È il 20 giugno 1353 quando il cavaliere e scrittore Goffredo di Charny dona ai canonici della collegiata della chiesa di Lirey, un piccolo villaggio della regione della Champagne-Ardenne, un lenzuolo di lino che porta impressa l’immagine di un uomo.
Goffredo assicura che si tratta nientemeno che della Sacra Sindone, il sudario che, secondo la tradizione cristiana, avrebbe avvolto il corpo di Cristo nel sepolcro.
Inizia da qui la storia documentata di quello che indubbiamente è uno dei simboli più importanti, venerati e al tempo stesso controversi della Chiesa cattolica.
Da subito si aprirono svariati interrogativi: si trattava davvero della Sacra Sindone? E, anche ammettendo che lo fosse, perché per i tredici secoli precedenti non si era mai fatta menzione della reliquia? E ancora: per quale motivo Goffredo non dichiarò dove l’aveva trovata?
Negli ultimi sei secoli e mezzo, legioni di studiosi, storici, uomini di fede e di scienza hanno provato a dare risposta a queste domande, cercando di far luce su uno dei più grandi e affascinanti misteri della storia della fede.
Ogni tanto qualcuno alza la mano, affermando di avere la prova inequivocabile a suffragio di questa o quella teoria; subito dopo, però, ecco l’inevitabile colpo di scena, con l’esibizione di una controprova altrettanto “definitiva”.
Una prima e immediata risposta a tutti i quesiti è anche la più semplice: prima che Goffredo la portasse alla luce, nessuno ha mai parlato della reliquia per il semplice fatto che, prima di allora, non esisteva alcuna Sindone.
Ciò che il cavaliere donò alla chiesa di Lirey, quindi, non sarebbe stato altro che un elaborato artefatto, creato in quello stesso periodo.
In effetti, l’analisi effettuata con il carbonio 14 nel 1988 colloca l’origine del lenzuolo tra la seconda metà del Duecento e la fine del Trecento: un dato del tutto compatibile con tale ipotesi.
Per i cristiani è il sudario che avvolse il corpo di Cristo, per gli scettici solo un mirabile falso. Comunque sia, la vicenda della Sacra Sindone è così appassionante da sembrare un romanzo d’avventura.
1. La Sindone è il Mandylion?
Esiste però una seconda eventualità, avanzata dal giornalista Ian Wilson nel 1978, secondo la quale la mancanza di riferimenti alla Sindone precedenti al suo ritrovamento sarebbe da imputarsi al fatto che, fino ad allora, la reliquia era conosciuta con un altro nome: Mandylion.
Si trattava di un telo sul quale sarebbe stato possibile contemplare, impresso, il volto di Cristo.
Le cronache riportano che, fino al 1204, quell’oggetto di devozione si sarebbe trovato a Costantinopoli, per poi scomparire in seguito alla presa della città da parte dei cavalieri della Quarta crociata, il 12 aprile di quello stesso anno.
Il sudario che Goffredo portò in Europa, dunque, potrebbe essere stato proprio il Mandylion. A sostegno di questa ricostruzione c’è il fatto che tra gli antenati della sua seconda moglie, Giovanna di Virgy, si annovera Ottone de la Roche.
Egli fu uno dei condottieri che presero parte, appunto, a quella strana spedizione che, progettata per restituire alla cristianità il Santo Sepolcro di Gerusalemme, venne poi dirottata su Costantinopoli, facendo crollare l’Impero Bizantino.
Se a questo si aggiunge il fatto che, nel 1205, la reliquia fu avvistata con certezza ad Atene, dove Ottone aveva spostato la propria dimora, allora prende corpo l’ipotesi secondo la quale il crociato si sarebbe impossessato dell’oggetto durante il sacco di Costantinopoli, per farlo diventare parte del tesoro di famiglia.
Successivamente, la Sindone sarebbe stata data in dote a Giovanna al momento di andare in sposa a Goffredo, che quindi ne sarebbe diventato il proprietario attraverso il matrimonio.
A rendere oltremodo ardua e complicata l’identificazione della Sindone originale concorre il fatto che, nel periodo successivo alle Crociate, il mondo cristiano sperimentò una vera e propria invasione di oggetti sacri provenienti dal Medio Oriente.
Responsabili di tale mercimonio erano proprio i Crociati, i quali acquistavano (o razziavano) gli oggetti santi nelle città d’Oriente e li portavano in dono ai potenti per ottenerne i favori, oppure, più semplicemente, con la speranza di ricavarne una ricompensa in denaro.
2. Una, cento, mille reliquie
Un mercato tanto ricco e proficuo non poteva non essere invaso da contraffazioni: a volte si trattava di falsi marchiani, altre, invece, di piccoli capolavori della truffa, fabbricati con grande abilità.
Sembra che, all’epoca della presa di Costantinopoli da parte dei crociati, oltre al Mandylion ci fosse almeno un’altra Sindone, quella conservata nel monastero di Santa Maria delle Blacherne, sempre a Costantinopoli.
Come racconta un cronista dell’epoca, Roberto di Clary, essa veniva esposta all’adorazione pubblica ogni venerdì.
Egli esclude che si potesse trattare del Mandylion, il quale veniva venerato altrove, e specifica che anche di questa seconda Sindone si persero le tracce dopo il 12 aprile 1204.
Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che, all’epoca, esistevano altre reliquie simili, per esempio il cosiddetto Sudario di Oviedo e il Velo della Veronica, le possibilità di individuare con precisione quale di tali oggetti devozionali sia identificabile con ciò che oggi chiamiamo Sindone appaiono decisamente scarse.
In realtà, però, noi disponiamo di un’altra testimonianza importante, che può aiutarci a ridurre drasticamente le possibilità.
Nelle sue cronache, Niceforo Callisto Xanthopoulos, un monaco bizantino del XIV secolo, riporta gli esiti di una vera e propria analisi eseguita su quella che, evidentemente, veniva ritenuta la vera Sindone, che si trovava a Costantinopoli.
Il dato riportato, relativo all’altezza della figura impressa (183 cm) è perfettamente compatibile con quello della Sindone conservata oggi a Torino. Dunque, il campo delle reliquie candidate si restringe alle due che, all’epoca, si trovavano nella capitale bizantina: la Sindone di Santa Maria delle Blacherne e il Mandylion.
È, ancora una volta, la testimonianza di Roberto di Clary a fornire un indizio fondamentale, quando, riferendosi al Mandylion, afferma che questo era custodito in un vaso d’oro.
Ebbene, l’analisi della Sindone di Torino ha evidenziato tracce compatibili con il fatto che il telo possa essere stato piegato più volte rispetto al metodo normale, in modo da creare tredici parti a fisarmonica invece delle consuete otto: per quale altra ragione si dovrebbe ripiegare così un lenzuolo, se non per riuscire a riporlo all’interno di uno spazio piccolo, come appunto un vaso?
È dunque possibile che la Sindone che oggi viene conservata nella cattedrale di Torino sia davvero il Mandylion. Che si tratti proprio della Sindone originaria, però, rimane una questione ancora aperta.
3. L’origine del mistero
Riprendendo il nostro viaggio a ritroso verso le origini della Sindone, scopriamo che, quando venne prelevato da Costantinopoli nel 1204, il Mandylion si trovava nella città da oltre due secoli.
Vi era stato portato nel 944, dopo essere stato riscattato dai musulmani che lo avevano razziato come spoglia di guerra dopo la presa di Edessa, l’odierna città turca di Urfa.
Dunque, il Mandylion corrisponderebbe alla reliquia precedentemente nota come Immagine di Edessa.
Tale identificazione è suffragata dalla testimonianza dell’arcidiacono Gregorio, il quale, descrivendone l’arrivo a Costantinopoli, accenna alla presenza delle macchie di sangue, escludendo quindi la possibilità che si trattasse di un semplice dipinto e avvalorando l’ipotesi del sudario.
Riagganciandoci alla storia dell’Immagine di Edessa, risaliamo la corrente del tempo di altri quattro secoli, arrivando al 540. In quell’anno, la reliquia sarebbe stata portata via da Antiochia, che era cinta d’assedio e rischiava di cadere nelle mani dei Persiani.
Eccoci dunque all’indizio più antico: dal momento che il primo vescovo di Antiochia era stato l’apostolo Pietro in persona, il fondatore della Chiesa cristiana, appare perfettamente plausibile che sia stato proprio lui a prendere in custodia il sudario di Cristo e a portarlo con sé in Asia Minore.
A questo punto, percorrendo gli ultimi anni della vita di Gesù, si giunge al momento in cui la Storia si ferma e cede il posto al racconto evangelico, secondo il quale, nel 33 d.C., il Salvatore venne condannato a morte per crocifissione.
La sentenza fu eseguita sotto Ponzio Pilato, e il corpo senza vita adagiato nel sepolcro, dopo essere stato preparato secondo le tradizioni ebraiche e avvolto in un sudario. Nei Vangeli, quest’ultimo viene effettivamente menzionato, ma senza particolare enfasi.
È pur vero che la leggenda della Sacra Sindone prende le mosse più tardi, nel IV secolo, quando nel vangelo apocrifo di Gamaliele (un influente maestro ebreo, vissuto nel I secolo d.C.) si narra che fu Pilato a raccogliere il lenzuolo e a portarlo fuori dal sepolcro.
Sarebbe stata appunto la descrizione delle proprietà miracolose dell’artefatto riportata nel testo a dare inizio al culto della Sindone, e alla sua lunga e avventurosa vicenda.
Quasi duemila anni di brevi apparizioni e fuggevoli accenni nelle cronache, durante i quali ha dovuto affrontare dure prove, come l’incendio divampato nel 1532 nella cappella del Saint-Suarie, all’interno del castello di Chambéry.
O gli anni trascorsi a macerare nell’acqua stagnante di un vaso, e i passaggi di mano più o meno violenti, i rammendi e i maltrattamenti durante viaggi e probabili sottrazioni furtive.
Il mistero storicamente più affascinante che circonda la reliquia, però, risiede proprio in ciò che non sappiamo: i secoli che precedono le sue riapparizioni, infatti, sono avvolti in un silenzio impenetrabile, destinato forse a rimanere tale per sempre.
4. Identikit del mistero e le altre Sindoni
- Identikit del mistero
Il lenzuolo di Torino (le dimensioni sono circa 441 x 111 cm) riporta due immagini molto tenui che ritraggono un corpo maschile nudo, a grandezza naturale, una di fronte e l’altra di schiena, allineate testa contro testa.
1. L’uomo ha una statura compresa fra i 178 e i 185 cm.
2. Sono stati riscontrati segni (controversi) di chiodi e ferite da flagello, nonché della corona di spine.
3. Le bruciature furono causate dall’incendio scoppiato il 4 dicembre 1532 nel castello di Chambéry. Un oggetto rovente aprì fori a triangolo: sono disposti simmetricamente, perché il lenzuolo era ripiegato più volte su se stesso.
4. Alcuni studiosi sostengono di aver identificato immagini di fiori e di altri oggetti, tra cui i segni della Passione, ma i più contestano questa interpretazione.
5. Altri studiosi affermano invece di avere notato sugli occhi le impronte di due monete coniate da Ponzio Pilato.
- Le altre Sindoni
Secondo alcuni la vera Sindone era quella di Besançon: in questa città della Franca Contea viveva Ponzio de la Roche, al quale nel 1024 nel 1024, di ritorno da Costantinopoli, il figlio Ottone avrebbe affidato la Sindone.
Poiché l’accampamento di Ottone, durante la sua permanenza in terra bizantina, era posto presso Santa Maria delle Blacherne, è possibile che il sudario lì conservato corrisponda alla Sindone di Besançon. La reliquia fu distrutta nel 1794, dopo la Rivoluzione francese.
5. Venti secoli di dubbi
Per chi crede, la Sindone è davvero il sudario che ha avvolto il corpo di Cristo nei tre giorni che separano la sua morte dalla resurrezione.
Per gli altri, si tratta di un artefatto, un elaborato inganno che non ha nulla di miracoloso.
Nemmeno le analisi condotte utilizzando il metodo del carbonio 14, mediante le quali l’origine del tessuto è stata fatta risalire al periodo tra il 1260 e il 1390, sono riuscite a convincere i milioni di devoti che ancora oggi venerano la reliquia.
Di contro, non si deve pensare che nell’antichità non fossero già stati avanzati dubbi sulla sua vera natura: nel 1389, il vescovo di Troyes la definì un semplice “dipinto”, del quale asserì addirittura di conoscere l’autore (senza però farne il nome).
L’antipapa Clemente VII ne autorizzò l’esposizione, pur affermando che si trattava di un’imitazione del sudario di Cristo.
I dubbi vennero tacitati tra il Quattro e il Cinquecento: prima dalla dichiarazione di autenticità rilasciata da papa Sisto IV nel 1473, poi dall’autorizzazione al culto firmata da Giulio II nel 1506, che stabilì anche la data per la festa liturgica in onore della reliquia: il 4 maggio.
Il più grande artista, che si raffigurò con l’ombra è la luce è Gesù di
Nazaret, se la Sindone di Torino è un suo autoritratto di natura
miracolosa. Al suo interno contiene la perduta o forse solo nascosta
Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci. Tramite la somiglianza del
volto contenuto nell’immagine della ferita al costato della Sindone, con
il volto urlante del guerriero centrale, Niccolò Piccinino della Tavola
Doria che della Battaglia di Anghiari di Leonardo realizzata a Firenze a
Palazzo Vecchio nel Salone dei Cinquecento, riproduce La lotta per lo
stendardo. Cfr. ebook/kindle. La Sindone di Torino e
le opere di Leonardo da Vinci: analisi iconografica comparata.