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Soraya, la principessa triste

Soraya (Esfahan, 22 giugno 1932 – Parigi, 25 ottobre 2001), la seconda moglie dell’ultimo Shâh di Persia, dalla vita ha avuto tutto: bellezza, ricchezza, fama e prestigio.

Eppure fu ripudiata e costretta a morire sola.

Ma chi era veramente Soraya, la principessa triste? Scopriamolo insieme.

 

 

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1. Sorâyâ Esfandiyâri Bakhtiyâri

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Quando sposa Mohammad Reza Pahlavi, l’ultimo Shâh di Persia, il 12 febbraio del 1951, Sorâyâ Esfandiyâri Bakhtiyâri ha 19 anni ed è bellissima.

Nel viso candido, incorniciato dai capelli bruni, splendono due luminosi occhi color smeraldo e le labbra piene e sensuali.

È aristocratica, ricca di famiglia e innamorata.

È molto ingenua: il giorno del matrimonio s’illude d’essere protagonista di una fiaba meravigliosa, ma si sbaglia, e svegliarsi nella realtà sarà per lei molto più duro del previsto.

Sorâyâ nasce nel 1932 da Khalil Khan Esfandiyâri, un nobile dei Bakhtiyâri, la potente tribù che da 17 generazioni possiede le terre rivelatesi ricchissime di petrolio, e da Eva Karl, una giovane tedesca la cui benestante famiglia ha origini russe.

La bimba cresce in Persia e in Germania insieme al fratello più piccolo, Bijan, e al termine della Seconda guerra mondiale segue il destino delle ragazze agiate: frequenta un paio di collegi svizzeri per dare una ricercata patina internazionale alla propria educazione.

All’alba della maggiore età, Sorâyâ appare una perfetta “signorina di buona famiglia” pronta per affrontare il destino che l’attende: un matrimonio altolocato.

Nessuno in famiglia la spinge a frequentare l’università o a coltivare il proprio talento: non sono doti richieste a una ragazza da marito.

E Sorâyâ non si ribella: è docile, frivola – come lo sono le ragazze baciate da una bellezza ingombrante – e ha modi cortesi; parla francese, inglese e tedesco, oltre naturalmente al fârsi (il neopersiano), e porta in dote un legame con i potenti Bakhtiyâri. Nella corte di Teheran, qualcuno se ne accorge presto.

 

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2. Un matrimonio combinato

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Lo Shâh ha divorziato dalla prima moglie, la bellissima principessa Fawzia d’Egitto, la cui colpa suprema è stata quella di aver partorito una bambina.

Lo Shâh ha assolutamente bisogno di un erede maschio. Ha anche bisogno di allearsi con i Bakhtiyâri per controllarli meglio.

La regina madre e la principessa Shams, la sorella maggiore dello Shâh, mettono gli occhi su Sorâyâ, candidata perfetta al ruolo di moglie e madre. Sorâyâ e lo Shâh vengono fatti incontrare: è il classico “colpo di fulmine”.

Il fidanzamento e il matrimonio sono “combinati” per ragioni di Stato, ma se i due giovani si piacciono, tanto meglio...

L’11 ottobre 1950, Mohammad Reza regala a Sorâyâ un fiabesco anello di fidanzamento: un diamante purissimo di 22,37 carati, montato in platino dal gioielliere Harry Winston.

Il 12 febbraio 1951 si sposano: lei ha 19 anni, lui 32 e sono entrambi innamorati.

La cerimonia si svolge in “pompa magna”, come richiedono le feroci ambizioni dei Palhavi: la reggia è invasa dagli ospiti (oltre duemila, in gran parte teste coronate) e dai fiori, una tonnellata e mezzo di rose e orchidee arrivate in volo dall’Olanda.

Sotto una lunga cappa di visone bianco, Sorâyâ indossa un sontuoso abito in lamé argentato disegnato da Dior: è un trionfo di pizzi, ricami, perle, tulle, con duemila piume di marabù e sei- mila brillanti, per un peso totale di 20 kg (l’abito sarà battuto all’asta nel 2002 per 970mila euro).

Sorâyâ sviene tre volte per il vestito pesantissimo e l’atmosfera soffocante. È lo Shâh, a cerimonia terminata, a ordinare di tagliare parte dello strascico per darle sollievo.

Nelle foto scattate quel giorno – acquistate dai maggiori rotocalchi – Sorâyâ è bellissima ma non sorride mai, neppure per sbaglio.

 

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3. Dalla fiaba alla realtà

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L’unione con lo Shâh si rivela felice, accesa da una sincera, reciproca passione che neppure il rigido cerimoniale riesce a spegnere (i due sposi si devono dare del lei anche nei momenti d’intimità).

La corte di Teheran, però, non è quella delle fiabe: la famiglia dello Shâh è avida di denaro e tratta Sorâyâ come una pedina nella lotta per mantenere il potere entro delicati equilibri nazionali e internazionali.

Sorâyâ lo avverte, seppur in modo confuso: “trappola per topi”, così soprannomina il palazzo reale. Nelle sue memorie, anni dopo, confesserà che la famiglia Pahlavi non la fece mai sentire a proprio agio e che la regina madre fu sempre troppo presente e troppo ingombrante.

Il vero problema a corte è, però, un altro: la giovane regina non riesce a restare incinta. Non si tratta di un problema da poco: Sorâyâ, come Diana d’Inghilterra mezzo secolo dopo, è stata scelta solo per dare un erede maschio alla Corona.

Le pressioni dei Palhavi cominciano a farsi insistenti e Sorâyâ, di conseguenza, inizia una sorta di via crucis dai più celebri specialisti di Francia, Svizzera e Stati Uniti.

Si sottopone a cure tanto costose quanto inutili, si circonda di amuleti (regalati a quintali dai sudditi), si dispera, ma non c’è niente da fare. Fallisce l’unico obiettivo che tanto la corte, quanto i ministri del regno si aspettano da lei.

Lo Shâh tenta di ovviare alla situazione nominando erede al “trono del pavone” il fratello minore Alì che, disgraziatamente, muore poco dopo in un incidente aereo.

All’inizio del 1958 è ormai chiaro a tutti che il problema della successione sta indebolendo il potere dei Palhavi; i consiglieri politici dello Shâh alla fine hanno la meglio: Mohammad Reza è costretto a ripudiare la moglie tanto amata.

Sorâyâ, dal canto suo, è costretta a digerire l’umiliazione sociale e personale di un ripudio dietro l’apparenza di un divorzio dorato (il ben servito è, in effetti, accompagnato da un cospicuo vitalizio e dal privilegio di mantenere i titoli regali).

Il 14 febbraio 1958 Sorâyâ lascia il suo Paese per sempre. Il 14 marzo il ripudio è ratificato; si dice che lo Shâh sia affranto: probabilmente è vero, ma si consolerà presto. Un anno dopo sarà già fidanzato con un’altra bella e giovane ragazza.

Inizia così la “seconda vita” di Sorâyâ che passa con disinvoltura da Sankt Moritz alla “dolce vita” romana, dalle feste di Parigi agli yacht della Costa Azzurra, sempre in compagnia di principi e miliardari, sotto i riflettori o inseguita dai paparazzi. L’ex regina di Persia diventa la regina del jet-set internazionale e dei rotocalchi popolari.

 

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4. Recita accanto a Sordi

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La ricchezza, il passaporto diplomatico e i titoli regali le offrono numerosi privilegi e tra questi c’è anche quello di scegliersi un’attività cui dedicarsi: Sorâyâ decide di fare l’attrice.

Decisione rischiosa: è bella, ma non ha né talento, né preparazione alcuna, ma ai privilegiati, si sa, spesso manca il senso dei propri limiti.

Nel 1965, il produttore Dino De Laurentiis la contatta. Lei accetta di girare un film a una condizione: «Non voglio né abbracci né baci sulla bocca». De Laurentiis acconsente e le cuce letteralmente addosso una pellicola a episodi, I tre volti.

Il primo episodio è diretto da Antonioni, nel secondo Sorâyâ recita con una star hollywoodiana, Richard Harris, e nel terzo c’è Alberto Sordi. Il film sembra destinato al successo, ma si rivela un fiasco colossale.

Fine della carriera “artistica” di Sorâyâ che, in compenso, conosce Franco Indovina, regista italiano all’epoca sposato e con figli, e se ne innamora (o così si dice); la relazione, tuttavia, è bruscamente interrotta da una sciagura.

Indovina muore nell’incidente aereo di Punta Raisi che nel 1972 costa la vita ad altre 114 persone. Sorâyâ si ritrova ancora una volta sola, incapace di scrollarsi di dosso quel destino da “principessa triste” e depressa su cui i rotocalchi ricamano con cinismo e dovizia di particolari.

Sorâyâ muore sola, il 25 ottobre 2001, a 69 anni: viveva semireclusa in un lussuoso appartamento di avenue Montaigne, a Parigi, con la sola compagnia di due cagnolini.

«Morta per cause naturali», si legge nel referto medico; stroncata dall’abuso di psicofarmaci e alcol, mormorarono molti dei suoi vicini e conoscenti. Nel 2002 la sua tomba, a Monaco di Baviera, è stata profanata dai vandali: «Miserabile parassita», le hanno scritto sulla lapide.

Bijan, il fratello minore di Sorâyâ e maggior erede della sua immensa fortuna (all’epoca valutata in 80 miliardi di lire), disse sgomento alla morte della sorella: «Ora non ho più nessuno con cui parlare».

La settimana dopo ebbe un attacco cardiaco in un albergo di Parigi: morì anche lui in solitudine.

 

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5. Storia della Persia diventata Iran

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1921: Reza Pahlavi Khan, ufficiale dell’esercito persiano, guida un colpo di Stato contro il sovrano Ahmad della dinastia Qajar.

1925: Reza Khan si fa incoronare Shâh (“Re”) di Persia: inizia l’epoca della dinastia Pahlavi.

1935: per ordine dello Shâh la Persia adotta il nome di Iran. 1949: la monarchia costituzionale di Mohammed Reza Pahlavi, subentrato al padre nel 1941, diventa una dittatura e ha l’appoggio dell’Occidente che ne controlla il petrolio.

1951: lo Shâh, che nel 1948 aveva ottenuto il divorzio dalla prima moglie, sposa Sorâyâ, della potente tribù dei Bakhtiyari. Il primo ministro iraniano Mohammad Mossadeq fa approvare la nazionalizzazione dell’industria petrolifera con il sostegno del clero sciita, guidato dall’ayatollah Kashani; aspra la reazione della Gran Bretagna, lesa nei propri interessi.

1952: lo Shâh cerca di sostituire il primo ministro Mossadeq, ubbidendo alle pressioni inglesi. Scoppiano proteste di piazza.

1953: Mossadeq costringe lo Shâh e la sua famiglia a rifugiarsi in esilio a Roma. La Cia e i servizi segreti inglesi finanziano un colpo di Stato in Iran (Operazione Ajax) per rovesciare Mossadeq e far tornare al potere lo Shâh. Quest’ultimo, in cambio, accetta che il controllo del petrolio passi nelle mani delle “Sette sorelle” (le sette grandi compagnie occidentali del settore).

1959: il 21 dicembre, lo Shâh, che aveva ripudiato Sorâyâ, si sposa con la ventunenne Farah Diba.

1963: lo Shâh vara un programma di riforme detto “Rivoluzione bianca”, osteggiato dal clero sciita e dalla sua massima carica, ayatollah Khomeini, perché laicizza l’educazione ed espropria le terre agricole ai religiosi. A giugno Khomeini, che aveva cercato di rovesciare lo Shâh, è arrestato.

1964: l’ayatollah Khomeini si rifugia in esilio a Parigi, mentre lo Shâh governa con il “pugno di ferro”.

1978: scoppia la rivolta popolare contro lo Shâh. Le forze di opposizione si riuniscono attorno a Khomeini.

1979: l’ayatollah Khomeini rientra in patria dall’esilio, mentre lo Shâh fugge in Egitto con la famiglia. Khomeini assume il potere con la carica di “Guida della rivoluzione”. Il Paese si trasforma in una Repubblica islamica teocratica con un codice civile e penale ispirato alla Shari’a, la legge religiosa islamica.

1980: lo Shâh muore in Egitto. Scoppia la guerra tra l’Iran e l’Iraq di Saddam Hussein, sostenuto dalle potenze occidentali ed Egitto, Unione Sovietica e Cina. Il conflitto si chiuderà nel 1988 con un milione di morti e la sconfitta irachena.

1989: l’ayatollah Khomeini muore di tumore.

2005: Mahmud Ahmadinejad è presidente dell’Iran.

2008-2010: grandi manifestazioni di piazza sono duramente represse dal regime, che vara un programma di sviluppo nucleare a scopi civili. Il sospetto è che voglia dotarsi d’armi atomiche.

 

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