Se sparisse la foresta amazzonica…

Se sparisse la foresta amazzonica… ci sarebbero conseguenze a cascata dal cielo alla terra, dal mare fino ai ghiacciai.

Immaginate di osservare la Terra dallo spazio. Siete proprio sopra il Sud America, dove spicca l’enorme savana che occupa il Nord del Brasile e parte di altri 8 Paesi.

Una prateria erbosa punteggiata da arbusti e alberi, secca se non durante la stagione delle piogge. Si trova proprio lì, dove prima c’era una foresta di 5 milioni e mezzo di chilometri quadrati, innervata dal Rio delle Amazzoni e dai suoi affluenti…

Immaginate, insomma, di osservare un Sud America senza più la foresta amazzonica. Ma che cosa avremmo perso per sempre, insieme a questo “polmone verde”? Quali sarebbero le conseguenze per il continente americano e per il Pianeta?

Insomma, che cosa succederebbe se la foresta amazzonica scomparisse improvvisamente? Prima di iniziare a rispondere, va detto che la possibilità che essa scompaia potrebbe non essere così remota.

La chiave è un’espressione inglese che nei prossimi anni rischia di diventare sempre più protagonista: “tipping point”. Traducibile in “punto di non ritorno”, è la soglia superata la quale un sistema non si può più recuperare.

Molti sistemi terrestri, avvertono gli scienziati, stanno andando incontro a tipping point: i ghiacci groenlandesi, le barriere coralline… e la foresta amazzonica.

Ivan Scotti, direttore di ricerca all’Inrae di Avignone (l’istituto francese per l’agricoltura, il cibo e l’ambiente), che ha lavorato per anni nella foresta amazzonica della Guyana Francese, inizia appunto a parlare di questo:
«Non c’è bisogno di immaginarsi una cosa estrema tipo “mi sveglio una mattina e non c’è più un albero”. Basta aspettare il tipping point: una volta superato quello, l’Amazzonia non sarà più autosostenibile. A quel punto, è comunque destinata a scomparire».

1. IL “RICICLO” DELL’ACQUA

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Gli scienziati temono che il punto in cui l’Amazzonia potrebbe “seccarsi” non sia lontano, viste le minacce della deforestazione, degli incendi e del cambiamento climatico.

Negli ultimi 50 anni abbiamo perso circa il 17% della superficie forestale. Secondo Carlos Nobre dell’Università di San Paolo (Brasile), se si arriverà a perdere tra il 20 e il 25% si rischia di raggiungere un tipping point per cui l’Amazzonia Centrale, Orientale e Meridionale si trasformerebbero in una grande savana.

Altri scienziati non sono sicuri che si possa definire una precisa soglia critica, ma sottolineano che la deforestazione e le altre minacce stanno mettendo il sistema a rischio. Il motivo?

«Il problema dell’Amazzonia», spiega Scotti, «è quello tipico di tutti i grandi biomi forestali tropicali: si automantiene, anche dal punto di vista climatico, per cui una volta superato il punto di non ritorno l’intero ecosistema correrà rapidamente verso la scomparsa.
Le piante nella foresta amazzonica ricevono tantissima luce solare e quindi sono costantemente in condizioni fotosintetiche molto attive.
Questo porta a una notevole evapotraspirazione (il passaggio di acqua in atmosfera sia attraverso l’evaporazione dal suolo sia con la traspirazione delle piante, con cui l’acqua evapora da foglie e altre parti), che butta in atmosfera grandi quantità di vapore acqueo che si addensa sotto forma di nubi e produce nuove piogge»
.

In altre parole, gli alberi dell’Amazzonia producono le nuvole che servono poi ad alimentarli. Ma, come sottolinea Scotti, «questo processo necessita di una massa critica, sotto la quale il meccanismo non funziona più». In questo senso, non servirà disboscare l’intera Amazzonia per farla scomparire.

2. LA STRAGE DELLA BIODIVERSITÀ

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E poi? Immaginiamo di non riuscire a invertire la tendenza e di ritrovarci quindi tra venti, trenta o cinquant’anni su un Pianeta senza Amazzonia.

È superfluo dire che i danni sarebbero incalcolabili e si sentirebbero ai quattro angoli della Terra. Iniziamo da quella che sarebbe la perdita più evidente.

«Senza la foresta amazzonica perderemmo una quota rilevante della biodiversità del Pianeta», dice Scotti.

Nella foresta vivono 2,5 milioni di specie di insetti (molti ancora da descrivere), 3.000 di pesci d’acqua dolce e circa 1.800 tra uccelli e mammiferi. E molte specie sono presenti solo qui, quindi le perderemmo per sempre.

Il vero tesoro della foresta sono poi tutte le specie che non abbiamo ancora scoperto, e che sono particolarmente a rischio di estinzione, proprio perché non sappiamo che esistono.

«Ogni volta che perdiamo un singolo ettaro di foresta amazzonica, il dramma immediato è che lì dentro c’era sicuramente qualcosa che nessuno ha mai visto prima, e che nessuno vedrà più. Quando perdi una specie come il rinoceronte è evidente. Ma se passi con il bulldozer sopra un pezzo di foresta rischi di portare all’estinzione chissà quante specie di animali, piante e funghi, per non parlare dei microbi».

«Il bello della foresta amazzonica», prosegue Scotti, «è che quello che c’è in un chilometro quadrato non c’è nel chilometro quadrato di fianco. Significa che ogni volta che si abbatte la foresta per aprire una strada o spianare il terreno per coltivare si stanno estinguendo specie che non descriveremo mai, e la cui scomparsa è irreversibile. In sintesi, l’Europa per esempio ha tante specie di albero nell’intero continente quante ce ne sono in un ettaro di Amazzonia».

Inoltre, le piante delle foreste tropicali vengono spesso definite “oro verde”, perché potrebbero contenere molecole che ancora non conosciamo e che potrebbero avere applicazioni mediche: per dirla con uno slogan, la cura contro il cancro potrebbe nascondersi in un cespuglio che vive solo in un angolo remoto della foresta amazzonica.

3. UN CONTRIBUTO AL RISCALDAMENTO

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Se la strage della biodiversità sarebbe la conseguenza più evidente della scomparsa dell’Amazzonia, quella più catastrofica si avrebbe sul clima, locale e globale.

Partiamo da un dato: «La biomassa vegetale dell’Amazzonia contiene circa 80 miliardi di metri cubi di carbonio. L’attività umana ne libera in atmosfera circa 10 miliardi l’anno. Se domani l’intera foresta andasse in fiamme, produrrebbe l’equivalente di otto anni di emissioni a livello globale: il nostro obiettivo di ridurre le emissioni entro il 2030 diventerebbe “ridurre le emissioni entro l’altroieri”», chiarisce Scotti.

Stephen Pacala ed Elena Shevliakova, della Princeton University (Usa), in una simulazione hanno visto che la trasformazione della foresta pluviale in un grande pascolo porterebbe a un aumento della temperatura globale media di 0,25 °C (per avere un’idea: lo sforzo oggi è restare sotto l’aumento di 1,5 °C dall’epoca preindustriale, e siamo già a circa 1,1 °C in più rispetto alla media del periodo 1850-1900).

Peraltro, anche senza arrivare a tale scenario estremo, alcuni studi hanno già rilevato segnali preoccupanti. Una foresta pluviale sana di questo tipo dovrebbe “intrappolare” anidride carbonica, perché le piante crescendo la assorbono dall’atmosfera e la trasformano nei tessuti di cui sono costituite.

Eppure uno studio del 2021 di Luciana Vanni Gatti, del brasiliano Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale (Inpe), ha fatto suonare un campanello d’allarme: nel bilancio tra assorbimento ed emissioni, ha calcolato che la CO2 emessa ha superato quella assorbita.

Per gli incendi (la combustione degli alberi rilascia CO2), ma anche per l’aumento della mortalità degli alberi nelle zone più orientali della foresta “stressata” da deforestazione, riscaldamento, intensificazione della stagione secca.

Tuttavia, la perdita dell’Amazzonia non avrebbe conseguenze sull’ossigeno della nostra atmosfera: il sistema forestale produce e consuma ossigeno, nei suoi processi, e alla fine il contributo è praticamente nullo, anche se a volte viene detto, in modo errato, che l’Amazzonia produce il 20% dell’ossigeno terrestre.

L’ossigeno che respiriamo si è invece accumulato nel tempo, prodotto da vari organismi fotosintetici, come il fitoplancton negli oceani.

4. SE I FIUMI VOLANTI SI SECCANO...

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Come detto, poi, l’Amazzonia diventerebbe una savana arida. L’intera area, hanno visto gli scienziati della Princeton University nella loro simulazione, perderebbe il 25% delle sue precipitazioni e si scalderebbe di almeno 4 °C.

Le conseguenze si sentirebbero anche a distanza. Per capirlo meglio, torniamo al “riciclaggio” dell’acqua con cui l’Amazzonia si autosostenta.

Come hanno scritto nel 2019 Carlos Nobre e Thomas Lovejoy (scomparso nel 2021) in un editoriale su Science Advances, “quando piove sulla foresta dell’Amazzonia, almeno il 75% dell’umidità ritorna alla massa d’aria che si muove verso ovest. La foresta pluviale ricicla l’umidità 5 o 6 volte prima che giri verso sud, in prossimità dell’alto muro delle Ande... L’umidità dell’Amazzonia non è confinata al bacino, ma è parte integrante del sistema climatico continentale con specifici benefici per l’agricoltura nel Sud del Brasile. In effetti, ogni Paese del Sud America a parte il Cile (isolato da questa umidità dalle Ande) beneficia dell’umidità amazzonica”.

Queste nuvole – definite “fiumi volanti” – circolano sul continente e quindi l’impatto si sentirebbe ben oltre l’Amazzonia.

Per esempio, potrebbero diminuire le precipitazioni in California: secondo una simulazione effettuata da David Medvigy della University of Notre Dame (Usa), senza il riciclaggio dell’umidità, l’aria secca si sposterebbe verso nord.

Questo potrebbe ridurre la neve sulla Sierra Nevada, una catena montuosa che si trova per la maggior parte in California, intaccando dunque una preziosa riserva d’acqua in quest’area già a rischio siccità.





5. DALL’HIMALAYA ALLE ANDE?

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Più difficile è immaginare quali possano essere gli impatti sul resto del Pianeta, a migliaia di chilometri di distanza.

Un recente studio cinese ha persino identificato alcune “teleconnessioni”, correlazioni tra temperature e precipitazioni nel bacino amazzonico e aree distanti: la conclusione è che la trasformazione della foresta in savana potrebbe avere influenze fino in Tibet, sull’Himalaya, e in parte dell’Antartide.  Ma anche l’oceano verrebbe interessato.

«Il Rio delle Amazzoni, passando attraverso la foresta, cattura un’enorme quantità di biomassa, materiale che poi viene riversato nell’oceano: la corrente del fiume si spinge fino a 200 km dalla costa, e tutta questa materia organica viene poi portata in giro per gli oceani dalle correnti marine, e percorre anche migliaia di chilometri lungo le coste dell’America. Senza questo apporto costante e abbondante di materia organica, come cambierebbero gli oceani? È un impatto difficile da immaginare», conclude Ivan Scotti.

“Inimmaginabile” è una delle parole che ricorrono più spesso nella nostra conversazione, ed è facile capire perché: la scomparsa della foresta amazzonica avrebbe conseguenze così globali e devastanti che è impossibile identificarle tutte.

Per esempio, va considerato anche il fatto che nell’area vivono milioni di persone che dipendono da essa. Eppure, per quanto possa sembrare fantascientifico, lo scenario di una Terra senza Amazzonia è sempre più vicino.

Sotto, le nove nazioni nelle quali si estende la foresta amazzonica.








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