Non tutti sanno che lo slancio rivoluzionario di Simón Bolívar si manifestò per la prima volta a Roma, dove il futuro Libertador pronunciò il suo famoso giuramento: “Giuro davanti a voi, mio maestro, giuro per il Dio dei miei genitori, giuro per loro, giuro sul mio onore che non darò pace al mio braccio, né riposo alla mia anima finché non avrò spezzato le catene che oggi ci opprimono per la volontà del potere spagnolo”.
In un caldo pomeriggio dell’agosto 1805, il giovane Bolívar si incontrò a Piazza di Spagna con il suo amico, precettore e maestro di sempre, Simón Rodríguez, che non vedeva da lungo tempo.
I due si ritrovarono con immensa gioia e si diressero poi in calesse verso via Nomentana, in direzione del Monte Sacro. Bolívar aveva sentito tante volte il suo precettore parlare dell’antica Roma, delle virtù romane, della filosofia illuminista, dei grandi principi della recente rivoluzione francese, della necessità di affrancare i popoli latinoamericani dal giogo coloniale.
Ardeva dal desiderio di visitare il luogo in cui, nel V secolo a.C., si era manifestata quella che poteva essere considerata la prima forma di protesta “democratica”: la plebe romana si era ritirata sul Monte Sacro, rivendicando una maggiore eguaglianza economica e sociale e chiedendo di poter eleggere i propri tribuni ed edili perché rappresentassero più equamente i loro interessi.
Un evento che era rimasto saldamente impresso nella mente del giovane venezuelano. Così, in cima a quel colle, Bolívar prese il suo solenne impegno in favore dell’indipendenza dell’America Latina.
A Roma per il suo secondo Gran Tour formativo e culturale in Europa, il giovane aristocratico venezuelano non aveva ancora individuato con chiarezza la strada da seguire per concretizzare le sue visioni. Nessuno poteva sospettare che sarebbe diventato presto il più importante punto di riferimento per tutti i patrioti del sub-continente.
Di origini creole, Simón Bolívar condusse il Venezuela nella lotta di liberazione dal dominio spagnolo e diede un contributo decisivo all’indipendenza di Bolivia, Colombia, Ecuador, Panama e Perù. Per questo fu soprannominato “El Libertador”.
1. I Grand Tour formativi
Simón Bolívar nacque a Caracas il 24 luglio 1783 da genitori appartenenti alla tipica aristocrazia creola.
Non poté tuttavia godere molto della loro presenza e dar loro affetto, perché rimase orfano di entrambi in tenera età.
Fu quindi affidato alle cure di uno zio distratto e poco interessato a seguirlo nella sua non facile adolescenza. Di natura ribelle e di carattere volitivo, Simón scappò più volte di casa per rifugiarsi presso la sorella più grande, Maria Antonia.
Per evitare ulteriori complicazioni, i suoi tutori decisero allora di iscriverlo nel miglior collegio della città, la Escuela Pública, il cui direttore era colui che diventerà la sua prima guida spirituale, Simón Rodríguez, un uomo di grande cultura, dalle vedute progressiste e grande ammiratore del filosofo Jean- Jacques Rousseau.
L'educazione di un giovane del suo lignaggio prevedeva anche che intraprendesse viaggi formativi nel Vecchio Continente. Simón partì molto presto, appena diciassettenne. Si recò in Spagna e a Madrid dove fu molto apprezzato nei salotti della buona società per i suoi modi eleganti, l'intelligenza e l'eloquio.
Qui incontrò e si innamorò perdutamente di una giovane aristocratica spagnola, Maria Teresa Rodríguez del Toro y Alaiza. Una love story travolgente e irresistibile che portò i due a convolare a nozze nella capitale spagnola nel 1802, per ripartire subito dopo alla volta di Caracas (foto sotto).
Ma la felicità durò molto poco: appena un anno dopo il loro arrivo in Venezuela, Maria si ammalò gravemente e morì stroncata da forti febbri tropicali. Simón fu inconsolabile.
Promise a se stesso che mai più si sarebbe sposato. E così fu. Sebbene nella sua vita ci furono altre donne (molte sedotte dal suo indubbio fascino) mai nessuna riuscì davvero a fargli dimenticare l’adorata Maria.
Forse per superare la tragedia familiare che l’aveva sconvolto, Simón decise di partire una seconda volta per l’Europa, arrivando nel 1804 in una Parigi in piena effervescenza politica, animata dalle discussioni sui grandi ideali, figli della Rivoluzione francese scoppiata quindici anni prima.
Nella capitale, frequentando intellettuali e personaggi di spicco, Bolívar cominciò a riflettere sulle misere condizioni dei popoli sudamericani schiacciati dal pesante giogo coloniale spagnolo e sul possente anelito di libertà che soffiava su tutta l’America Latina.
In quel periodo si incontrò assiduamente con il celebre esploratore e scienziato tedesco Alexander von Humboldt, grande esperto di questioni sudamericane, uomo dalle vedute politiche molto avanzate e pensatore visionario.
Furono gli anni in cui Bolívar, influenzato dallo stesso Humboldt e con l’animo ormai intriso di sincera fede nei concetti di indipendenza e libertà, entrò nella Massoneria, condividendone gli ideali illuministici tesi alla lotta all’ignoranza, alla liberazione da ogni fanatismo religioso e all’aspirazione alla fratellanza universale.
Sotto, il barone Alexander von Humboldt in un ritratto di Julius Schrader datato 1859. Il naturalista tedesco conosceva benissimo il Sudamerica e fu amico di Bolívar.
2. Il soggiorno nella capitale inglese
Nel 1807 rientrò in Venezuela, sentendosi ormai pronto alla lotta.
Dovette però attendere tre anni perché si presentasse l’occasione tanto attesa per entrare in azione, che arrivò quando il Municipio di Caracas rifiutò di sottomettersi all’autorità del Consiglio di reggenza, istituito a Madrid dopo la cacciata di Ferdinando VII a opera dei francesi e l'insediamento del nuovo re Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone.
Il Municipio ribelle deliberò quindi la costituzione di una Giunta formalmente tesa a tutelare gli interessi del sovrano deposto, ma in realtà desiderosa di rivendicare piena autonomia dalla Spagna, dove peraltro era in corso una guerra civile dagli esiti incerti.
A Bolívar, considerata l'esperienza internazionale acquisita durante i suoi due tour in Europa, fu affidato un incarico di tipo “diplomatico”. Si recò a Londra per spiegare le ragioni degli insorti, cercando di ottenere la neutralità britannica nella lotta ormai ingaggiata per l’affrancamento del popolo venezuelano.
La Gran Bretagna in effetti preconizzava di riempire i vuoti, politici ed economici, che sarebbero stati lasciati dalla Spagna dopo l’indipendenza degli Stati latinoamericani.
Se nei contatti formali si parlava sempre in termini di “autonomia”, Bolívar invece non smetteva mai di pensare alla piena “indipendenza” per il suo Paese, chiunque fosse stato al potere a Madrid. Ma la Gran Bretagna si mostrò molto prudente mettendo in atto la tradizionale politica del “wait and see”, aspetta e vedi come va a finire.
Il soggiorno nella capitale inglese risultò però fruttuoso per un altro motivo. Vi incontrò un altro grande protagonista delle lotte per l’indipendenza venezuelana, il generale Francisco de Miranda (qui sotto), già ricercato dalla polizia spagnola per i suoi atti di sedizione e rifugiatosi in Inghilterra.
Militare di vasta esperienza, ammiratore della costituzione statunitense, Miranda era certamente la persona più adatta in quel momento a dare struttura e organizzazione militare ai giovani patrioti animati da grande ardore libertario ma con scarsa esperienza sul campo.
Bolívar lo convinse dunque a rientrare in patria per lottare insieme a lui contro le odiate truppe spagnole.
Il battesimo del fuoco per il giovane rivoluzionario avvenne durante la battaglia di Valencia, in Venezuela, dove Bolívar combatté agli ordini di Miranda. Lo scontro avvenne in seguito alla proclamazione della Prima Repubblica venezuelana, il 5 luglio 1811.
Alla dichiarazione di indipendenza, infatti, i patrioti di Valencia si erano ribellati, ma le truppe spagnole avevano represso duramente la rivolta. Miranda e Bolívar misero allora per settimane sotto assedio la città che finalmente fu presa nell’agosto del 1811.
Sotto, Simón Rodríguez, tutore e mentore di Simón Bolívar. Nel 1797 aveva partecipato alla ribellione contro la Corona Spagnola.
3. Un inizio difficile
La Prima Repubblica venezuelana ebbe vita molto breve, anche a causa di un terrificante terremoto che il 26 marzo 1812 sconvolse il Paese, provocando ingenti perdite umane.
In quella circostanza Bolívar dimostrò tutta la sua eccezionale determinazione, pronunciando una frase che divenne celebre: “Se la natura si oppone ai nostri disegni, noi lotteremo contro di essa e faremo in modo che essa ci ubbidisca!”.
Le cose tuttavia non andarono nel senso da lui auspicato. La sua limitata esperienza militare e le difficoltà logistiche dovute alle conseguenze del sisma, non gli consentirono di mantenere la strategica fortezza di Puerto Cabello (sita a guardia di un importante porto della costa centrale del Venezuela), conquistata dai ribelli nel maggio 1812 e di cui era stato nominato comandante.
L'avamposto consentiva di controllare le entrate e le uscite del porto e gran parte delle province adiacenti ed era stato trasformato in un arsenale e in una prigione per i soldati governativi che venivano catturati. Nonostante un'eroica resistenza la fortezza fu però ripresa dagli spagnoli.
Qualche settimana dopo, Miranda, si ritrovò senza sufficienti effettivi e senza i rinforzi che aveva sperato potessero arrivare dalla Gran Bretagna. Quest'ultima infatti, pur appoggiando politicamente la causa degli indipendentisti (perché voleva estendere la propria influenza sull’America Latina), non voleva rischiare un conflitto aperto con la Spagna.
In tale contesto Miranda decise durante l'epica battaglia di San Matteo di arrendersi alle truppe spagnole, guidate dal generale Juan Domingo de Monteverde, per evitare un immane bagno di sangue.
Questa decisione fu vissuta dal giovane e idealista Simón come un vero e proprio “tradimento”. Bolívar si sentì così ferito nel suo intimo, così umiliato nei suoi convincimenti più profondi, così convinto che venivano calpestati quegli ideali sui quali aveva solennemente giurato a Roma, che finì per denunciare Miranda agli stessi spagnoli.
Senza dubbio questa fu una pagina molto tormentata, drammatica della storia del Venezuela, che vide affrontarsi due grandi condottieri e due modi di lottare per l’indipendenza del Paese: l’uno più politico e pragmatico (Miranda) e l’altro più idealista e radicale (Bolívar). Svanì in ogni caso la Prima Repubblica venezuelana, durata lo spazio di appena un anno.
Sotto, Bolívar in azione durante la battaglia dell'arcipelago di Los Frailes (1816), che terminò con la vittoria dei venezuelani contro gli spagnoli. Il quadro è del 1928 ed è opera di Tito Salas.
4. La nascita del mito
Bolívar nel frattempo si era rifugiato a Cartagena de las Indias (Nuova Granada, nell'attuale Colombia) dove il 12 dicembre 1812 pubblicò il suo Manifesto, uno degli scritti più emblematici del suo pensiero politico-militare, nel quale sottolineò le ragioni del fallimento della Prima Repubblica venezuelana (per esempio la cattiva amministrazione economica dei fondi pubblici, la mancanza di un esercito permanente e le disuguaglianze fra le classi sociali).
Secondo il venezuelano, per vincere la guerra era necessario concentrare innanzitutto le forze dei Paesi latino-americani e solo dopo discutere della struttura costituzionale delle nuove nazioni indipendenti, che peraltro lui intravedeva già come grandi Stati repubblicani uniti da un vincolo federale.
Con queste riflessioni, Bolívar riprese la lotta. Nel febbraio del 1813, alla testa di un piccolo esercito formato nella Nuova Granada, dopo aver preso la città di Cúcuta, si apprestò a liberare di nuovo il Venezuela.
Dopo aspri e sanguinosi scontri con le truppe lealiste, durante le quali mostrò di possedere grandi qualità strategiche, nell’ottobre dello stesso anno entrò trionfalmente a Caracas, dove venne acclamato “El Libertador”, titolo con cui passerà alla Storia.
Nacque così la Seconda Repubblica venezuelana, destinata però, come la prima, ad avere un'esistenza brevissima, dal 1813 al 1814.
Un anno che si rivelò in effetti molto difficile per gli indipendentisti che, alle prese con gli innumerevoli problemi della nuova amministrazione, non riuscirono a organizzarsi efficacemente per resistere alla pressione delle truppe governative. I generali spagnoli Pablo Morillo e José Tomás Boves così riconquistarono Caracas e il Paese.
Questa volta El Libertador, per evitare la cattura, fu costretto a rifugiarsi all’estero, prima in Giamaica e poi ad Haiti. Per qualche tempo in Venezuela la causa indipendentista sembrò essere messa a tacere dalla massiccia presenza delle truppe coloniali. Ma Bolívar non si scoraggiò. Aveva una sola idea in testa: organizzare il suo ritorno in patria.
In effetti, sul finire del 1816, sbarcò nell'isola venezuelana di Margarita e si mise alla testa di un nuovo esercito di entusiasti patrioti. Qui emanò uno dei suoi storici proclami: stabilì l’emancipazione degli schiavi, convinto che un Paese in lotta per la libertà non potesse contraddirsi, ospitando nel suo seno il cancro della schiavitù. Iniziò quindi la marcia di liberazione del Paese.
Riportò una strategica vittoria nella battaglia di Boyacá e stabilì la capitale provvisoria delle terre liberate ad Angostura (oggi Ciudad Bolívar), dove nel 1819 convocò un congresso che lo acclamò entusiasticamente Presidente. Sempre inseguendo le sue visioni unioniste, Bolivar attraversò le Ande (Camapaña Admirable), sconfisse duramente le truppe realiste della Nuova Granada ed entrò gloriosamente a Bogotà.
Su pressioni dello stesso Bolívar, il Congresso di Angostura nel dicembre del 1819, elaborò una nuova costituzione e diede vita alla Grande Colombia, che comprendeva Venezuela, Colombia, Panama e Ecuador. Vennero quindi poste le fondamenta dell’edificio unionista che il grande venezuelano intendeva costruire nel sub-continente latinoamericano. Nel 1820 Ferdinando VII, che dopo il crollo dell’impero napoleonico aveva recuperato il suo trono, riconobbe il nuovo Stato della Grande Colombia.
Qua sotto, un francobollo commemorativo dell'ex Repubblica Democatica Tedesca in onore di Bolívar: il rivoluzionario è raffigurato con Alezander von Humboldt.
5. Un grande sogno (deluso)
Giunse così il momento di dedicarsi all'organizzazione degli Stati liberati.
Bolívar inviò suoi ambasciatori in Messico, Cile e Argentina per esporre il suo progetto di Federazione, di cui la Grande Colombia non era che il fulcro e di cui Panama City sarebbe stata la capitale.
Nel frattempo proseguiva la lotta contro le truppe spagnole ancora presenti nel sub-continente grazie anche all'aiuto della rivoluzionaria Manuela Sáenz, che ne fu fino al 1830 l'amante. Nel 1822 si unì alle truppe del generale José de Sucre e liberò l’Audencia de Quito (attuale Ecuador).
In quello stesso anno ebbe luogo a Guayaquil l’incontro con l’altro grande condottiero e liberatore dell’America latina, il generale José de San Martin, protagonista delle lotte di indipendenza in Cile e in Argentina. I due si misero d’accordo per liberare anche il Perù, l’ultimo bastione della presenza spagnola nel sub-continente.
Nelle decisive battaglie di Junín e di Ayacuyo le truppe di Madrid furono definitivamente sconfitte. Sotto, la battaglia di Junín (6 agosto 1824) secondo il pittore Martin Tovar y Tovar: fu combattuta su un altipiano a oltre 4mila metri di altitudine.
Se sul piano operativo e militare la collaborazione tra i due Liberatori aveva dato eccellenti risultati, su quello politico invece le cose andarono ben diversamente. San Martin non era del tutto contrario alla creazione di regimi monarchici con a capo dei principi europei.
Bolívar invece voleva la totale indipendenza dall’Europa, reclamava un regime repubblicano con un presidente dotato di forti poteri. Nel 1825 vennero eliminati anche gli ultimi colpi di coda del governo spagnolo e nacque la Repubblica di Bolívar (attuale Bolivia).
Il Libertador dopo essere stato nominato presidente della Grande Colombia e del Venezuela, lo divenne anche della Bolivia. La fase “militare” del suo progetto unionista si concluse con un trionfo generalizzato. Ma la guerra per il Liberatore non fu che il mezzo per ottenere l’indipendenza.
Ora era arrivato il momento di cominciare la “vera” Rivoluzione per varare riforme sociali a protezione delle popolazioni indigene, favorire l’istruzione, ampliare il commercio e sviluppare l’agricoltura. In una parola: il progresso.
Il sogno di Bolívar di un’America Latina forte, unita e moderna si infranse tuttavia contro le forze della disunione, gli interessi degli oligarchi locali, i retaggi dei vice-reami e capitanerie che rivendicavano propria fisionomia e identità.
D’altra parte il potere esercitato da Bolívar in maniera personalistica e poco incline al compromesso, suscitò non pochi oppositori. Persino diversi generali del suo entourage si agitarono, reclamando alla Grande Colombia quell’indipendenza che avevano ottenuto lottando contro la Spagna.
Lo stesso Venezuela, madrepatria del Libertador, si rivoltò al disegno unionista: Caracas finì per dichiararsi del tutto indipendente, come progressivamente fecero tutti gli altri Stati. Bolívar dunque fu sempre più isolato nel suo sogno.
Stanco e minato dalla tubercolosi che si aggravava continuamente, rinunciò a tutti gli incarichi politici e si illuse di poter tornare una terza volta in Europa per abbeverarsi alle fonti dei principi democratici ed illuministi.
Ma la morte lo sorprese alla Quinta di San Pedro Alejandrino (una hacienda vicino a Santa Marta, in Colombia) il 17 dicembre 1830. Aveva appena 47 anni, ma aveva già lasciato una traccia indelebile nella storia di quell’America Latina che avrebbe voluto unita, forte e prospera come gli Stati Uniti d’America.
Sotto, "Morte di Simón Bolívar", quadro a olio di Antonio Herrera Toro, realizzato nel 1889.