Tatuarsi è di moda.
Secondo i dati dell’Istituto Superiore della Sanità, in Italia le persone tatuate sono oltre 7 milioni: simboli o disegni decorativi o ricordi di avvenimenti o persone speciali.
A livello mondiale, secondo la Società europea di Dermatologia e Venereologia, il 15 per cento degli adulti e il 30 dei più giovani ha un tatuaggio.
E, negli Usa, le percentuali salgono addirittura a 4 adulti su 10.
Ci si tatua perché è di moda, per aumentare il sex appeal e per distinguersi dagli altri, ma se si esagera è segno d’insicurezza. Scopriamo insieme il perché.
1. Se si esagera può nascondere insicurezza
Anche se tatuarsi non ha una valenza negativa e non implica un problema psichiatrico, spiegano molti psichiatri, il bisogno di farlo in misura estrema sottintende un’insoddisfazione del proprio corpo e di se stessi.
In questo caso si tratta di una manipolazione di un aspetto fisico di cui non si è contenti e può nascondere una vera e propria forma di depressione.
Un tatuaggio di dimensioni ridotte ha invece tutt’altro significato: è un abbellimento ed esprime l’aspirazione a comunicare qualcosa di noi. È per questo che chi si tatua è, in genere, una persona estroversa. Tipico esempio un tatuaggio di stelle, piccolo e poco invasivo.
A volte, può segnare l’inizio o la fine di un amore, la nascita di un figlio o il passaggio all’età adulta. Si tratta, indifferentemente, di eventi piacevoli o tragici, comunque ritenuti significativi da chi se li imprime sulla pelle.
È una sorta di affermazione di se stessi, di ciò in cui si crede e si ritiene importante e che si desidera esternare agli altri. Soprattutto intende rendere visibili quegli eventi a se stessi in ogni momento.
Ne aveva uno anche Churchill! Chi l’avrebbe mai detto che lo statista Winston Churchill avesse un tatuaggio? Un’àncora, proprio come quella di Braccio di Ferro, sull’avambraccio.
Era un’eredità degli anni passati da corrispondente tra Cuba, India e Sudafrica. Persino sua madre ne aveva uno, un serpente tatuato sul polso che, nelle occasioni importanti, celava con un grosso braccialetto.
I presidenti americani Theodore Roosevelt e Andrew Jackson avevano tatuato sul petto rispettivamente lo stemma araldico della propria famiglia e un’ascia indiana.
Mentre l’inventore Thomas Edison aveva impresso su un avambraccio un disegno geometrico a cinque punte. Lo zar Nicola II di Russia aveva invece un dragone sul braccio destro.
2. Segno di seduzione?
I tatuaggi vengono ritenuti sexy, ma non si tratta solo di una sensazione.
Lo conferma una ricerca dello psicologo francese Gueguen, pubblicata nel 2013 su Archives of Sexual Behavior.
Alla base un esperimento divertente: in sessanta diverse spiagge del Nordovest della Francia, nei giorni di sole dei mesi di giugno e luglio del 2009, sono state testate giovani attrici, alcune prive di tatuaggio, altre con una farfallina sulla parte bassa della schiena e tutte intente a leggere un libro.
Risultato? Le ragazze tatuate hanno ricevuto maggiori avances da parte dei maschi presenti sulla spiaggia.
Dunque i tatuaggi sono sexy o almeno comunicano una maggior disponibilità da parte di chi ne è provvisto e invogliano a tessere più facilmente relazioni sociali.
Durante l’adolescenza, quando il corpo diviene il luogo prediletto per comunicare con il mondo esterno, il tatuaggio permette sia di esprimersi sia di modificare il proprio aspetto.
L’adolescente ha così la sensazione di avere padronanza di sé e di essere il protagonista dei cambiamenti in atto. Tatuarsi costituisce una specie di rito di iniziazione che fa sentire grandi e può fungere anche da segno di distinzione (rispetto a quelli che non lo fanno), o, al contrario, di appartenenza al gruppo.
Può rendere visibile un legame affettivo: molte ragazze vanno assieme a tatuarsi per segnalare concretamente un legame esclusivo di amicizia, mentre le giovani coppie scelgono un tatuaggio comune come segno di appartenenza reciproca.
3. C’è anche chi ci ripensa (oggi cancellarli è possibile: con i nuovi laser)
Un tatuaggio è per sempre, almeno nelle intenzioni, ma non è del tutto improbabile cambiare idea. Anche su questo gli studi non mancano.
In particolare», uno studio eseguito su 615 volontari tra il 2010 e il 2011 dal dipartimento di Dermatologia dell’East Lancashire e dal Royal Blackburn Hospital (UK) e pubblicato nel 2013 sul British Journal of Dermatology ha dimostrato che, a un certo punto della vita, una parte significativa di coloro che si erano tatuati aveva cambiato idea.
Secondo la ricerca, il 37 per cento (70 donne e 143 maschi) farebbe, così, volentieri a meno del proprio tatuaggio, soprattutto chi l’ha fatto da giovanissimo, cioè prima dei sedici anni.
Ma quali sono i soggetti che più spesso vengono rimossi?
- Secondo un sondaggio a risposta multipla, effettuato online, al primo posto ci sarebbero i nomi o le iniziali di ex fidanzati (58 per cento)
- al secondo posto le citazioni celebri o tratte da film (45 per cento);
- al terzo posto i grossi disegni tribali che ricoprono braccia e gambe (41);
- al quarto posto i tattoo fatti con le ex amiche del cuore (37);
- al quinto posto, i tatuaggi “venuti male” (35);
- al sesto posto lo stemma della squadra del cuore (31);
- al settimo posto i tatuaggi considerati troppo evidenti o impressi su una parte del corpo particolarmente visibile (25);
- all’ottavo posto quelli ritenuti imbarazzanti (19);
- al nono posto quelli con riferimenti politici o ideologici (15);
- al decimo posto i tattoo infantili, come i personaggi dei cartoni animati (12).
Anche quella del tattoo-changing (cancellazione dei tatuaggi) è una tendenza inarrestabile; al suo successo hanno contribuito star italiane e internazionali che si sono pentite dei loro tattoo e li hanno cancellati o modificati.
Un caso emblematico è quello della nota attrice Angelina Jolie che ha cancellato il drago che aveva tatuato sulla spalla sinistra assieme al nome dell’ex marito Billy Bob Thornton, eliminandolo con il laser e poi ricoprendo quel lembo di pelle con le coordinate geografiche dei luoghi di nascita dei suoi sei figli e del marito Brad Pitt.
Oggi cancellarli è possibile: con i nuovi laser. Le tecniche di rimozione dei tatuaggi hanno fatto notevoli passi avanti. Da interventi che lasciavano cicatrici (a causa della dermoabrasione o del laser CO2), si è passati a tecnologie che minimizzano gli effetti collaterali.
Con l’introduzione dei laser di nuova generazione, oggi abbiamo a disposizione due tecniche molto innovative: il Picolaser e il laser Q-Switched.
Entrambi possono essere utilizzati solo da personale medico, agiscono istantaneamente e consentono la più efficace e sicura frammentazione dell’inchiostro, perché lo riducono in particelle microscopiche, facilmente eliminabili dall’organismo. Il Picolaser, inoltre, è in grado di eliminare tutti i colori di cui è composto il tatuaggio.
Il dermatologo infatti può modulare la luce emessa dallo strumento e neutralizzare perfettamente i pigmenti neri, blu, rossi e verdi, sedimentati nei diversi strati del derma.
Resta il fatto che rimuovere perfettamente e correttamente un tatuaggio richiede pazienza, ovviamente in relazione alla tipologia, al colore e all’estensione del disegno e alla tecnologia utilizzata.
Con i laser di nuova generazione (PicoSureTM) si ottengono risultati significativi già dopo le prime sedute. Ne bastano generalmente da due a cinque.
4. Tatuaggi: una storia lunga più di 5.000 anni che comincia con una mummia.
Le origini dei tatuaggi risalgono a ben 5.300 anni fa, come testimonia la Mummia di Similaun (foto): un corpo congelato e ottimamente conservato, ritrovato nel 1991 sulle Alpi al confine italo-austriaco, che ne presenta alcuni, molto probabilmente ottenuti sfregando carbone polverizzato su incisioni verticali della cute.
I raggi X hanno rilevato degenerazioni ossee in corrispondenza di quei tagli e ciò ha fatto pensare che i tatuaggi fossero stati praticati allo scopo di lenire dolori ossei, una pratica comune anche nell’Antico Egitto.
Anche gli antichi cinesi e giapponesi si tatuavano, con ideogrammi, sin dal 330 a.C.; li ritenevano segni in grado di infondere loro forza e coraggio.
I Celti, che adoravano il cinghiale, il toro, il gatto, gli uccelli e i pesci come divinità, se li tatuavano sulla pelle in segno di devozione.
Presso gli antichi Romani, invece, il tatuaggio veniva utilizzato esclusivamente per marchiare criminali e condannati. Solo dopo le battaglie contro i britannici (che portavano tatuaggi come segni distintivi di onore e forza) alcuni soldati romani cominciarono a tatuarsi a loro volta.
Fra i primi cristiani vigeva l’abitudine di tatuarsi la croce di Cristo sulla fronte, usanza proibita dall’imperatore Costantino intorno al 325 d.C perché ritenuta irrispettosa dell’integrità del corpo.
I tatuaggi compariranno di nuovo in Occidente durante le Crociate: tatuarsi la croce di Gerusalemme permetteva infatti un’appropriata sepoltura secondo i riti cristiani.
Dopo le Crociate, il tatuaggio in Europa scompare per qualche secolo, fino a quando, nel Settecento, l’esploratore inglese James Cook, di ritorno da uno dei suoi viaggi nei Mari del Sud, lo riporta in auge tra i suoi marinai.
Per diverso tempo è tipico di detenuti, marinai, mercenari e circensi e bisogna aspettare gli anni Sessanta del XX secolo perché si diffonda nella massa.
Lo adottano gli aderenti a movimenti di opposizione alla guerra del Vietnam, i paladini dei diritti civili, della libertà sessuale, dell’emancipazione delle donne e degli omosessuali.
Anche il mondo del rock lo utilizza come segno di trasgressione, mentre i vip, sin dagli anni Ottanta, come segno di distinzione. L’eco di tutto ciò arriva in Europa negli anni 90, quando lo stilista Jean-Paul Gaultier fa la sua prima sfilata con modelli tatuati.
Il fenomeno diventa di moda: si diffonde sempre più con la cultura consumista in cui il corpo è un oggetto “da riempire”. Il tatuaggio diventa un elemento decorativo in riferimento al culto del corpo celebrato nelle palestre.
5. Quattro consigli per correre meno rischi
Premesso che tatuarsi comporta sempre un certo rischio di infezione, locale o generale (dall’epatite virale fino all’HIV), causata da microrganismi presenti sulla propria cute o provenienti dal cliente precedente o dall’operatore, il pericolo è maggiore nel caso di tatuaggi “fai da te”, praticati da operatori inesperti con sistemi rudimentali.
Ecco alcuni consigli:
- Rivolgersi a professionisti responsabili e informati sulle procedure corrette (che utilizzano guanti e aghi monouso) e, in caso di pentimento, contattare un dermatologo, che dirà come procedere per l’eliminazione.
- Scegliere disegni monocolore ed evitare le tonalità arancio- giallo, difficili da cancellare.
- Evitare i tatuaggi molto estesi perché, coprendo aree importanti di pelle, non consentono di tenerla sotto controllo, impedendo o ritardando l’eventuale riconoscimento di un melanoma, un tumore maligno mortale, nel quale le speranze di sopravvivenza dipendono dalla tempestività della diagnosi.
Per questo molti tatuatori evitano di coprire i nei melanocitici con il tatuaggio: ciò purtroppo non è sufficiente poiché circa l’80 per cento dei melanomi insorge sulla pelle sana. - Fare attenzione ai tatuaggi temporanei. I colori contengono p-fenilendiammina, una sostanza che può provocare dermatiti, con arrossamenti e croste molto pruriginose.