“Stupidello“: così aveva soprannominato Albert Einstein la domestica di casa, visto che parlava poco e ripeteva le frasi tra sé.
Ma questo bambino “ritardato” era destinato a una spettacolare evoluzione che l’avrebbe fatto diventare uno dei più illustri scienziati di tutti i tempi e famoso come una rockstar.
Cent’anni fa, ad appena 35 anni, lo studioso tedesco Albert Einstein pubblicava la famosa teoria della relatività generale, destinata a rivoluzionare il mondo della fisica e a trasformare l’ex impiegato dell’Ufficio brevetti di Berna nello scienziato più noto del pianeta:
«Voglio capire come Dio ha creato il mondo. Non mi interessa questo o quel fenomeno in particolare: voglio penetrare a fondo il Suo pensiero. Il resto sono solo dettagli…».
Così, il 3 gennaio 1954 Albert Einstein, in una lettera indirizzata al filosofo Erik Gutkind, cercava di spiegare l’irresistibile impulso che lo guidava nella ricerca di una legge unificatrice capace di giustificare il funzionamento dell’intero universo, dagli atomi alle galassie.
Una ricerca incessante, a cavallo tra scienza e filosofia, che ha contribuito in maniera decisiva a porre le basi della fisica moderna, collocando il ragazzino ebreo nato a Ulm, in Germania, nel 1879 al primo posto nell’Olimpo degli scienziati più famosi di tutti i tempi.
Ecco la breve storia di Albert, lo “stupidello” che diventa Einstein!
1. Testa grossa e cervello fino
Quando Albert viene al mondo, niente lascia presagire un futuro tanto brillante.
Ha una testa insolitamente grossa e un cranio asimmetrico così strano che mamma Pauline se ne preoccupa.
Probabilmente lo ha ereditato dal padre Hermann, un imprenditore poco fortunato e perseguitato dai fallimenti.
Il sostegno della famiglia è lo zio Jacob, un ingegnere elettromeccanico titolare di un’azienda di forniture di gas ed elettricità di Monaco, dove tutta la famiglia Einstein si trasferisce. I genitori di Albert sono preoccupati: il bambino tarda a parlare.
Come racconta il biografo americano Walter Isaacson nel suo libro Einstein. La sua vita, il suo pensiero, anche dopo che comincia a usare le parole ha una curiosa abitudine che induce la domestica ad affibbiargli il nomignolo “der Depperte”, lo stupidello: ripete ogni frase che dice più volte tra sé a bassa voce.
In effetti, Albert ha una crescita lenta, che induce il timore di un suo ritardo mentale. Nonostante i frequenti scatti d’ira, è un bambino tranquillo. Non ama stare con i coetanei, che lo definiscono noioso, ma preferisce giocare da solo e costruire complicati castelli di carte.
Trascorre ore ad ascoltare lo zio, che lo affascina con le sue spiegazioni sull’elettricità. Come racconterà da grande, ha avuto dalla vita un grande dono: la capacità di meravigliarsi.
A fargli il regalo più grande, comunque, è la madre, abile pianista: a cinque anni gli fa prendere lezioni di violino, uno strumento che suonerà con gioia per tutta la vita.
In un primo tempo, Albert si irrita per la disciplina imposta dall’insegnamento, ma tutto cambia quando conosce le sonate di Mozart. «La sua musica», dirà in seguito, «è così pura e meravigliosa che la vedo come un riflesso della bellezza dell’universo stesso»
2. A cavallo di un raggio di luce
A sei anni Albert va a scuola. È un istituto cattolico privato e lui è l’unico ebreo della classe, ma ci si trova bene.
Contrariamente alla diceria secondo la quale sarebbe stato rimandato in matematica, è in realtà fra gli studenti migliori, molto più avanti di quanto richiedessero i programmi.
«Prima dei 15 anni», ricorda lui stesso, «padroneggiavo il calcolo differenziale e integrale». I suoi genitori, infatti, gli acquistavano i libri in anticipo perché potesse avvantaggiarsene nelle vacanze estive.
A introdurlo alle delizie dell’algebra è lo zio Jacob. «È una scienza allegra», gli diceva, «dove si va a caccia di un animale misterioso chiamato x».
Negli anni successivi, sempre a Monaco, Albert frequenta il Luitpold Gimnasium, ma vi si trova a disagio, mal tollerandone il sistema educativo nozionistico.
Deluso, lo abbandona, seguendo in Italia la famiglia che vi si era trasferita per i rovesci economici subiti in patria. È qui che nasce in lui la prima idea della relatività.
Mentre vagabonda attraverso gli Appennini per raggiungere Genova, fantastica: se volassi a cavallo di un raggio di luce, alla sua stessa velocità, come mi apparirebbe il mondo e la luce stessa?
Ma gli studi liceali devono essere completati e il giovane, ormai sedicenne, si trasferisce in Svizzera, dove si iscrive al ginnasio di Aarau. Qui l’insegnamento è più aperto che in Germania e gli consente di dare sfogo alle idee originali che scaturiscono senza sosta dalla sua curiosità indagatrice.
Il passo successivo è l’ingresso al Politecnico di Zurigo, dove nel giugno del 1900, a soli 21 anni, consegue la laurea in matematica e fisica. Trovare un impiego però non è facile.
Per il suo carattere poco conciliante non ottiene la docenza nell’ateneo svizzero e dovranno passare due anni prima che gli venga offerto un posto all’ufficio brevetti di Berna: un lavoro modesto che però gli permette di sposarsi con Mileva Maric, sua compagna di studi all’università.
Secondo lo storico della scienza Peter Galison dell’Università di Harvard, la sua rapidità nello svolgere i doveri d’ufficio non gli consente solo di risparmiare tempo e di continuare gli studi, ma gli fornisce spunti pratici ricchi di implicazioni.
3. Un orario per il mondo
Uno dei problemi di quell’inizio del secolo era la necessità di individuare nuove tecnologie di orologeria elettromeccanica per regolare con precisione le reti ferroviarie europee.
Einstein vaglia una serie di brevetti per i sistemi di sincronizzazione degli orologi e si pone qualche domanda: che cosa significa dire che un treno è in orario? E se lo è, rispetto a che cosa?
In quegli anni, la questione del tempo era ben lungi dall’essere risolta. Le nazioni non riuscivano a trovare lo straccio di un accordo su quale ora dovesse seguire il mondo, e le discussioni interessavano uomini d’affari, filosofi e commercianti.
Qualcuno aveva proposto di adottare un tempo unico per l’intero pianeta, chiamandolo “tempo cosmopolita”. In campo scientifico, le teorie di Newton proponevano una nozione di tempo assoluto, che scorre uniformemente nell’universo.
Per trovare una soluzione definitiva Albert deve ricorrere a qualcosa in contrasto con le conoscenze scientifiche dell’epoca e mette in crisi il concetto di contemporaneità. Nel 1905 pubblica sulla rivista elvetica Annalen der Physik un articolo intitolato “Elettrodinamica dei corpi in movimento”.
Vi si enuncia la rivoluzionaria teoria della relatività speciale o ristretta, che si basa su due postulati fondamentali: il principio secondo il quale il “tempo” di un corpo dipende dallo stato di moto del sistema in cui si trova, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo il quale la velocità di propagazione di questa radiazione elettromagnetica è una costante universale.
Geniale è anche la dimostrazione che l’aumento della massa di un oggetto è direttamente proporzionale alla quantità di lavoro occorrente per accelerarlo. Einstein perfeziona questo concetto fissandolo nella famosa equazione E=mc2: l’energia è uguale alla massa per velocità della luce al quadrato.
I più illustri scienziati del momento, dal francese Henri Poincaré al tedesco Max Planck, restano meravigliati quando scoprono che lo sconosciuto autore non è neanche un professore.
4. Marito tutt’altro che esemplare
Einstein rimane all’Ufficio brevetti fino al 1909, poi viene nominato professore associato di fisica teorica all’Università di Zurigo, ottenendo in seguito la prima laurea honoris causa dall’Università di Ginevra.
Inizia così la sua carriera universitaria che lo porterà nel 1911 alla nomina di professore ordinario di fisica teorica all’Università di Praga e nel 1912 a quella di professore al Politecnico di Zurigo.
Intorno al 1913 il suo matrimonio con Mileva, che gli ha dato due figli, Hans Albert e Eduard, va a rotoli. Sull’orlo del divorzio da Mileva Maric, ecco le dure condizioni che Einstein le impose per continuare a condurre una vita in comune.
Mileva doveva provvedere a tenere sempre in perfetto ordine i suoi indumenti e biancheria e servirgli i pasti nel suo studio. Inoltre doveva occuparsi della pulizia dello studio, senza toccare nulla sulla scrivania, e della stanza da letto.
Quanto alla vita privata, doveva rinunciare a qualunque relazione personale con lui, a meno che la sua presenza non fosse espressamente richiesta per ragioni sociali, astenersi da qualsiasi critica o rimprovero e non aspettarsi alcuna intimità.
Fra le altre norme, c’era anche un preciso codice di obbedienza, secondo il quale Mileva doveva tacere o abbandonare immediatamente la stanza quando le veniva richiesto ed evitare di sminuirlo in presenza dei gli con le parole o con il comportamento.
Lo scienziato, infatti, si era concesso numerose relazioni extraconiugali, una delle quali con sua cugina Elsa, che dopo il divorzio da Mileva diventerà la sua seconda moglie.
Anche lei dovrà sopportare i frequenti tradimenti di lui, che è insofferente verso qualsiasi legame e definisce il matrimonio “l’invenzione di un maiale privo di immaginazione”.
In questi anni, comunque, matura in lui “la più sorprendente combinazione di penetrazione filosofica, intuizione fisica e abilità matematica”, come la definì un altro premio Nobel per la fisica, Max Born.
Nel novembre 1915, infatti, esprime la Teoria della relatività generale, una serie di equazioni che trasformano la geometria dell’universo in un “continuo” a quattro dimensioni, comprendenti anche il tempo, incurvato dalla presenza della materia.
Lo spazio è concepito come un foglio di gomma nel quale le masse dei corpi celesti producono degli affossamenti: essi determinano l’attrazione gravitazionale.
Le conseguenze della teoria, molte e sbalorditive, spiegano per esempio l’esistenza di supernove, stelle di neutroni, pulsar, buchi neri e la nascita dell’universo da una grande esplosione.
La consacrazione dello scienziato avviene il 9 marzo 1919, quando un’eclisse totale di Sole conferma che la luce proveniente dalle stelle diretta verso la Terra, passando nel campo gravitazionale dell’astro, ne subisce gli effetti incurvandosi come previsto dalla teoria.
È l’inizio di una popolarità pari a quella di un divo dello spettacolo. Nel 1921 gli viene assegnato il Nobel: non per la teoria della relatività, ma per i contributi alla fisica teorica riferita alla legge sull’effetto fotoelettrico.
5. Adottato dagli Stati Uniti
Gli anni che seguono vedono Einstein impegnato come fervente pacifista.
Non sopportando più il crescente odio verso gli ebrei nella Germania nazista, nel 1933 decide di abbandonarla.
Per questo il regime gli toglie la cittadinanza tedesca, confisca tutti i suoi beni e brucia i suoi scritti per le strade di Berlino.
Il nuovo Paese di adozione sono gli Stati Uniti, dove gli è affidata la cattedra di fisica teorica all’Institute for Advanced Study a Princeton, nel New Jersey (nella foto lo studio di Einstein all’Institute for Advanced Study di Princeton, New Jersey, Usa. Alle spalle della scrivania, la lavagna piena di formule).
Aspetto trasandato, un’aureola di arruffati capelli grigi, grandi occhi azzurri sgranati sui segreti della materia, lo scienziato trascorre le sue giornate fra la ricerca e gli hobby preferiti: il violino, le passeggiate e la vela sul lago Carnegie.
Negli ultimi anni si dedica a un problema scientifico che in nessun caso avrebbe potuto risolvere perché a quel tempo erano troppo scarse le conoscenze di base: l’unificazione di tutte le forze della natura in una sola legge, un tema che ancora oggi non ha trovato soluzione, nonostante lo sforzo dei maggiori fisici teorici viventi.
La fine per lo scienziato arriva il 18 aprile 1955, all’età di 76 anni, a causa di un aneurisma addominale. Ai medici che volevano tentare di operarlo dice: «Voglio andarmene quando decido io, perché è di cattivo gusto prolungare artificialmente la vita». Vicino al suo letto c’erano gli ultimi calcoli incompleti riguardanti la teoria del campo unificato.
Einstein non riuscì mai ad accettare i contenuti né della Bibbia né di altri testi sacri. La sua ricerca nel decifrare le leggi della natura costituiva il suo vero senso religioso, rivolto alla vastità dell’universo.
«Io non sono ateo», diceva, «ma penso che noi siamo nella situazione di un bambino piccolo che entra in una vasta biblioteca piena di libri scritti in molte lingue diverse.
Qualcuno deve aver scritto quei libri, ma il bambino non sa come. Sospetta che debba esserci un ordine misterioso nella sistemazione di quei libri, ma non conosce quale sia.
Questo mi sembra essere il comportamento dell’essere umano più intelligente nei confronti di Dio.
Noi vediamo un universo meravigliosamente ordinato che rispetta leggi precise, che possiamo però comprendere solo in modo oscuro.
I nostri limitati pensieri non possono afferrare la forza misteriosa che muove le costellazioni».