La moda di mangiare pesce crudo ha conquistato gli italiani e sta prendendo piede anche tra i giovani.
Il sushi, piatto simbolo della cucina giapponese, secondo una recente indagine Doxa in Italia è associato al desiderio di concedersi un momento di relax e di condivisione con gli amici o con il proprio partner.
Secondo l’indagine, chi lo consuma più di frequente ha un’età compresa tra i 25 e i 54 anni e ne è attratto soprattutto perché lo trova appetitoso, ma anche colorato, creativo e internazionale.
Il 70 per cento lo consuma fuori casa, grazie anche alla presenza sempre più diffusa di ristoranti specializzati, ma aumentano coloro che lo ordinano a domicilio, soprattutto tra i giovani (18-24 anni). La città dove si consuma di più il sushi è Roma, seguita da Milano e Genova.
Ma al di là del crescente gradimento, il sushi è un cibo sano? Scopriamolo insieme.
1. Grassi buoni e vitamina D
«Le linee guida ci dicono che una sana e corretta alimentazione dovrebbe avere le caratteristiche della Dieta Mediterranea», spiegano i nutrizionisti, «basata su abbondanza di verdura e frutta, sui cereali integrali e sulla presenza anche di fonti proteiche, tra cui, in particolare, i legumi e il pesce».
Il pesce è appunto l’ingrediente base del sushi: «Oltre che per il suo contenuto di proteine, il pesce si distingue per la presenza di grassi “buoni” mono/polinsaturi, specialmente quelli della serie omega-3, nella forma meglio assimilabile per il nostro organismo. In termini di frequenza di consumo (tre volte a settimana), sono però da privilegiare il pesce azzurro (per esempio sgombro, alice, sardina, aguglia) e in generale i pesci di piccola taglia, che accumulano nelle loro carni quantità inferiori di metalli pesanti durante il loro ciclo di vita».
E di solito quelli di piccola taglia non sono i pesci tipici delle preparazioni di sushi, che usano di più salmone o tonno, comunque ricchi di omega-3 ma, nel caso soprattutto del tonno, più a rischio di contaminazione da metalli pesanti.
Il pesce è una buona fonte di vitamine del gruppo B, vitamina A e D, fosforo, calcio (nel caso dei pesci piccoli di cui consumiamo anche le piccole lische).
La vitamina D è un micronutriente chiave nei processi di mineralizzazione dell’osso e nel funzionamento del sistema immunitario ma la popolazione europea negli ultimi anni ne è sempre più carente e, sebbene vi siano ancora dati controversi sui reali rischi dati da livelli bassi di vitamina D nel sangue, spesso ne viene consigliata l’integrazione.
Non sono molte le fonti alimentari di vitamina D, il pesce grasso è una di queste.
2. Attenti a sale e calorie
La maggior parte delle calorie del sushi proviene dal riso: «Non solo è quasi sempre bianco, ma è anche scelto nella varietà più ricca di amido perché deve essere ben compattabile, quindi ha un maggiore impatto glicemico. Inoltre, è spesso anche cotto nello zucchero», dicono gli esperti.
«Sarebbe da preferire il riso integrale che, però, viene proposto molto più raramente nei menù. Va poi considerato che la salsa di soia con cui si accompagna un classico sushi è molto ricca di sale, quindi di sodio, e deve essere consumata in piccole quantità e non abitualmente perché il consumo eccessivo di sale predispone all’ipertensione, alla ritenzione idrica, all’osteoporosi e a disturbi metabolici».
Il sushi può comprendere anche porzioni di pesce o di crostacei cotti, che spesso sono fritti: «Questo fa aumentare il contenuto di grassi e carboidrati e, di conseguenza, di calorie del pasto».
La qualità prima di tutto! Che il sushi stia riscuotendo il gradimento dei giovani è positivo perché li tiene più lontani dal cosiddetto “cibo spazzatura”, a base di hamburger, patatine, dolci e bevande zuccherate.
Tuttavia, tra le numerose proposte sul mercato, scegliere quelle di qualità non è sempre facile, anche perché molti consumatori si fanno attirare da menù a basso costo, come quelli che permettono di mangiare a prezzo fisso grandi quantità di cibo, per esempio gli all you can eat (in inglese, “tutto quello che riesci a mangiare”).
Meglio diffidare di queste offerte che non garantiscono la qualità degli ingredienti utilizzati.
3. I rischi
Il consumo di pesce crudo non adeguatamente trattato può essere rischioso per la salute e anche per questo, quando si desidera gustare del sushi, è meglio non affidarsi a punti vendita improvvisati.
Il principale pericolo è costituito dall’Anisakis, un genere di vermi nematodi, parassiti di diversi organismi marini.
Nei pesci questi vermi sono presenti all’interno delle carni e sono visibili a occhio nudo: misurano da 1 a 3 centimetri, in genere sono arrotolati su loro stessi e hanno un colore che va dal bianco al rosato.
L’infezione, chiamata anisakiasi, si manifesta con violenti dolori addominali accompagnati da nausea e vomito e, nei casi più gravi, può portare anche alla perforazione intestinale con necessità di intervento chirurgico.
L’anisakiasi può essere prevenuta mediante la cottura del pesce oppure surgelandolo e portandolo in tempi rapidi a temperature adeguate (-35 °C per minimo 24 ore o -18/20 °C per almeno 96 ore) prima di consumarlo.
La procedura professionale di surgelamento rapido si chiama abbattimento termico, mentre quella in congelatore è più lenta, motivo per cui servono più giorni per ottenere il risultato. Gli altri metodi di conservazione come la marinatura, la salatura o l’affumicatura non eliminano il parassita.
Infine, teniamo presente che il sushi può non essere adatto a tutti: «Per esempio, chi è allergico all’istamina, una sostanza naturale prodotta anche dal nostro organismo come risposta immunitaria agli allergeni, potrebbe avere problemi a consumare pesce.
Questo alimento, infatti, può contenere un eccesso di istamina nel caso non sia molto fresco o sia conservato in modo non adeguato: i batteri presenti sulla cute, nelle branchie e nell’intestino dell’animale penetrano nei tessuti muscolari e cominciano a produrre istamina.
Il sushi crudo è controindicato anche alle donne in gravidanza e ai bambini piccoli, che hanno un apparato gastrointestinale più delicato», concludono gli esperti.
4. Le origini del sushi risalgono all’VIII secolo
Il sushi è diventato uno dei piatti più amati e diffusi in tutto il mondo, ma quali sono le sue origini e come è arrivato a diventare un simbolo della cucina giapponese?
Per scoprirlo, dobbiamo fare un viaggio nel passato gastronomico del Giappone, esplorando le radici millenarie di questa prelibatezza culinaria.
Le origini del sushi risalgono all’VIII secolo in Giappone, quando eviscerare il pesce crudo, salarlo e arrotolarlo nel riso fermentato era un modo per conservarlo a lungo: la conserva si chiamava narezushi e al momento del consumo, il riso fermentato veniva scartato e si mangiava solo il pesce, importante fonte proteica.
Nel periodo Muromachi (1336-1573), il namanare era il tipo di sushi più popolare, composto sempre da pesce crudo arrotolato nel riso, ma consumato fresco.
Nel periodo Edo (1603- 1867), fu introdotto l’haya-zushi (“sushi veloce”) in cui pesce e riso, mischiati ad aceto e verdure, erano consumati insieme.
Nel XIX secolo divenne popolare il nigirizushi, un cumulo allungato di riso coperto da una fetta di pesce. Quello che oggi è conosciuto come sushi a livello in- ternazionale spopolava nella frenetica Tokyo già agli inizi del XX secolo.
Poteva essere mangiato con le mani o con le bacchette: è stato la prima forma di fast food nelle isole nipponiche, da consumare velocemente anche per strada o a teatro.
5. Come riconoscere i vari tipi di sushi
Come riconoscere i vari tipi di sushi? Per i neofiti, distinguere i vari tipi di sushi può essere un compito difficile.
In questa guida pratica, esploreremo i diversi tipi di sushi e impareremo a riconoscerli.
- MAKI:
È fatto con pesce (per esempio, il salmone) e un altro ingrediente (per esempio l’avocado) e riso poi avvolti in alghe o nei semi di sesamo.
- URAMAKI:
È come il maki, ma assemblato all’inverso: il riso è all’esterno e le alghe, che avvolgono il pesce, sono all’interno.
- TEMAKI:
Si tratta di pesce e altri ingredienti avvolti in alghe ripiegate a forma di cono.
- NIGIRI:
È composto da una polpettina di riso ricoperta con una fettina di pesce.
Curiosità: Ma è sostenibile? Non proprio
Il fatto che salmone e tonno siano le specie ittiche più usate nel sushi mette in dubbio la sua sostenibilità, come fanno notare gli esperti di Slow Food.
La domanda globale di tonno, in parte motivata dalla crescente popolarità del sushi, aumenta la pressione non solo sulla principale specie pescata, il tonno rosso, ma anche sulle altre varietà e ha cambiato il modo di pescare questo pesce, con una serie di impatti ecologici, quali per esempio la contemporanea cattura di delfini e tartarughe marine.
Quanto al salmone, fa notare sempre Slow Food, il suo utilizzo nel sushi è un’invenzione occidentale che non appartiene alla tradizione originaria giapponese.
Oggi il salmone proviene quasi esclusivamente da allevamenti intensivi in mare aperto che danneggiano gli ecosistemi marini.