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Santa Chiara: quale fu il ruolo svolto dalla Santa e quale fu la reale entità del rapporto con San Francesco e la sua comunità?

Chiara nacque ad Assisi nel 1194. Era più giovane di Fran­cesco di una dozzina di anni e le loro famiglie appartenevano a cam­pi avversi.

Quella di Chiara era schie­rata con il partito dei nobili della città, i maiores, a capo dei quali vi era suo zio Monaldo.

Francesco, invece, mili­tava tra i popidares o minores, la fazione che rappresentava il ceto mercantile emergente.

I maiores detennero il po­tere ad Assisi tra la fine del XII secolo e il 1203, anno in cui furono esiliati a Perugia.

Chiara dovette seguire la famiglia in esilio e tale esperienza se­gnò la sua fanciullezza proprio come la detenzione in una prigione perugi­na segnò quella di Francesco.

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Almeno fino al XII secolo, le fan­ciulle, appena uscite dalla pubertà, si trovavano di fronte a un bivio: dive­nire mogli, oppure abbracciare la vita di clausura, secondo la regola bene­dettina. La vita monastica era perlo­più riservata alle nubili o alle vedove dei ceti elevati.

Entrare in monastero significava, infatti, portare una dote cospicua, che solo le famiglie agiate potevano permettersi. Dalla consi­stenza della dote dipendeva la posi­zione che si sarebbe assunta all’inter­no del monastero stesso.

Se Chiara d’Assisi, che come ab­biamo visto apparteneva ai maiores della città, avesse abbracciato la vi­ta monastica, la famiglia avrebbe vissuto questa scelta come uno dei modi per aumentare il proprio pre­stigio sociale.

All’età di diciotto anni, invece, Chiara fece una scelta assai diver­sa, per certi versi rivoluzionaria. Distribuì i propri beni ai poveri e si uni ai frati di Francesco, ai quali Innocenzo III aveva appena rico­nosciuto la «forma di vita».

I frati di Francesco non erano quindi an­cora divenuti un vero ordine, ma avevano avuto il permesso da parte della Curia di vivere in comunità seguendo il proposito di povertà assoluta. Una formula che aveva permesso loro una scelta radicale, senza che si potesse accusarli di essere eterodossi, o peggio, eretici.

Ma quale fu il ruolo svolto dalla Santa nel contesto sociale e religioso della Assisi del Duecento? Perché la sua memoria sembra, in qualche misura, «tradita» dalla storiografia tradizionale? E quale fu la reale entità del rapporto con San Francesco e la sua comunità? Scopriamolo insieme.

 

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1. Fuga nella notte

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Nella notte della Domenica delle Palme del 1211, secondo quanto riportato dalla più antica biografia della Santa scritta da Tommaso da Celano, Chiara fuggi di casa, d'ac­cordo con Francesco, e raggiunse i frati alla Porziuncola.

Il biografo scrive che Francesco stesso le diede la tonsura (il rito di consacrazione che precedeva il conferimento de­gli ordini sacri) e la condusse poi nel monastero benedettino di S. Paolo delle Abbadesse a Bastia Umbra.

Non appare verosimile, però, che nel buio delle notti me­dievali, Chiara fosse scortata per oltre quattro chilometri fino a Ba­stia dai frati che non avevano mez­zi per spostarsi.

È più plausibile immaginare, invece, che abbia tra­scorso alcuni giorni presso la picco­la comunità della Porziuncola e che solo in un secondo tempo, cedendo alle pressioni dello zio Monaldo e dei concittadini, sia stata condotta presso le Benedettine di Bastia.

Il fatto che in un primo momen­to Francesco abbia accolto Chiara nella sua comunità, fianco a fianco con i compagni, sembra contrastare con l'idea suggerita più volte nelle fonti, e seguita anche da parte del­la storiografia più recente, secondo la quale Francesco avrebbe subito la decisione di Chiara più che con­dividerla.

L'aver dato albergo alla ragazza in quelle prime notti dalla sua fuga, consapevole di suscitare la reazione allarmata dei parenti e i timori dello stesso vescovo, mostra una volontà precisa di Francesco, che non può certo essere attribuita a superficialità.

Qua sotto, Santa Chiara è accolta da san Francesco alla Porziuncola.

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A conferma di ciò, quando in un momento successivo Francesco ebbe constatato la difficoltà di mantenere Chiara sotto lo stesso tetto con i frati della nascente comunità, si risolse di condurla in monastero. Tuttavia, la vicenda non si concluse con tale spostamento.

Poco tempo dopo, Chiara chiese di essere trasferita nel monastero di S. Angelo in Panzo, dove risiedeva una comunità di penitenti. Qui Chiara venne raggiunta dalla sorella Cate­rina che assunse - nell'Ordine - il nome di Agnese.

A nulla valsero le suppliche e le minacce dei parenti, in primo luogo dello zio Monaldo. Insoddisfatta anche di questa se­conda sistemazione. Chiara si spo­stò nuovamente, ottenendo questa volta un trasferimento definitivo.

Francesco la condusse a S. Damia­no, la piccola chiesa fuori le mura di Assisi che egli stesso aveva inizia­to a riparare con le sue nude mani all'inizio della sua conversione spi­rituale. Un luogo emblematico del francescanesimo delle origini, la cui cessione a Chiara non può essere considerata casuale.

Il passaggio di S. Damiano nelle mani di Chiara accrebbe ulterior­mente la sua fama di luogo-simbo­lo del francescanesimo della prima ora, e di roccaforte della difesa della povertà raccomandata dal fondato­ re nel Testamento. Quando l'unità dell'Ordine si incrinerà, i compa­gni umbri si stringeranno attorno a Chiara in difesa del lascito spiritua­le del Maestro.

Ubertino da Casa­le, uno dei capi dello spiritualismo francescano, testimonia che a S. Damiano vennero custoditi anche gli scritti clandestini dei compagni di Francesco al tempo della grande censura.

L'insediamento di Chiara a S. Damiano evidenzia anche la volon­tà della Santa di rimanere parte in­tegrante del movimento francesca­no, rifiutando l'esperienza monasti­ca tradizionale che avrebbe potuto vivere a S. Paolo delle Abbadesse.

Il fatto che Francesco non si opponga a tale decisione, ma, anzi, la agevoli con la cessione di un luogo per lui simbolico, mostra che egli non pen­sava affatto, come in seguito verrà sostenuto, di liberarsi del problema di Chiara e delle consorelle.

 

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2. «Povere sorelle recluse» al servizio dei derelitti

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Con il trascorrere degli anni, la pic­cola comunità femminile si accreb­be, anche grazie alla propaganda dei frati.

Entrarono a S. Damiano anche un'altra sorella e la madre di Chiara.

Il successo dell'Ordine fem­minile - il secondo Ordine - anti­cipò addirittura quello dell'Ordine maschile, tanto che, mentre Fran­cesco stava ancora sperimentando la forma di vita da dare ai compa­gni, il secondo Ordine si formalizzava già nel 1219 con le «costituzioni ugoliniane», che ufficializzarono la nascita dell'Ordine di Chiara, as­soggettandolo però alla clausura.

Da allora, infatti, le «dame di San Damiano» iniziano a essere chiama­te nelle fonti e nei documenti «Po­vere sorelle recluse». L'approvazione però di una vera e propria regola, che Chiara stessa scriverà di suo pugno negli ultimi anni di vita, si ebbe solo il 9 agosto del 1253, a soli due giorni dalla mor­te della Santa, la quale lottò sempre contro i vari tentativi di stravolgi­mento del suo proposito di vita.

È stato notato che San Dome­nico e San Francesco, entrambi fautori di una visione dell'ideale monastico che alla permanenza stabile in uno stesso luogo preferiva l'itineranza continua al servizio dei bisognosi, dovettero ipotizzare una stessa formula di vita per le donne che entravano nei loro Ordini.

E, del resto, lo stesso biografo Tommaso da Celano, nei capitoli XII e XIII della sua Leggenda, afferma che nei primi anni, Chiara e le sorores mendicavano per la città e nei dintorni di Assisi.

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A differenza delle monache bene­ dettine, egli ci mostra le Clarisse impegnate a lavorare con le proprie mani, assistere i lebbrosi, predicare alle consorelle il Vangelo. Questo modello di vita religiosa si avvici­nava a quello delle beghine, donne che all'epoca faticavano a ottenere il permesso a una vita comune al ser­vizio dei derelitti.

Al di fuori del­la clausura monastica, infatti, non si prevedeva ancora alcuno spazio per le donne, le quali, nell'itineranza, incontravano spesso pericoli reali, oltre ad alimentare paure e pregiu­dizi che da sempre pesavano sulla condizione femminile.

Si potrebbe concludere che, con l'imposizione della clausura alle «povere dame di S. Damiano», il movimento clariano abbia finito per rientrare nel filone del mo­nachesimo tradizionale, ma non è così. Infatti, quando, nel 1228, Gregorio IX fece pressioni su Chia­ra affinché addivenisse a un'in­terpretazione più attenuata della povertà, accettando beni e rendite per il sostentamento delle suore, l'opposizione di Chiara fu netta e risoluta.

Ciò non solo sarebbe sta­to contrario a quanto prescritto da Francesco nel Testamento, ma avrebbe significato la rinuncia al lavoro manuale e alla carità.

Qua sotto, Santa Chiara riceve la palma dal vescovo Guido.

 

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3. L'intervento di Gregorio e lo sciopero contro il papa

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Tali elementi costituivano l'unico punto di contatto con lo stile di vi­ta dei frati.

Per Francesco la men­dicità rappresentava il solo modo per mantenere un legame effettivo con i poveri e per rimanere fedeli al messaggio evangelico.

Chiara, che aveva dovuto cedere sulla clausura, non intendeva abdicare a tale lasci­to spirituale.

Papa Gregorio si vide allora co­stretto a emanare il famoso «Pri­vilegio di povertà» con il quale S. Damiano, unico monastero tra le comunità francescane femminili, potè mantenere il divieto assoluto al possesso dei beni.

In tal modo si veniva a creare una situazione pa­radossale: con la riforma di Grego­rio, il monastero di S. Damiano era posto a capo del movimento france­scano femminile e, tuttavia, differi­va sensibilmente nello statuto dagli altri monasteri da esso dipendenti.

Il papa, sconfitto nel braccio di ferro sulla povertà, cercò allora di spezzare la resistenza di Chiara, al­lentando i suoi legami con i compa­gni di Francesco. Questi ultimi ave­vano sempre visto nella comunità di S. Damiano una propaggine del proprio Ordine; il pontefice, invece, voleva farne la testa del movimento femminile, spingendo Chiara ad as­sumere quel ruolo di «badessa» che essa rifiutava.

Nel 1230, con la bolla Quo elongati, Gregorio vietò l'accesso dei frati in tutti i monasteri femminili, ecce­zion fatta per i pochi questuanti, incaricati di mendicare il cibo per le suore di S. Damiano. A partire da quel momento, la cura spirituale delle suore non sarebbe più stata di competenza dei Frati Minori.

A tale disposizione Chiara rispose cacciando da S. Damiano i frati questuan­ti ed entrando, di fatto, in sciope­ro della fame. Il papa, minacciato dallo scandalo che un tale gesto avrebbe arrecato all'immagine della Chiesa, fu costretto a una clamoro­sa marcia indietro.

Qua sotto, lo zio Monaldo cerca di portarla via Chiara dal monastero di San Paolo.

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Il divieto assoluto al possesso di beni, fossero stati essi personali o della comunità, era il punto critico attorno al quale nacque la spacca­tura all'interno dell'Ordine. Fran­cesco lo aveva posto come argine contro l'omologazione del proprio Ordine a quelli esistenti o in via di definizione.

Già quando il Santo era ancora in vita, molti frati si erano strenuamente battuti per superare tale vincolo, cercando di arrivare a un'interpretazione più attenua­ta della povertà, adducendo come scusante la crescita esponenziale dell'Ordine, che iniziava a porre se­ri problemi di gestione.

Nella bat­taglia a difesa del divieto di posses­so Francesco fu sempre affiancato dai compagni umbri e da Chiara, la quale, come abbiamo visto, com­battè per difendere tale linea anche dopo la morte del Santo.

Per alcuni, si trattò di una pu­ra impuntatura formale. In realtà, Chiara, che, infine, aveva dovuto accettare la clausura anche per vo­lere dello stesso Francesco, non in ­tendeva retrocedere di un passo su una questione che rappresentava l'essenza stessa della sua identità francescana.

Nell'entrare a S. Pao­lo delle Abbadesse, all'inizio della sua conversione, Chiara fu accolta come inserviente in quanto priva di quella dote che, come abbiamo detto all'inizio, aveva voluto devol­vere ai bisognosi: anche all'interno dei monasteri, di fatto, si perpetua­va una netta divisione tra ceti.

Qua sotto, San Francesco taglia i capelli alla Santa.

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Nel monastero di S. Damiano ciò di­venne impossibile, proprio perché il disfarsi di tutti i beni materiali prima dell'ingresso in religione era stato fissato come obbligo.

Nelle speranze di Francesco, la condizione di assoluta povertà avrebbe dovuto impedire all'Ordi­ne di divenire potente e compro­messo. Sebbene Francesco non abbia mai mosso alcuna critica nei confronti delle gerarchie, era evi­dente che all'interno della Chiesa molti avevano smarrito le finalità del loro mandato e della loro voca­zione. Francesco, quindi, decise di dedicarsi a ciò che le gerarchie ave­vano maggiormente trascurato, la cura delle anime.

Nei villaggi, nelle campagne, nelle «favelas» cittadi­ne, vivevano anime derelitte alle quali i parroci e i vescovi manca­vano di portare conforto spirituale ancor prima che materiale. Francesco, che intendeva ga­rantire in primo luogo tale pre­senza, non poteva permettere che i suoi seguaci rimanessero invi­schiati in meccanismi di potere e interesse analoghi a quelli che da secoli sviavano l'attenzione dei prelati dai bisogni dei fedeli.

Chi entrava nell'Ordine doveva tenersi fuori dai problemi di gestione dei beni, dalle controversie giuridiche che giocoforza essi comportavano, dalla tentazione di comode pre­bende: tutto ciò avrebbe assorbi­to energie che, invece, andavano spese nel conforto agli emarginati.

Chiara, che a causa della clausura aveva dovuto rinunciare a tale ser­vizio, volle però testimoniare l'ade­sione a questo programma, nono­stante fossero in molti, in quel mo­mento, a sostenere che si trattava di una strada impercorribile.

 

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4. Ritorno all'Ordine

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Nel difendere la povertà. Chiara difendeva la sua francescanità e in ciò vi fu una simmetria perfetta tra i due: essi rimasero uniti al di là di tutte le difficoltà in quella comune battaglia, che rappresentava l'uni­cum di un movimento che insieme avevano contribuito a plasmare e a far crescere.

Alla morte di Francesco l'Ordi­ne si divise in due correnti, quella cosiddetta dei conventuali - con­siderati «rilassati» nei confronti della povertà - e quella dei rigori­sti, rappresentati in buona parte dai compagni umbri di Francesco.

Chiara appartiene a questa secon­da corrente. Non stupisce che nella storiografia francescana (espres­sione dell'ala conventuale) la sua figura venga in qualche modo ridi­mensionata, se non, in alcuni casi, screditata.

Lo stesso Tommaso da Celano, che nella Vita Prima di San Francesco, scritta intorno al 1228, le aveva dedicato parole di grande elogio, quando nel 1244 viene inca­ricato di scrivere la nuova biografia del Santo, espunge ogni riferimen­to a Chiara.

Gli anni dei contrasti con Gregorio IX e le polemiche sull'interpretazione del Testamento avevano fatto di Chiara una figura scomoda, alla quale si preferiva or­mai non fare più riferimento. Negli anni Sessanta del Due­cento si arrivò addirittura a impor­re una lettura in termini negativi del rapporto del Fondatore con le «dame di S. Damiano».

Erano gli anni in cui Francescani e Domenicani, cercano e ottengono di li­berarsi della cura spirituale delle sorelle, affidandone la tutela diret­tamente a un cardinale protettore. I monasteri femminili e la gestione dei contatti con i frati per le que­stioni pratiche e per quelle spiri­tuali, davano spesso luogo a malu­mori e incomprensioni.

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Troppe volte le suore mancava­no all'obbligo di stretta clausura e venivano accusate di recarsi presso i lebbrosi e gli ammalati o di riceverli all'interno delle mura dei conventi. Come ha scritto Chiara Frugoni, le testimonianze rese al processo di canonizzazione di Chiara mostra­rono che «la porta del monastero si aprisse troppo di frequente». Se ciò fu tollerato durante il generalato di frate Elia (1232-1239), in seguito suscitò aspre punizioni. In tale con­testo nacque lo stereotipo di Fran­cesco avverso alle «sorores».

Esiste uno scritto che attribuiva a Francesco stesso il proposito di di­sfarsi del ramo femminile dell'Or­dine. L'allora ministro provinciale della Toscana, fra Tommaso da Pavia (morto nel 1278), nei Verba ipsissima, fece dire a Francesco: «Dominus a nobis uxores abstulit, dyabolus autem nobis procurat sorores» («Il Signore ci ha tolto le mogli, ma il diavolo ci opprime con le so­relle»).

Tale affermazione sarebbe stata suffragata - secondo frate Tommaso - dalla testimonianza di uno dei compagni ancora viventi di Francesco, il quale avrebbe soste­nuto che Francesco rifuggiva dalla familiarità con le donne - e in par­ticolare temeva quella con Chiara - al punto di non volerla più chia­mare per nome, ma semplicemen­te «cristiana», per evitare qualsiasi vicinanza emotiva.

Al contrario, Tommaso da Ce­lano sembra voler giustificare la sollecitudine di Francesco verso Chiara a partire dal desiderio di vederla entrare nella sua fraternitas: «Né quello (Francesco), colpi­to dalla fama di una giovane tan­to graziosa e celebre, desiderò di meno vederla e parlarle, se, lui che era tutto proteso a simili prede ed era venuto per devastare il regno del mondo, in qualche modo po­tesse strappare al mondo perverso questa nobile preda per offrirla al suo Signore».

Più avanti, Tomma­so si trova quasi nell'imbarazzo di dover giustificare un'assiduità di frequentazione che dovette ap­parire inopportuna ai contempo­ranei: «Rende visita lui a lei e più spesso lei a lui, moderando la du­rata dei loro incontri, perché tale loro interesse divino non potesse essere capito da essere umano e divenire di pubblica fama. Infat­ti soltanto con una compagna a lei familiare la giovane, uscendo dalla casa paterna in segreto, si recava dall'uomo di Dio, le cui pa­role a lei rivolte la infiammavano e le cui opere apparivano essere più che umane».

Se il rapporto tra Chiara e Francesco fosse stato davvero unilaterale, come è stato sostenuto da alcuni storici, il biografo non si sarebbe trovato nella necessità di giustificarlo.

Qua sotto, Santa Chiara e il miracolo dei pani.

 

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5. Timori, maldicenze e le ultime volontà

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Potremmo certo pensare che si tratti di luoghi comuni tipici della letteratura agiografica, ma, poiché Tommaso scriveva quando erano ancora vivi molti dei testimoni di quelle vicende, è plausibile imma­ginare che egli intendesse piuttosto alludere alle maldicenze e ai timori suscitati dalla vicinanza tra Chiara e Francesco e, più in gene­rale, tra quella tra i frati e le suore.

Forse anche per tale ragione Fran­cesco preferì non nominare Chiara nei suoi scritti e, dopo la sistema­zione delle suore a S. Damiano, cercò di ridurre all'estremo la fre­quenza delle sue visite.

Del resto, parole analoghe a quelle registrate da Tommaso da Celano furono pronunciate al pro­cesso di canonizzazione, che si svol­se come un vero e proprio processo, con la comparizione di testimoni invitati a fornire deposizioni, secon­do quanto in prima persona visto e ascoltato circa la vita e i miracoli del santo candidato alla gloria de­gli altari.

Cosi la sorella di Chiara, Beatrice, testimoniò che: «Havendo sancto Francesco audita la fama de la sua sanctità (della santità di Chiara), più volte andò a lei predicandoli, in tanto che epsa virgine Chiara aconsen­tì alla sua predicatione et renunciò al mondo et ad tucte le cose terrene et andò a servire ad Dio quanto più presto podde».

Le compagne della prima ora di Chiara, interrogate, rispondono concordemente, confermando le parole di Beatrice: «per admonitione de sancto Francesco incominciò l'ordine che hora è in Sancto Damiano». 

Qua sotto, l'apparizione della Vergine a santa Chiara.

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Al di là di ciò che dicono le fonti, restano, inoltre, alcuni da­ti eloquenti circa l'atteggiamento di Francesco verso Chiara. Il pri­mo riguarda la fase più acuta della malattia, che lo avrebbe di li a poco portato alla morte: quando ormai aveva quasi del tutto interrotto i rapporti con il mondo e il destino dell'Ordine gli appariva confuso e sfuggente, Francesco decise di ri­tirarsi proprio a S. Damiano. Qui, in una semplice capanna fatta di frasche, a ridosso del monastero di Chiara, egli compose il suo scritto più solare, il Cantico delle Creature.

In questi stessi giorni redasse anche un breve scritto noto con il nome di Ultime volontà inviate a Santa Chiara, nel quale le chiede di vigilare sulla scelta della povertà: «Prego voi, mie signore, e do a voi consiglio, affinché viviate sempre in questa forma santissima di vita e povertà. E vigiliate molto affinché per la dottrina o per il consiglio di alcuno, mai in nessun modo non vi allontaniate da essa».

In tale scritto si coglie l'amara con­sapevolezza di Francesco circa le difficoltà a cui la comunità femmi­nile andrà incontro con la sua mor­te, quando alle sorelle verrà meno la sua vigile protezione. Emerge al tempo stesso la fiducia che egli nu­tre in Chiara, ritenuta capace di far­si baluardo contro lo stravolgimen­to che sta investendo l'Ordine.

Egli appare certo che la propria interlo­cutrice comprenderà quel monito oscuro a diffidare «della dottrina e del consiglio di alcuno». Francesco comprende che sull'Ordine pen­de una minaccia e contro di essa chiama Chiara e le sorelle a lotta­re senza possibilità di resa: «mai in nessun modo vi allontaniate da essa». Si tratta di un'ultima volon­tà pesante, che Francesco affida a Chiara, certo che saprà restarle fe­dele fino alla consegna.

L'11 agosto del 1253, Chiara mori a S. Damiano dopo aver lotta­to tutta la vita per il mantenimen­to del «Privilegio di povertà». A soli due anni dalla morte, papa Ales­sandro IV la iscrisse nel catalogo dei santi, salvando la sua memoria dall'oblio.

Qua sotto, i funerali di santa Chiara.

 

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