Malgrado i servigi che prestò ad Atene come soldato, e pur non avendo mai avuto altri problemi con la giustizia, nel 399 a.C. Socrate venne condannato a morte.
Si potrebbe affermare che il processo contro Socrate sia l’unico caso accertato in cui un ateniese non fu ritenuto colpevole per un’azione che arrecava un danno diretto alla collettività o a un singolo cittadino, come nei casi di tradimento o calunnia.
Il filosofo venne condannato per presunte lesioni, provocate indirettamente tramite la libera espressione e l’insegnamento d’idee.
1. Lotta tra democratici e oligarchici
Cosa assai bizzarra, al banco degli imputati sedeva un uomo che si era esposto con grande coraggio per la sua città durante le dure campagne combattute da Atene contro Sparta nella guerra del Peloponneso.
Tra il 432 e il 429 a.C. aveva partecipato all’assedio di Potidea, conclusosi con la presa della colonia da parte degli ateniesi; aveva inoltre salvato la vita a un suo discepolo ferito, Alcibiade.
Nel 424 a.C. Socrate ricomparve nella battaglia di Delio, in cui i tebani sconfissero gli ateniesi; durante la ritirata, il filosofo diede di nuovo prova del suo valore. E nel 422 a.C. prese parte allo scontro di Anfipoli, che si risolse con una vittoria spartana.
A quei tempi Socrate stava per compiere cinquant’anni. Da ormai tre decenni Atene, sotto la guida di Pericle, aveva intrapreso un cammino singolare: quello di una democrazia militante, in cui tutti i cittadini di sesso maschile svolgevano un ruolo attivo nelle questioni pubbliche, esprimendosi e votando nell’assemblea, o ekklesia.
Potevano inoltre divenire membri della boulé, il consiglio della polis, e assumere la carica di uno dei cinquanta pritani, o consiglieri, che ne erano a capo. Affinché anche i cittadini poveri potessero dedicarsi a tali mansioni, Pericle stabilì che gli venisse corrisposto un salario.
Non tutti erano d’accordo con una simile forma di governo, che riconosceva a un conciatore di pelli lo stesso status politico di un nobile di alto lignaggio.
Mentre Atene retrocedeva in campo militare, nel 411 a.C. i gruppi aristocratici tramarono un colpo di stato e instaurarono un regime oligarchico, detto dei Quattrocento dal numero dei membri del consiglio costituito per governare la città.
L’anno dopo il regime cadde, ma la sconfitta di Atene contro Sparta nel 404 a.C. favorì la costituzione di un ulteriore governo oligarchico appoggiato dagli spartani: la spietata dittatura dei Trenta tiranni, che resistette otto mesi prima di cadere sotto l’assedio dei democratici.
In quel periodo perirono più ateniesi che durante la guerra del Peloponneso. E Socrate? Qual era la sua posizione in questa lotta tra democratici e oligarchici?
Qua sotto, un particolare della Scuola di Atene di Raffaello mostra un Socrate barbuto mentre discorre con uno dei suoi discepoli.
2. La voce critica
In un tale trambusto politico il filosofo diede prova dello stesso coraggio dimostrato in battaglia. Prima, con i democratici.
Nel 406 a.C., all’indomani del clamoroso successo ateniese nello scontro navale delle Arginuse, ci fu una drammatica crisi politica: un temporale aveva affondato parte della flotta e impedito ai comandanti, o strateghi, di salvare i naufraghi e recuperare i deceduti, rimasti a fluttuare tra le onde.
Per la legge ateniese, ciò era punibile con la morte. Ad Atene l’assemblea decise di sottoporre gli strateghi a un processo per direttissima, senza rispettare il diritto all’udienza individuale previsto dalla legge, e di votare per la condanna a morte.
Ma quel giorno toccava a Socrate dirigere gli altri pritani – ogni giorno uno di loro diveniva il capo di stato di Atene –, e questi si oppose alla violazione della legge. Malgrado ciò, quando l’ora dopo lasciò la carica la sentenza di morte fu confermata.
Era chiaro che per Socrate esisteva un’autorità superiore a quella del popolo riunitosi democraticamente nell’ekklesia: la legge che il popolo stesso aveva approvato per autogovernarsi in modo giusto ed equanime.
Due anni più tardi i Trenta gli ordinarono di arrestare un uomo, Leone di Salamina, perché fosse giustiziato; con decisioni del genere i tiranni cercavano di coinvolgere il più alto numero possibile di cittadini nelle loro malefatte. Socrate rifiutò.
Un’opposizione del genere l’avrebbe certamente condotto al patibolo se il regime fosse durato di più. Come avrebbe poi affermato al cospetto del tribunale pronto a condannarlo, aveva agito così perché «della morte non m’importa [...] proprio nulla, mentre non agire in modo ingiusto ed empio mi sta del tutto a cuore».
Qua sotto, il Partenone di Atene. Il grande tempio sulla vetta dell’Acropoli iniziò a essere costruito nel 447 a.C., quando Socrate aveva poco più di 20 anni. Si pensa che da giovane il filosofo abbia lavorato come scultore, seguendo le orme paterne.
3. Un ateniese scomodo
La caduta dei Trenta tiranni fu seguita da un’amnistia voluta dai democratici, che miravano a rimarginare le ferite e a porre fine ai vari dissensi interni.
Eppure dietro l’apparente riconciliazione si annidavano il sospetto e il rancore, e Socrate aveva le carte in regola per diventare il bersaglio di chi temeva per la rinnovata democrazia.
Da un lato, tra i suoi discepoli e amici figuravano Alcibiade (il giovane aristocratico da lui salvato, che aveva tradito Atene andando a Sparta e preso parte al colpo di stato culminato nel governo dei Quattrocento), Crizia e Carmide, illustri membri dei Trenta tiranni.
Dall’altro lato, tutti sapevano che Socrate non era un democratico, sebbene non provenisse certo da una famiglia nobile, bensì da quella che oggi si definirebbe classe media: il padre era scultore, e la madre levatrice.
Qua sotto, Socrate e Alcibiade. Nel Simposio e in due dialoghi brevi Platone evoca il giovane Alcibiade come amico intimo di Socrate. Qui il filosofo rimprovera il discepolo in casa di una cortigiana. Olio di Germán Hernández Amores. 1857. Museo del Prado, Madrid.
Anche se il filosofo non lasciò mai nulla di scritto, le sue idee sono giunte a noi tramite i Dialoghi, in cui il discepolo Platone raccolse le conversazioni del maestro.
In uno di questi, Protagora, Socrate osserva che, quando bisogna occuparsi di una questione tecnica, come la costruzione di una nave, ci si rivolge a uno specialista; «quando invece si tratta di decidere circa l’amministrazione della città, allora si leva a dar loro consigli su tali questioni, indifferentemente, l’architetto, il fabbro, il calzolaio, il mercante, l’armatore, il ricco, il povero, il nobile e il plebeo, e a costoro nessuno rinfaccia, come invece si rinfaccia a quelli del caso precedente, di mettersi a dar consigli senza aver prima imparato da qualche parte e senza aver avuto alcun maestro. È chiaro che questo accade perché non la considerano cosa che si possa insegnare».
Erano tutti in grado di occuparsi del governo della città? Socrate riteneva che Pericle si fosse sbagliato nel promuovere quel sistema democratico: «Pericle rese gli ateniesi più pigri, vigliacchi, chiacchieroni e avidi, avendo per primo istituito uno stipendio per i pubblici incarichi», si legge in Gorgia.
Ma il filosofo rappresentava una minaccia ancor più insidiosa e grave per la democrazia ateniese.
Lo dimostrano le accuse che, nella primavera del 399 a.C., formulò contro di lui un poeta tragico, Meleto, in nome di due influenti politici democratici, Anito (che aveva lottato contro i Trenta) e Licone (che aveva forse perduto un figlio a causa loro).
Lo incolpava infatti di non aver riconosciuto gli dei in cui credeva la città, di aver introdotto nuove divinità e di aver corrotto i giovani.
Qua sotto, busto di Pericle. Copia romana del II secolo a.C. a partire da un originale greco.
4. La filosofia come un problema
Il processo a Socrate fu politico in quanto religioso. Il culto degli dei e i rituali civico-religiosi erano alla base della polis, la città-stato greca.
Formavano il sostrato della sua identità e ne garantivano la coesione: scostarsene poteva causare conseguenze funeste.
Durante la guerra del Peloponneso l’assemblea aveva approvato un decreto che permetteva di accusare di empietà (asebeia) chi non avesse creduto nelle cose divine.
Visto che tale imputazione non era stata presa in considerazione nell’amnistia seguita alla caduta dei Trenta tiranni, poteva servire per incriminare i nemici politici.
Tuttavia il vero e profondo capo d’imputazione risiedeva nell’accusa di aver corrotto i giovani. Da anni Socrate era visto come uno dei tanti sofisti, uno di quegli specialisti della parola che, dopo essere stati pagati, insegnavano ad argomentare un concetto e il suo contrario.
Nella commedia Le nuvole, messa in scena due decenni prima, Aristofane già si era fatto beffe di Socrate, accusandolo di negare l’esistenza di Zeus e di essere interessato unicamente a farsi retribuire dagli alunni, proprio come i filosofi prezzolati.
Lo presentava inoltre come un corruttore di giovani, capace di giustificare qualsiasi azione, perfino la bastonata data al padre, tramite gli insegnamenti.
In realtà, segnala il filosofo Gregorio Luri, per mezzo del dialogo Socrate guidava l’interlocutore a scoprire qualcosa di nuovo che chiamava “anima”, una dimensione umana che non coincideva con quella politica, e ciò lo spingeva a considerarsi latore di una dignità maggiore di quanto potesse riconoscergli la polis.
Nel momento in cui incoraggiava i giovani a concentrarsi sulla cura di sé invece che sulla partecipazione alla vita comunitaria, Socrate promuoveva l’individualismo.
La città e gli dei non erano più gli unici punti di riferimento, le guide per capire il mondo e per agirvi. Era questa la grande minaccia per la democratica Atene.
Qua sotto, l’Hephaistèion, il tempio di Efesto. Si trova sul lato occidentale dell’agorà di Atene, vicino alla stoà di Zeus, ed era un luogo di ritrovo per Socrate e i suoi discepoli.
5. Processo e morte
È risaputo che Socrate si difese davanti al tribunale popolare, composto da cinquecento (501, secondo alcuni) membri, giacché i discepoli Platone e Senofonte ne trascrissero il discorso.
Negò di essere un sofista: non dava lezioni e nemmeno chiedeva denaro in cambio; era mosso solo dalla volontà di migliorare i suoi concittadini persuadendoli a indagare la natura della virtù, della giustizia, della pietà.
Aggiunse che il suo modo di procedere era una missione affidatagli dal dio Apollo, e si azzardò a dichiarare di essere l’unico a sapere qualcosa circa l’educazione alla virtù, affermazione che irritò il suo pubblico.
Qua sotto, l’accademia di Platone. Mosaico. Museo archeologico nazionale, Napoli.
Fu giudicato colpevole per pochi voti: 281 contro 219 (o 280 contro 220). E cominciò così la seconda parte del processo, in cui il filosofo poteva proporre una pena alternativa a quella caldeggiata dall’accusa, la condanna a morte.
Fu allora che Socrate si alienò del tutto le simpatie dei giudici. Non ritrattò nulla, anzi: «Sono stato condannato [non] per mancanza di quei tali abili discorsi con i quali avrei potuto persuadervi [...] bensì [per] l’audacia e l’impudenza e la volontà di non dire cose che vi sarebbero state gradevolissime ad udire, piangendo e lamentandomi e facendo altre cose indegne di me [...]
E come poco fa non credetti di fare cosa indegna per paura del pericolo, così ora non mi pento di essermi difeso così; anzi preferisco assai più volentieri essermi così difeso, e morire, che difendermi in quell’altro modo, e vivere», ebbe a dire.
Stavolta fu condannato a morte dalla stragrande maggioranza: 361 voti contro 139 (o 360 contro 140). Ciò significa che decine di giudici prima favorevoli alla sua assoluzione adesso lo consideravano reo e condannabile.
Non deve sembrare strano, visto che Socrate propose provocatoriamente come pena alternativa di essere finanziato dai pritani, come avveniva per i benefattori di Atene, mantenuti dalla polis; parole che gli ascoltatori dovettero ritenere profondamente offensive sia per sé sia per la città.
La condanna venne eseguita dallo stesso Socrate giorni dopo: in presenza degli amici bevve la coppa di cicuta che gli era stata consegnata (forse, si dice, mescolata con del papavero, per lenire il dolore), e il filosofo che aveva messo a dura prova i limiti della democrazia ateniese si spense.
Eppure, la libertà di coscienza che aveva rivendicato non è forse ancora oggi percepita da molti come il peggior acido corrosivo per la propria nazione?
Qua sotto, La morte di Socrate di Jacques-Louis David, 1787, olio su tela, 129,5 x 196,2 cm. New York, Metropolitan Museum of Art.
Note
Cronologia
- 469 a.C.
Intorno a questa data nasce ad Atene Socrate, figlio di uno scultore e di una levatrice.
- 423 a.C.
Nella commedia Le nuvole Aristofane prende malevolmente in giro Socrate.
- 399 a.C.
Accusato di empietà e di corruzione dei giovani, Socrate è costretto a suicidarsi.
- 380 a.C.
All’incirca in questa data Platone scrive dialoghi come Fedone, di cui Socrate è protagonista.