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Soldi: come battere lo stress in tempi di crisi

Il denaro scatena in noi forti emozioni e può addirittura mandare in tilt il nostro cervello.

Ciò è ancora più vero in tempi di crisi come questi, quando ai soldi che mancano o non sono abbastanza, imputiamo ogni nostra insoddisfazione.

Dobbiamo rassegnarci, oggi valiamo quanto abbiamo. E’ triste ma inevitabile: nella nostra società, le persone si “pesano” in base alla ricchezza che possiedono.

Se ne rendono ben conto i giovani, per i quali il benessere economico e la carriera contano più dell’amore e della famiglia.

 

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1. Manda il cervello in tilt

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Cosa fareste con un miliardo e 600mila dollari, poco meno di un miliardo e mezzo di euro?

Se lo è chiesto chi si è trovato in tasca questa somma: la più grossa mai vinta alla lotteria negli USA.

Il record è stato battuto lo scorso ottobre e ha fatto sorgere molte domande sulle conseguenze psicologiche e pratiche di una vincita così impressionante.

Gli psicologi fanno notare che diventare ricchi all’improvviso può causare sconvolgimenti non da poco e portare a comportamenti avventati. «L’87 per cento dei vincitori della lotteria ritorna povero entro 24 mesi», spiegano gli esperti. Il motivo? Sperpera tutto in quattro e quattr’otto.

Le ragioni sono almeno due: chi vince qualcosa tende a considerarsi eternamente baciato dalla fortuna e quindi crede di poter vincere altro denaro. Inoltre, quando i soldi non sono “sudati”, sembrano meno importanti e ci concediamo di spenderli senza troppi pensieri.

Il denaro, insomma, può fare andare in tilt il cervello. Non c’è da stupirsene: è lo strumento con cui misuriamo tutto. Favorisce gli scambi e consente di attribuire un valore a cose, beni e persone.

Così il denaro ci spinge a lavorare e produrre ed è anche un metro per valutare i rapporti umani. Il nostro stipendio può diventare motivo di orgoglio e riconoscimento per la sua potenza simbolica. Chi è ricco, infatti, ha dei vantaggi maggiori di quanto le sole sue ricchezze gli potrebbero procurare.

Così è proprio nei periodi di maggiore difficoltà economica, come quelli che viviamo oggi, che attribuiamo alla mancanza di denaro ogni nostra insoddisfazione.

Le conseguenze in alcuni casi sono paradossali: secondo gli psicologi ciò può spingerci a spendere troppo nell’illusione che l’autostima personale, minata dalle difficoltà economiche, possa aumentare circondandoci di beni materiali.

Certo si tratta di un caso limite: purtroppo sappiamo bene che in momenti di recessione la tendenza è opposta. La mancanza di denaro genera soprattutto tra gli appartenenti alle società occidentali estrema, se non addirittura esagerata, ansia.

Già oltre una decina di anni fa, a ridosso della grande crisi che colpì prima gli Usa e poi l’Europa tra 2007 e 2009, Ran Kivetz, psicologo alla Columbia University (Usa), aveva illustrato dalle pagine del New York Times una sorta di “sindrome del risparmiatore” sempre più diffusa negli USA.

Secondo lo studioso, che aveva condotto un’indagine su un gruppo di volontari, moltissimi americani si mostravano talmente ossessionati dalla crisi e dalla paura di spendere troppo che finivano col vivere una vita angosciata: si privavano infatti anche delle più piccole opportunità di svago, persino in presenza di condizioni economiche non così disastrose.

In pratica, a forza di sentirsi ripetere che la società attraversava una fase di crisi, finivano col convincersi di avere ancora meno denaro di quanto ne avessero davvero in quanto le dinamiche economiche si basano sulla fiducia.

 

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2. Quanto conta nelle relazioni

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Proprio perché alla base di vissuti così intensi, come paura e sfiducia, il denaro è da sempre al centro delle relazioni umane.

Fa parte della nostra sfera intima. Ecco perché quando le pretese economiche degli altri la violano ci sentiamo attaccati personalmente.

Così non stupisce che anche molti rapporti si incrinino per questioni economiche. Pensiamo a quante tensioni emergono con le eredità. Il discorso vale anche per i rapporti sentimentali.

Capita ad esempio a chi tende a vivere il denaro come prezzo per ottenere l’amore dell’altro: secondo lo psicologo canadese Norm Forman, autore del saggio Mind over money (La mente nel denaro), questi soggetti pensano che la quantità di denaro spesa per una persona da cui sono attratti, ad esempio per portarla fuori a cena, debba essere proporzionale all’amore che riceveranno in cambio.

Così di fronte a un rifiuto, le rinfacceranno quanto ha materialmente speso. Quando c’è di mezzo il denaro, infatti, si scatenano emozioni ataviche. Le scelte connesse al denaro sono legate all’attività del sistema limbico che governa emozioni connesse a potere, paura, gioia e amore.

Non a caso le questioni economiche sono il secondo motivo di lite coniugale dopo i problemi con genitori e suoceri: lo dimostrava già dieci anni fa una ricerca commissionata da PayPal in vari Paesi tra cui l’Italia.

Nella coppia il denaro chiama in causa fattori sociali: in Paghi tu? Il denaro nella coppia (Castelvecchi), lo psicoanalista Bernard Prieur spiega: «Quando intraprendono una nuova relazione, le persone si chiedono come conciliare le differenze culturali o religiose, ma pochi si rendono conto che l’atteggiamento verso il denaro è determinato dalla storia familiare ed è altrettanto importante per la tenuta della coppia».

Così disparità di classe sociale possono emergere proprio di fronte a un diverso approccio ai soldi e alla condivisione di beni materiali.

 

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3. Per i giovani il denaro è al primo posto

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L’auto su cui viaggiamo, i vestiti che indossiamo, gli ambienti che frequentiamo: sono alcuni dei più comuni indicatori che, consciamente o no, utilizziamo per valutare a colpo d’occhio l’estrazione sociale ed economica di chi abbiamo di fronte.

Possiamo considerarlo di cattivo gusto, moralmente riprovevole, ma in una società come la nostra è inevitabile.

Lo status sociale si misura anche, e soprattutto, con la ricchezza che possediamo. Il denaro regola rapporti simbolici e di potere. Così per un americano è abbastanza comune chiedere all’interlocutore quanto guadagna.

In fondo è l’effetto collaterale della modernità: nel passaggio dalle società contadine a quelle industriali e postindustriali il ricorso al denaro ha da un lato semplificato i rapporti commerciali, ma dall’altro è arrivato sin dentro la vita di relazione.

Da facilitatore tra merci il denaro ha inondato le relazioni sociali, di cui è diventato elemento caratterizzante Se ne rendono conto bene i più giovani, sempre più interessati ai soldi.

Lo scorso anno Eurispes ha condotto in Italia, Germania, Polonia e Russia un’indagine sociologica su un vasto campione di giovani tra i 18 e i 30 anni evidenziando una gerarchia di valori e obiettivi che i ragazzi si pongono.

Al top delle aspirazioni ci sono quelle di natura economica: denaro, lavoro, benessere materiale e carriera. Solo dopo troviamo i valori relativi alla vita sociale, come famiglia, tempo libero, e quelli legati alla vita privata, come amicizia, amore e sesso. 

I valori politici, come democrazia e patriottismo? Decisamente secondari. Da un certo punto di vista è comprensibile: la contrattualità tra generazioni su questioni economiche è alla base del processo di crescita. È quanto è sempre avvenuto con la paghetta settimanale. Si tratta di un’espressione del rapporto di forza tra genitore e figlio.

Lo scorso novembre sono stati invece American Express e Fondazione per l’Educazione Finanziaria a presentare, con la collaborazione di Doxa, una ricerca che ha fotografato il rapporto con il denaro dei giovanissimi.

Condotta su un campione di 504 genitori e 501 ragazzi tra i 12 e i 18 anni, ha mostrato come l’87 per cento di loro abbia del denaro a disposizione, principalmente proveniente dai regali oppure in cambio di buoni risultati scolastici.

Il punto è che oggi per i giovani procurarsi il denaro necessario a rendersi autonomi dalla famiglia è sempre più difficile.

 

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4. Se non ci fosse il denaro... non scenderemmo dal letto e con il bancomat spendiamo di più!

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- Se non ci fosse il denaro... non scenderemmo dal letto

Il denaro è alla base della nostra motivazione.
Un esperimento condotto nel 2012 da Sarial Abi Zehra Gulen della Koç University (Turchia) assieme a Kathleen Vohs dell’Università del Minnesota (Usa) mostrava come la motivazione a raggiungere i nostri obiettivi aumenti anche solo osservandolo.
I soggetti coinvolti nell’esperimento a cui venivano mostrate immagini di banconote ottenevano risultati migliori degli altri nella soluzione di problemi matematici.
In realtà il denaro non è la sola leva che ci spinge ad andare a lavorare: lo spiegava alcuni anni fa lo psicologo americano ed editorialista del New York Times Barry Schwartz in Why We Work? (“Perché lavoriamo?”), edito da TedBooks.
Lo stipendio è infatti alla base della motivazione che serve alla sopravvivenza, ma il lavoro può soddisfare bisogni superiori: quello di potere, l’autorealizzazione o la competizione con gli altri.
D’altra parte, se la sola vista dei soldi ci motiva all’azione, la propensione a elargirlo con generosità stimola fiducia.
Uno studio di alcuni anni fa condotto da Diego Gambetta dello European University Institute di Fiesole (Firenze) e Wojtek Przepiorka del Nuffield College di Oxford (Regno Unito) aveva
mostrato come i soggetti che durante alcuni giochi basati su interazioni economiche si erano mostrati più generosi erano anche quelli a cui gli altri erano propensi ad accordare maggiore fiducia.

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- Con il bancomat spendiamo di più!

In Svezia solo il 19 per cento dei pagamenti avviene con denaro contante: una percentuale inferiore all’80 per cento della media europea.
Globalmente spendiamo sempre meno denaro fisico e sempre più denaro immateriale: carte di credito, bancomat e transazioni digitali. Il passaggio al denaro “intangibile” ha cambiato e cambierà le nostre abitudini: molte teorie sostengono che pagando con le carte tendiamo a spendere di più.
È scientificamente dimostrato ed è legato al funzionamento del sistema nervoso. Il 45 per cento dei neuroni nel cervello elabora stimoli sensoriali.
Estrarre dal portafogli le banconote e contarle implica una grande attività nervosa, mentre pagare con PayPal o carta di credito non produce lo stesso effetto: di conseguenza non percepiamo l’esborso con la stessa intensità.
Inoltre la possibilità di provare piacere oggi e “dolore” quando la spesa sarà addebitata sulla carta di credito è attrattiva per le aree limbiche del cervello, alla continua ricerca di emozioni positive e spinte invece a rimandare la frustrazione.

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5. Per gli economisti il denaro porta pace. Ma potremmo fare a meno dei soldi?

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- Per gli economisti il denaro porta pace

Denaro sterco del demonio? Eppure a livello sociale può potenzialmente preservare la coesistenza pacifica.
Il denaro ci ha fatto uscire da uno stato di natura in cui la violenza fisica era l’unica soluzione.
Nonostante l’opinione comune lo identifichi come l’origine di tutti i mali, è fondamentale per tracciare un ordine sociale non conflittuale.
Del resto, lo scriveva già il filosofo ed economista liberale francese Frédéric Bastiat, nella prima metà dell’Ottocento: «Dove non passano le merci passano gli eserciti». Le guerre infatti non sono necessariamente motivate da ragioni economiche: i conflitti sono utili solo per pochi settori industriali.
In linea generale, infatti, un conflitto distrugge tutto e annienta economia e prosperità: la necessità di fare affari con popoli diversi dal proprio, invece, impone di mantenere relazioni non belligeranti.
Non è un caso che le aree del mondo più percorse da moti di guerra siano sempre state quelle più lontane dalle logiche del mercato.

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- Potremmo fare a meno dei soldi?

No, secondo gli specialisti. Le economie monetarie sono più performanti rispetto a quelle fondate sul baratto e sono le sole a garantire l’istituzione di grandi organizzazioni.
Solo grazie alle tasse uno Stato può permettersi un apparato burocratico, un esercito, delle infrastrutture e così via.
Del resto il baratto richiede che ciascuno degli attori in gioco sia interessato a cedere un certo bene per ottenerne un altro, che la controparte può offrirgli in quel momento.
Ciò non è sempre fattibile. Occorre che i soggetti quantifichino una equivalenza tra i beni. Questa quantificazione è un denaro che sia misura del valore.
Nel 1985 l’antropologa britannica Caroline Humphrey aveva dimostrato che un’economia basata unicamente sul baratto sarebbe inattuabile e di fatto non esistono nemmeno testimonianze storiche che essa sia mai esistita.
Pare invece che il baratto sia stato praticato solo da società che già adottavano il denaro, in situazioni di emergenza come subito dopo la caduta dell’Impero Romano.
Eppure parlare di soldi è volgare!! Così cancelliamo il prezzo da un regalo o evitiamo di parlare dello stipendio. Perché questo stigma sul denaro in una società che tutto fa meno che disprezzare soldi e ricchezza?
Questa doppia morale tipica della nostra società, in cui tutti vogliono arricchirsi ma è di cattivo gusto parlare di soldi, è caratteristica del mondo cattolico.
Nell’etica protestante, fondata sull’impegno personale, arricchirsi non è peccato. Certo, la ragione di tale prudenza potrebbe essere anche la paura di suscitare invidia.
L’attribuzione di un valore morale al denaro dipende dal fatto che esso rappresenta lo strumento più potente di cui l’uomo dispone e necessita pertanto di un controllo etico.

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