Social freezing: cos’è e come funziona

Da alcuni anni è disponibile una tecnica che offre alle donne la possibilità di procreare anche in un’età che non coincide con quella della fertilità biologica. Poche persone, però, sanno davvero cos’è e come funziona.

Si chiama “social freezing” ed è una tecnica capace di offrire alle donne la possibilità di posticipare un’eventuale gravidanza grazie alla crioconservazione degli ovociti, ma in Italia è poco conosciuta.

Lo certifica una ricerca condotta dall’Università di Milano-Bicocca e dall’Università degli studi di Padova, secondo cui il 37,8% delle donne intervistate nello studio (la maggioranza aveva tra i 30 ei 39 anni) desidererebbe maggiori informazioni su questa opportunità.

1. UNA SCELTA PERSONALE E NON MEDICA

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"Il social freezing è una tecnica di preservazione della fertilità che consiste nel congelamento degli ovociti a scopo precauzionale", spiega il dott. Filippo Maria Ubaldi, Presidente della Società italiana di Fertilità e Sterilità-Medicina della riproduzione (Sifes-MR).

"Tale procedura è indicata in donne giovani (preferibilmente prima dei 35 anni) che, per motivi personali e non medici, vogliono posticipare la ricerca di una gravidanza, prevenendo le possibili difficoltà nel concepimento naturale causate da una riduzione, sia nel numero sia nella qualità dei propri ovociti, che si verifica fisiologicamente con l'aumentare dell'età".

Una pratica che prevede una serie di passaggi ben precisi e che è ormai disponibile da alcuni anni, anche se risulta tuttora più diffusa e conosciuta all'estero.

"Sono necessari, innanzitutto, una serie di esami diagnostici al fine di valutare la riserva ovarica, ovvero il numero di ovociti che una donna ha a disposizione in quel determinato momento", precisa Ubaldi.

"In seguito, il medico identifica il migliore approccio terapeutico e somministra una terapia ormonale (stimolazione ovarica controllata) mediante iniezioni sottocutanee quotidiane, che consente di massimizzare il numero di ovociti da poter recuperare. Il processo inizia solitamente nel secondo giorno di mestruazione e termina intorno al 12-13° giorno del ciclo.
Durante la stimolazione ormonale, si eseguono 2-3 ecografie transvaginali per valutare dimensione e numero dei follicoli e pianificare, dunque, il prelievo ovocitario, un piccolo intervento chirurgico ambulatoriale che avviene per via transvaginale, sotto guida ecografica, solitamente associato a una blanda sedazione.

Contestualmente il laboratorio di embriologia procederà alla valutazione della qualità degli ovociti e alla crioconservazione degli ovociti idonei, attraverso un processo noto come vitrificazione. Gli ovociti vengono mantenuti crioconservati, in azoto liquido a -196° fino al momento del loro utilizzo, attraverso tecniche di fecondazione assistita".

2. L'IMPORTANZA DELL'ETÀ

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La fase in cui gli ovociti crioconservati vengono scongelati per essere fecondati in vitro con gli spermatozoi del partner rappresenta il passaggio conclusivo del social freezing.

Soltanto, infatti, tramite questo secondo stadio, con il quale si ottengono embrioni che dovranno poi essere trasferiti (singolarmente) dentro la cavità uterina e arrivare finalmente a una gravidanza, la tecnica avrà ottenuto il suo scopo.

Diversamente sarà una possibilità che una donna si è garantita, senza, però, mai portarla davvero a compimento. Opportunità che, comunque, da un punto di vista medico, può essere condizionata da diversi fattori.

"Una ridotta riserva ovarica, ossia la possibilità di ottenere un piccolo numero di ovociti dopo stimolazione ormonale ovarica, limita la quantità di materiale disponibile per futuri trattamenti di fecondazione in vitro", afferma Ubaldi.

"È importante anche sottolineare che il successo della preservazione della fertilità dipende non solo dalla quantità, ma anche dalla qualità degli ovociti raccolti, che si riduce drammaticamente con l'aumento dell'età".

Motivo per cui i risultati che possono ottenere le donne con età superiore ai 35 anni non sono paragonabili a quelli di altre più giovani ed è fondamentale valutare con il medico se ricorrere o meno alla preservazione della fertilità. "Se ne sconsiglia il ricorso", conclude Ubaldi, "dopo i 37-38 anni".

In ogni caso, non si può dimenticare che una gravidanza a 40 anni è diversa da una a 30 e che oltre i 50 le statistiche dimostrano come il rischio di mortalità di una donna sia molto più alto, a causa dei grandi sforzi a cui è sottoposto il fisico durante la gestazione.

"I rischi, comunque, per chi decide di congelare gli ovociti a scopo precauzionale, sono limitatissimi", assicura Alberto Revelli, professore presso l'Università di Torino e direttore della II Clinica Universitaria, Ospedale Sant'Anna.

"L'anestesia è locale e non c'è bisogno di ricovero. Gli incidenti sono rarissimi (solo un caso su 5 mila manifesta un sanguinamento anomalo quando si prelevano le uova) e le sindromi da iperstimolazione sono ancora più rare. Anche per l'eventuale nascituro (a oggi si possono contare circa 15.000 bambini nati da un uovo congelato) non sono stati riscontrati particolari problemi".

3. UN IMPEGNO ECONOMICO NON INDIFFERENTE

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Quest'opzione fornita della scienza, però, rappresenta un impegno non indifferente da un puntodi vista economico. "I costi sostanzialmente dipendono da quanti cicli di stimolazione con congelamento di uova si decide di fare", certifica Revelli.

"Ogni ciclo si attesta intorno ai 2.500 euro. Se la donna interessata è molto giovane (sotto i 30 anni) in un ciclo otterrà circa 10/12 ovuli che garantiscono una probabilità di successo pari al 70%. Diversamente, le uova diminuiscono ed è più opportuno fare almeno un paio di cicli".

Una spesa che, quindi, si moltiplica in base alle necessità del singolo caso e che può rappresentare un ostacolo per chi vuole ricorrere al social freezing, rischiando di creare disparità tra chi può e chi non può permetterselo. Una delle motivazioni che spinge a congelare gli ovociti, infatti, è legata alla mancanza di un lavoro stabile e, di conseguenza, di una solida indipendenza economica.

Circostanza che circoscriverebbe la possibilità di sfruttare questa tecnica solo a chi ha una famiglia abbiente alla spalle, prevedendo una sorta di selezione per censo, oppure a chi ha motivazioni diverse da quelle puramente finanziarie.

Insomma, escludendo la seconda opzione, si potrebbero creare discriminazioni di tipo economico, magari risolvibili con un intervento da parte del Sistema Sanitario Nazionale (prospettiva vista con favore, per almeno due tentativi, dal 47% delle donne che hanno partecipato alla ricerca già citata), o delle aziende, quando si tratta di dipendenti.

In quest'ultimo caso, però, le opinioni divergono, poiché secondo alcuni le società private si farebbero carico dei costi del social freezing per un proprio tornaconto (non dover rinunciare alle dipendenti in una fase in cui sono molto produttive), mentre altri non condividono quest'idea.

Esistono persino dubbi sugli aspetti psicologici del congelamento degli ovociti, capace, secondo chi esprime un parere critico, di esortare le donne a rimandare la ricerca di una gravidanza, magari perché persuase dell'impossibilità di conciliare il lavoro con la maternità.

Una convinzione che, in qualche modo, potrebbe indurre le aziende a non preoccuparsi di creare le giuste opportunità affinché le proprie dipendenti si riproducano nella fase biologicamente fertile della vita.

4. DILEMMI ETICI

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Esempi che evidenziano una delle obiezioni sollevate quando si discute di social freezing. Alcuni detrattori di questa opportunità, infatti, ritengono che si punti all'utilizzo della scienza per risolvere un problema di natura sociale.

D'altronde, è evidente che in molti Paesi del mondo la percentuale di donne entrata nel mondo del lavoro, magari anche dopo una formazione di alto livello, è sempre più elevata e che l'età media degli esseri umani è avanzata notevolmente.

Un aspetto che, però, non si sposa con il periodo riproduttivo del genere femminile, rimasto invariato e limitato rispetto alla speranza di vita, soprattutto se paragonato a quello molto più lungo degli uomini. Quindi, un eventuale crioconservazione potrebbe riequilibrare questi aspetti o sarebbe uno sconvolgimento dell'ordine naturale dell'età fertile?

E una madre non più giovanissima e già realizzata economicamente e socialmente, potrebbe garantire opportunità e stabilità migliori ai propri figli in un mondo complesso e competitivo come quello moderno, o si tratterebbe comunque di una forzatura?

Domande che caratterizzano un tema delicato, con diverse sfumature da valutare, che spesso divide in due l'opinione pubblica. Oggi sono varie le ragioni, in una società in rapida evoluzione rispetto anche a un recente passato, che invogliano molte donne nel pieno della loro età riproduttiva a ritardare la ricerca di una gravidanza.

Oltre alla mancanza di un lavoro certo, vi sono l'assenza di un rapporto sentimentale stabile, o, addirittura, la fine improvvisa e inaspettata di una relazione durevole che lascia una giovane donna con un senso di vuoto quando magari si stava già programmando l'arrivo della cicogna.

Allo stesso modo, come già accennato, l'esigenza di spendersi per tentare di costruire una carriera appagante ed economicamente soddisfacente (la cui finestra temporale in sostanza coincide con quella adatta a costruire una famiglia), può spingere a riflessioni in merito e valutare le opportunità che propone la scienza moderna.





5. UNA RISERVA DI FERTILITÀ

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Il legittimo desiderio di avere un figlio geneticamente proprio, che spesso rimane forte nel tempo e contribuisce in maniera determinante al benessere femminile, non può, però, arrivare a mitizzare le tecniche di oggi tanto da rimandare sine die la ricerca di una maternità.

Si tratta di un progresso tecnologico che offre a una donna, che ne è a conoscenza (un rammarico frequente è di averne sentito parlare troppo tardi) e ne ha la possibilità, una riserva di fertilità con dei vincoli.

"Molte", precisa Revelli, "considerano il social freezing un ansiolitico, un qualcosa che toglie l'ansia di rimanere senza figli e dover fare delle scelte in fretta". Probabilmente per questo motivo il 68,7% delle partecipanti alla ricerca dell'Università di Milano-Bicocca e dell'Università degli studi di Padova ha definito la tecnica in questione moralmente accettabile.

Una netta maggioranza che dimostra come esista un'apertura verso una pratica capace di generare dubbi e di stimolare riflessioni, ma che merita comunque di essere approfondita dai media per evitare confusione e derive di qualunque tipo.

Nel nostro Paese il tasso di natalità è a livelli estremamente bassi, addirittura a minimi storici. Lo conferma l'ISTAT, che ha diffuso nel corso del 2023 dati che non lasciano spazio a interpretazioni e che certificano un trend ormai consolidato: in Italia si fanno meno figli, anche perché l'età media in cui una donna partorisce per la prima volta è sempre più elevata.

Tra le cause della denatalità vi sono i costi legati alla costruzione di una famiglia e la mancanza di servizi di sostegno. Ecco perché gli assegni familiari e le detrazioni per i figli a carico potrebbero essere rimodulati per comprendere anche i lavoratori autonomi e i disoccupati, esclusi, rispettivamente, dal primo e dal secondo aiuto di tipo economico.

Anche variare la pressione fiscale in funzione del numero dei figli potrebbe rappresentare una strada in grado di amplificare il desiderio di una famiglia, magari addirittura numerosa. Al tempo stesso, sarebbe basilare offrire servizi per i bambini più piccoli a prezzi sostenibili.








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