Sindrome di Münchhausen: essere sani ma fingersi malati

Chi vorrebbe andare in ospedale e sopportare esami dolorosi e invasivi pur non avendone bisogno? Solo chi soffre di questo strano disturbo psicologico, che prende nome da un barone tedesco del XVIII secolo. Obiettivo di questi soggetti, attirare su di sé l’attenzione. Specialmente quella dei medici.

Chi non preferirebbe evitare gli esami medici invasivi, i ricoveri ospedalieri e gli interventi chirurgici? Non certo chi è affetto dalla Sindrome di Münchhausen, un disturbo psichiatrico che porta a simulare malattie e sintomi inesistenti per essere sottoposti a ripetuti accertamenti, cure mediche e ricoveri. Il tutto, per trovarsi al centro dell’attenzione.

Nel DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), la sindrome è classificata come un disturbo fittizio (che comporta quindi l’espressione di falsi sintomi) con segni e sintomi fisici predominanti. Non va confusa con la simulazione.

Nella simulazione i sintomi sono prodotti consapevolmente per ottenere un vantaggio (evitare di andare a scuola, ricevere un indennizzo assicurativo, eccetera), mentre nel disturbo fittizio c’è la tendenza cronica ad assumere il ruolo del malato.

La persona racconta di star male per suscitare un senso di compassione e ricevere delle attenzioni mediche. I sintomi vengono prodotti intenzionalmente ma senza una finalità pratica e le cause sono intrapsichiche (legate cioè alla profondità della psiche).

Chi soffre della Sindrome di Münchhausen simula sintomi clinicamente plausibili per essere sottoposto a cure mediche, spesso alterando gli esiti degli esami diagnostici per risultare malato (per esempio, aggiungendo del sangue ai campioni di feci o di urine da analizzare).

Può arrivare ad autoprocurarsi dei danni fisici (ferendosi e infettando la ferita, assumendo grandi quantità di farmaci tossici).

1. Da chi prende il nome e i sintomi generici

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La Sindrome prende il nome da un nobile tedesco, il barone Karl Friedrich Hieronymus Freiherr von Münchhausen (1720-1797), famoso per raccontare storie fantastiche e inverosimili su di sé per attirare l’attenzione.

Le storie furono romanzate da Rudolf Erich Raspe ne Le avventure del barone di Münchhausen.

Fu il medico britannico Richard Asher, in un articolo apparso su The Lancet nel 1951, a battezzare con il nome del barone la sindrome di chi simula la malattia.

Di solito, questi soggetti adducono sintomi aspecifici che potrebbero avere molteplici cause (forti emicranie, dolori addominali, perdita di sensi) e che richiedono quindi un lungo iter diagnostico.

Nella loro ricerca di attenzioni mediche non temono, anzi, ricercano gli esami invasivi e dolorosi e gli interventi chirurgici facendo pressione sul medico per essere ospedalizzati e rimanere ricoverati il più a lungo possibile. In breve, per assumere il ruolo di malati.

Inoltre, per suscitare compassione, abbinano alla sofferenza simulata drammatiche storie cliniche personali e familiari (anch’esse inventate).

Si presentano alle visite con un’enorme quantità di precedenti referti di analisi, esami e degenze ospedaliere, forti di buone conoscenze in medicina e di una grande abilità nell’ingannare i medici.

Vogliono dimostrare che stanno male e nessuno è ancora riuscito a capire perché e rivolgono al medico pressanti richieste di aiuto.

Costui prescriverà ulteriori accertamenti, che ovviamente non potranno chiarire il quadro sintomatologico. Nella foto sotto, il barone Karl Friedrich Hieronymus Freiherr von Münchhausen.

2. Quali sono le cause

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Se i medici sospettano la Sindrome di Münchhausen, questi pazienti fuggono e si rivolgono a un’altra struttura, dove ricominciano daccapo.

Ecco perché è difficilissimo diagnosticare la sindrome, stimarne l’incidenza e confrontare i dati dei pazienti alla ricerca di possibili cause.

Riguardo a queste ultime, si ipotizzano traumi infantili o un passato da bambini trascurati.

Un altro fattore predisponente potrebbe essere l’autolesionismo, elemento della sindrome. Potrebbero essere indicativi episodi di autolesionismo con ricerca di attenzioni avvenuti nell’adolescenza, periodo di emozioni forti che il giovane non riesce a gestire e tenta di placare procurandosi dolore fisico.

L’autolesionismo però non va confuso con il masochismo: il masochista si fa del male perché prova piacere nel dolore fisico, mentre chi soffre della Sindrome di Münchhausen non prova piacere nel dolore, ma ricerca l’attenzione medica.

Altre ipotesi chiamano in causa i disturbi della personalità. Per ragioni ancora da chiarire, la Sindrome di Münchhausen è un disturbo prevalentemente maschile.

3. Cosa deve fare il medico e il trattamento psicoterapico

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Il medico non deve mai far capire al paziente che sospetta la Sindrome di Münchhausen (altrimenti, questi fuggirà) e deve comunque continuare ad assisterlo.

La strategia migliore sarà sottoporlo a una consulenza psichiatrica col pretesto di una terapia contenitiva dell’ansia, sempre assicurandogli ulteriori indagini sulle cause fisiche della sua sofferenza.

Il medico cercherà poi un contatto con i familiari (per raccogliere informazioni sulla persona) e con i colleghi (per indagare sulle precedenti degenze ospedaliere).

Sarà utile prescrivere degli esami del sangue che evidenzino l’eventuale assunzione di sostanze dannose responsabili dei disturbi.

Spiegano gli esperti: «Il primo passo è affiancare al paziente uno psicoterapeuta con la motivazione di assisterlo nella sua sofferenza, dandogli così le attenzioni che desidera. In seguito si dovrà condurre la persona all’accettazione del problema, vale a dire farle accettare e gestire in modo funzionale il suo bisogno di attenzioni, individuando da dove nasce».

Si consiglia la terapia cognitivo-comportamentale: «Si basa sul riconoscimento dei pensieri disfunzionali e sulla creazione di pensieri alternativi. Nello specifico, il paziente dovrà individuare i pensieri legati al suo bisogno di cure e attenzioni e riconoscere come disfunzionale il comportamento di recarsi continuamente dal medico. Tale comportamento andrà modificato cercando un altro modo, funzionale e costruttivo, per ricevere attenzioni».

4. La variante “per procura”

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Del disturbo esiste una drammatica variante denominata Sindrome di Münchhausen per procura, in cui il ruolo di malato viene proiettato su un’altra persona: la figura di accudimento (di solito la mamma) arreca dei gravi danni a un bambino molto piccolo per attirare l’attenzione su di sé.

Nella Sindrome di Münchhausen seriale, la madre fa la stessa cosa con più figli, tant’è che non sono mancati i casi di morte.

Si tratta di donne malate centrate su se stesse con mariti per lo più assenti, che tendono comunque a difenderle diventando complici. Altre volte il danno è inflitto a un disabile.

Sono stati identificati tre profili di madri abusanti tipici della Sindrome di Münchhausen per procura: il primo è denominato Help Seeker, cercatrice di aiuto: questo soggetto crea l’inganno per cercare delle cure mediche per il proprio disagio psicologico.

Il secondo è l’Active Inducer, responsabile attiva: induce la malattia nei bambini tramite metodi drastici (iniezioni e avvelenamenti) e vuole apparire eccezionale nel seguire i figli.

Il terzo è il Doctor Addict, la medico-dipendente: non si rende conto di raccontare una storia clinica inventata, convinta che i figli siano davvero malati. Di solito è aggressiva, ostile, con personalità paranoica.

Il medico deve insospettirsi se il bambino viene spesso ricoverato in assenza di esami che giustifichino il suo presunto quadro clinico, se la madre appare stranamente calma dinanzi alla presunta gravità dei problemi del piccolo e all’eventualità di accertamenti e trattamenti invasivi, se il bimbo sta meglio quando è lontano dalla madre e se fra i fratelli del bambino si sono già verificati casi simili o morti in tenera età.

Si dovrà poi accedere alla storia clinica del piccolo paziente e capire in che modo gli si stiano inducendo dei danni. La Sindrome di Münchhausen per procura è a tutti gli effetti un abuso contro i minori, che giustifica il ricovero coatto della madre.

La Sindrome di Münchhausen non va confusa con l’ipocondria: l’ipocondriaco ha il terrore di essere malato, chi soffre della Sindrome di Münchhausen vuole esserlo.





5. Gruppi online, il caso italiano al Policlinico Gemelli di Roma e il racconto al cinema e TV

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• Gruppi online di supporto medico
Chi soffre della Sindrome di Münchhausen si iscrive spesso ai gruppi di supporto medico online per interagire con i veri malati.
Questo aspetto della sindrome prende il nome di “Münchhausen su Internet”.
I messaggi di questi utenti sono lunghi, circostanziati e ricchi di nozioni mediche e riferiscono di malattie gravissime e drammi personali.
Interagire con i gruppi di supporto è un modo utile per farsi una cultura e ingannare i medici.

 

•  Il caso italiano al Policlinico Gemelli di Roma
La Sindrome di Münchhausen è stata oggetto di uno studio dell’Università Cattolica di Milano pubblicato sul Journal of Child Health Care.
Su 751 bambini ricoverati nel reparto di Pediatria del Policlinico Gemelli di Roma (2007- 2010), quasi il 2 per cento dei casi presentava un cosiddetto “disturbo fittizio” e in 4 casi sono stati ravvisati gli estremi per diagnosticare una Sindrome di Münchhausen per procura.
In 3 casi su 4 la responsabile era la madre.

 

•  È stata raccontata anche al cinema e in TV
- The Act, psicofilm del 2019, racconta la storia vera di Gypsy Rose Blanchard, una donna americana a cui la madre, affetta da Sindrome di Münchhausen per procura, rovinò la salute e la vita (foto sotto).

- Nell’episodio 9 della seconda stagione della serie TV statunitense Dr. House, il famoso medico, interpretato da Hugh Laurie (foto sotto), smaschera una donna affetta dalla sindrome lasciando sul comodino delle pastiglie-placebo, che la paziente assume per indursi dei sintomi.








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