto dell’Opéra di Parigi.
Da quel momento in poi si dedicò, oltre che alla danza, alla direzione dell’opera e alla scoperta e promozione di giovani talenti.
4. Il ritorno in patria
Nureyev aveva ancora un desiderio: tornare in Unione Sovietica. Aveva nostalgia della sua terra e di sua madre soprattutto, e sognava di esibirsi davanti al suo popolo per mostrargli che cosa era diventato.
Sulla sua testa, però, pendeva una condanna di alto tradimento, che allora era una scomunica totale.
Era come se non esistesse più. Oleg Vinogradov, direttore artistico del Teatro Kirov, che sapeva quanto Nureyev soffrisse di ciò, fu il primo a lanciare l’idea di farlo rientrare. I tempi erano cambiati e la cortina di ferro stava per cedere.
Il 10 novembre 1987, su invito personale del presidente dell’URSS Michail Gorbaciov, il ballerino più famoso del pianeta tornò in patria dopo 26 anni. Fu un evento storico, seguito in diretta dalle testate giornalistiche e reti televisive di tutto il mondo a testimoniare l’accoglienza trionfale che gli fu riservata.
Un viaggio di pochi giorni, ma una delle gioie più grandi della sua vita. Per Nureyev fu un’immersione nel suo passato.
Si emozionò a rivedere la sua città e l’Accademia in cui si era formato, a parlare con la gente che lo fermava ovunque, a riabbracciare la sua prima sostenitrice, Anna, che gli disse che era arrivata a 100 anni per poterlo rivedere, ma soprattutto a calcare le scene al Kirov, pieno come non era mai stato.
Fu un momento indimenticabile per tutti, anche se agli occhi più esperti non sfuggì che Nureyev non aveva più l’età e la potenza di un tempo, e che solo grazie alla sua enorme esperienza era riuscito a dissimulare tanti difetti nella sua esibizione.
5. Ebbe relazioni lunghe e tormentate
Nel 1968, in una tournée nei Paesi scandinavi, Nureyev conobbe Erik Bruhn (foto sotto), direttore del Balletto Reale Svedese. Ne nacque una storia d’amore lunga e travagliata.
Anni dopo, conobbe a New York Robert Tracy, un giovane ballerino americano che divenne il suo compagno per lungo tempo e il suo fidato assistente personale.
Gli rimase sempre accanto, anche durante la lunga malattia. Nel 1987, a una serata di gala organizzata a Madrid da Re Juan Carlos, Nureyev conobbe il celeberrimo Freddie Mercury, cantante e frontman dei Queen, con il quale ebbe una tempestosa relazione sentimentale.
Negli anni Ottanta Nureyev aveva contratto l’AIDS, ma nonostante la sofferenza e il decadimento fisico non si arrese mai. Nemmeno nei momenti peggiori, quando ogni mattina doveva affrontare la dialisi e, poi, presentarsi alla sbarra. Con forza sovrumana, continuò a viaggiare e a lavorare. Aveva dedicato tutta la sua esistenza alla danza.
«È la mia condanna e la mia felicità», diceva. Avrebbe voluto morire su un palcoscenico, ma le sue condizioni di salute peggiorarono costringendolo a ricoveri in ospedali e lunghi periodi di riposo. Nella foto sotto, Nureyev con Lady Diana (1982).
La sua ultima apparizione fu l’8 novembre 1992, in occasione della Prima de La Bayadère all’Opéra di Parigi. Magrissimo e provato dalla malattia, fu accolto da una standing ovation.
Il 6 gennaio 1993 morì in una clinica parigina per una crisi cardiorespiratoria con accanto Robert Tracy e il manager Luigi Pignotti. Riposa nel cimitero russo di Sainte Geneviève des Bois, fuori Parigi (foto sotto).