Gli uomini marchiavano i loro corpi fin dalla Preistoria. E questa pratica del tatuaggio è giunta fino a noi, influenzata dalle culture orientali.
Chi si tatuò per primo? E quando? Probabilmente qualche nostro antenato del Neolitico, oltre 10mila anni fa. Come spiegano gli antropologi, infatti, segnare con figure e altri “marchi” il proprio corpo serve ad affermare la propria identità. E questo probabilmente si è cominciato a fare fin dai primi passi delle società umane. Quel che sappiamo di certo, però, è che nei secoli il fenomeno è sopravvissuto arrivando fino a noi.
Oggi solo in Italia, un giovane su quattro è tatuato: un modo, a volte inconsapevole, di riscoprire un’identità attraverso un simbolo. Che nel corso della Storia ha avuto protagonisti insospettabili (come ad esempio Churchill e lo Zar Nicola II) ed episodi curiosi.
Oggi vedremo alcuni di questi, ma faremo anche un tuffo nella storia del tatuaggio. Buona lettura!
1. Antichità e Cristianesimo
In Egitto le donne tatuavano l’addome, i seni e le cosce, con figure di animali e simboli o con una serie di punti, forse con lo scopo di proteggere le gravidanze (nella foto).
In Grecia il tatuaggio fu importato dalla Persia, dove aveva un carattere prevalentemente religioso.
Ma non solo: lì come a Roma veniva utilizzato per marchiare schiavi e criminali. L’usanza di dipingersi il corpo, in effetti, fu a lungo considerata “barbarica”.
C’è chi ritiene che i Romani arrivarono a chiamare Pitti (Picti, che significava proprio “dipinti”) i popoli scozzesi che fecero incursioni in Britannia, tra i più indomabili nemici delle legioni.
Come altri barbari, i Pitti usavano i tatuaggi non solo per distinguere alleati e nemici, ma anche per terrorizzare il nemico in battaglia.
Eppure, alla fine, anche a Roma qualcuno adottò quella “moda”, diffondendola tra le file dei legionari. I tatuaggi dei soldati romani si chiamavano stigmae (“segni”) e simboleggiavano l’orgoglio di appartenenza allo Stato attraverso l’impressione della formula SPQR o il nome della propria legione.
Questo tatuaggio andò progressivamente sostituendo il signaculum, l’equivalente delle moderne piastrine fornite a ogni soldato, divenendo nel tardo impero una norma attraverso cui scongiurare possibili diserzioni.
Sembra che anche i gladiatori sfoggiassero tatuaggi molto apprezzati da pubblico e matrone, un po’ come avviene oggi per i calciatori.
Con l’avvento del cristianesimo il tatuaggio visse i suoi tempi più cupi. Già l’imperatore Costantino, nel IV secolo, rifacendosi all’insegnamento biblico, che nel Levitico proibisce l’utilizzo di marchi che deformino la somiglianza degli uomini con Dio, ne limitò l’uso a braccia e gambe.
E nel 787 papa Adriano I mise nero su bianco, nel Secondo concilio di Nicea, la loro condanna: erano da considerarsi eredità pagana e quindi opera del demonio.
Il che non impediva ai pellegrini in visita al Santo Sepolcro di Gerusalemme di continuare a tatuarsi simboli cristiani.
Nel timore di morire durante quel viaggio, volevano essere sicuri di avere una sepoltura in terra consacrata e non essere scambiati per musulmani o ebrei.
Un’accortezza alla quale, pare, ricorse anche il re d’Inghilterra e crociato Riccardo Cuor di Leone.
Del resto, fino agli Anni ’50 del secolo scorso chi si recava in pellegrinaggio al santuario di Loreto, dedicato alla Sacra famiglia, aveva l’abitudine di farsi un tatuaggio-testimonianza.
2. Dal medioevo ad oggi
Se nei Comuni medioevali i membri delle corporazioni professionali si imprimevano sulle mani il simbolo relativo della propria arte o mestiere, fu il Settecento a segnare il primo boom moderno del tatuaggio.
Non per caso: era l’epoca nella quale gli europei esploravano le terre del Pacifico. Ovvero la patria del tatuaggio, dove Maori e Tahitiani avevano portato l’arte di dipingersi e segnarsi il corpo a livelli mai visti in Occidente.
Nel giro di pochi anni, i grandi porti europei e americani furono invasi da marinai sempre più tatuati. Mentre nei circhi e nelle fiere itineranti venivano esibiti uomini e donne interamente istoriati, tra lo stupore del pubblico pagante.
Forse anche per questo il tatuaggio rimase relegato a simbolo borderline: roba da freaks (i “fenomeni da baraccone”), marinai, criminali.
Pregiudizio confermato dalla pseudoscienza di Cesare Lombroso, l’antropologo criminale torinese che, nel 1876, nel suo libro L’uomo delinquente scrisse che il tatuaggio era un indicatore di predisposizione al crimine.
Tutto cambiò nel ’900. Negli Stati Uniti si impose la cosiddetta Old School lanciata, secondo il mito, da Sailor Jerry (nella foto), un marinaio che imparò l’arte sulle navi ed esportò il suo stile sulla terraferma.
È a lui che si sono ispirate, tra gli Anni ’60 e ’70, le culture underground, prima tra gli hippie e i motociclisti, poi nella scena punk dell’esplosiva Londra dove ci fu un proliferare di corpi disegnati.
Oggi solo in Italia, un giovane su quattro è tatuato: un modo, a volte inconsapevole, di riscoprire un’identità attraverso un simbolo.
3. Ötzi, il primo uomo tatuato e non solo Yakuza
- Ötzi, il primo uomo tatuato
Il 19 settembre 1991 una coppia tedesca si imbatté in un corpo congelato ai piedi del ghiacciaio del Similaun.
Le analisi appurarono che il corpo, un maschio fra i 40 e i 50 anni di età, era vissuto intorno al 3300-3100 a.C.
Non fu l’unica sorpresa: Ötzi, come fu ribattezzata la “mummia”, dal nome della valle di Ötztal, nel Nord Tirolo, aveva ben 61 tatuaggi. Erano semplici punti, linee parallele di circa 15 centimetri e crocette (nella foto).
La loro concentrazione all’altezza del ginocchio sinistro, della caviglia destra e della regione lombare, dove le analisi radiografiche hanno riscontrato segni di artrite, lasciano supporre l’utilizzo a scopo terapeutico. Il primo uomo tatuato della Storia si era dunque “marchiato” per curarsi con la magia. - Non solo Yakuza
Secondo alcuni, i famosi tatuaggi giapponesi arrivarono nell’arcipelago nipponico dalla Polinesia. Sicuramente c’erano già nel VI secolo d.C.
Lo dimostrano le statuine haniwa, i cui volti recano inequivocabili tatuaggi. E in un manoscritto imperiale terminato nel 720 d.C. si racconta che l’imperatore Richu ordinò di tatuare di nero la zona vicina all’occhio destro della salma di un capo clan traditore della corte.
I giapponesi lo chiamano irezumi (da ireru, “inserire”, e sumi, “inchiostro”) e in origine era una forma di punizione: serviva a marchiare indelebilmente la pelle dei criminali, con strisce nere sulle braccia o addirittura con l’ideogramma di un “cane” sulla fronte.
In seguito divenne una decorazione tipica della classe borghese (il “mondo fluttuante”) che faceva concorrenza all’aristocrazia ormai decadente.
Siccome ai rappresentanti di questo ceto emergente era vietato indossare i raffinati kimono della nobiltà, loro pensarono bene di tatuarsi in gran segreto draghi, fiori, animali e figure umane sotto i vestiti, fino a ricoprire tutto il corpo.
Nell’Ottocento i tatuaggi conobbero un boom in Giappone, anche grazie a un libro: l’edizione illustrata del racconto I 108 eroi del Suikoden, storia di un gruppo di briganti cinesi che si ribellano alla burocrazia corrotta.
Quando poi l’eroico corpo dei pompieri di Edo (la capitale del tempo) adottò, per rifarsi ai Suikoden, grandi e raffinati tatuaggi, il successo divenne enorme.
Ma poi salì al potere la dinastia Giappone e che mise in cattiva luce l’irezumi. Da allora i tatuaggi rimasero appannaggio della Yakuza, la mafia giapponese, che continuava a tramandarne le figure, ma con significati opposti.
4. Tatuaggio all’inglese, Bosch e Breu e Cook, l’inventore del tattoo
- Tatuaggio all’inglese
Varie fonti, tra cui l’Arazzo di Bayeux che raffigura la Battaglia di Hastings combattuta nel 1066 tra Normanni e Anglo-Sassoni, testimoniano che l’ultimo sovrano anglosassone Aroldo II cadde colpito da un freccia in un occhio.
Il suo cadavere fu poi brutalizzato al punto da diventare irriconoscibile. Pare che a rendere possibile l’identificazione del sovrano morto sia stato un tatuaggio con la scritta “Edith e l’Inghilterra” posto all’altezza del cuore.
La vedova Edith, così omaggiata (ma per alcune fonti si trattava della madre), poté così piangere le regali spoglie. - I casi di Bosch e Breu
I pittori tra la fine del Medioevo e il Rinascimento testimoniarono come il tatuaggio non fosse del tutto dimenticato, benché godesse di una fama “maledetta”.
Il tedesco Jörg Breu, in una delle tavole dedicate alla passione di Cristo nel monastero di Aggsbach, nel 1501 dipinse un uomo con un grosso tatuaggio sul braccio: un fiore di loto affiancato da una testa di uccello, in una cornice di rami e foglie.
Il richiamo esotico serviva ad associare uno dei persecutori di Gesù (rappresentato nell’atto di defecare, deridendo la sofferenza del Cristo), con l’ambito orientale, più precisamente turco. Era infatti usanza dei giannizzeri tatuarsi il simbolo della compagnia alla quale appartenevano.
Nel Giardino delle delizie del 1503, Hieronymus Bosch raffigurò invece nell’inferno una donna adultera con una rana tatuata sul petto, simbolo di lussuria e del demonio. E un uomo schiacciato da un liuto appariva con una partitura musicale tatuata sul deretano. - Cook, l’inventore del tattoo
James Cook (nella foto) non solo contribuì alla rinascita del tatuaggio in ambito occidentale, ma fu anche colui che “inventò” il termine con il quale oggi è conosciuto.
Nel 1771, di ritorno da uno dei viaggi nei Mari del Sud, l’esploratore, oltre a riportare un uomo completamente ricoperto di quegli strani segni, introduceva nei dizionari dell’epoca anche la parola tattoo, mutuandola dal polinesiano tattaw a sua volta germinato per associazione onomatopeica con il ticchettio “ta ta ta” delle bacchette adoperate dagli indigeni per tatuare.
I simboli utilizzati dai polinesiani erano di due tipi: il wakahiro, esteso dalla vita alle ginocchia e che comprendeva anche le natiche e i genitali, e il moko, limitato alla faccia e realizzato per incisione. I disegni così solcati rappresentavano le gesta dei guerrieri, il luogo di nascita e la derivazione clanica.
5. Gli insospettabili americani, Churchill e lo zar Nicola II
- Gli insospettabili americani
Tra gli insospettabili tatuati c’è il settimo presidente degli Stati Uniti, Andrew Jackson (1767-1845), nella foto. Aveva un gigantesco tomahawk (ascia di guerra indiana) tatuato sul suo interno-coscia: anche se nessuno ne conosceva l’origine, è difficile non cogliere il legame con il suo mandato di governo.
Fu lui infatti a espropriare le terre dei Cherokee e a firmare l’Indian Removal Act, che gli storici definiscono “uno dei peggiori crimini della storia degli Stati Uniti” e che legittimò la deportazione dei nativi americani.
Jackson non fu l’unico presidente tatuato: Teddy Roosevelt sfoggiava sul petto l’emblema araldico della sua famiglia, tra le più antiche dello Stato di New York, rispettando così la sua immagine valorosa di uomo forte e talentuoso cacciatore.
Fu imitato dal suo discendente Franklin Delano per il quale il tatuaggio risultò piuttosto una beffa considerata la sua infermità, che lo costringeva su una sedia a rotelle. Ancora più stupefacente il caso dell’inventore Thomas Edison (1847-1931), sul cui avambraccio spiccava un misterioso disegno geometrico a cinque punte.
Sarà un caso, ma quando Samuel O’Reilly inventò la macchina per tatuare nel 1891 utilizzò la tecnologia svi- luppata proprio da Edison per una sua “penna elettrica”. - I tatuaggi di Churchill
Il primo ministro britannico Winston Churchill (1874-1965) vantava tra le sue molte eccentricità anche un tatuaggio: un’ancora sull’avambraccio, del tutto simile a quella di Braccio di Ferro.
Secondo alcuni si trattava di una “eredità” lasciata dagli anni passati come corrispondente tra Cuba, India e Sudafrica. Ma non è da escludere che si trattasse di un “vizio” di famiglia: sua madre, Jennie Jerome, possedeva un superbo serpente tatuato attorno al polso, sapientemente nascosto nelle occasioni ufficiali grazie a un grosso braccialetto. - Il drago dello zar
Il 29 aprile 1891 il futuro zar Nicola II in visita ufficiale a Kyoto, fu aggredito da uno dei poliziotti preposti alla sua scorta il quale, prima di essere neutralizzato, riuscì a ferire il sovrano, che ne rimase sfigurato.
L’imperatore Meiji espresse il proprio rammarico e un’ondata di dispiacere attraversò il Giappone. Toccò il culmine quando la giovanissima sarta Yuko Hatakeyama si tagliò la gola come atto di contrizione.
Sembra che fu proprio il gesto della ragazza, definita dalla stampa dell’epoca retsujo ovvero “valorosa”, a convincere Nicola a sottoporsi a una lunga e dolorosa tatuatura, dalla quale dopo sette ore di “agonia”, uscì con un maestoso drago sul braccio destro.
Note
TATUAGGIO: DALLA PREISTORIA AI MOVIMENTI UNDERGROUND
La pratica del tatuaggio ha attraversato i secoli e mutato il suo significato. Se in certe età era associata alla schiavitù, in altre era simbolo di ribellismo. O una forma di body art.
- 3.300 A.C.: Trovata la più antica testimonianza di un tatuaggio, sulla mummia del Similaun (Ötzi).
- 2.600A.C.: Nell’Egitto dei faraoni le donne si disegnano linee di punti e disegni sull’addome o sulla coscia, simbolo di fertilità.
- 1.200 A.C.: L’arte dell’henné e del tatuaggio si diffonde in Asia e Oceania.
- IV SECOLO - LA SVOLTA ROMANA: Costantino vieta la pratica barbara di tatuare gli schiavi.
- V SECOLO A.C. - IL TATTOO DELLA VERGOGNA: I Greci tatuano gli schiavi sulla fronte. Altri popoli si disegnano il polso per fini religiosi.
- 1300 - SIAMO DELLA STESSA CORPORAZIONE: Nel Medioevo c’è chi si tatua sulla pelle il simbolo della propria corporazione.
- 1771 - FASCINO ESOTICO: James Cook usa la parola tattoo, riprendendo il termine dai popoli dell’Oceania.
- 1891 - NUOVE TECNICHE PER TATUARSI: L’americano Samuel O’Reilly brevetta la sua macchina elettrica ad aghi per tatuare.
- 1910: Si diffonde negli Usa lo stile Old School: rose, pugnali e motivi religiosi.
- 1939: Le SS naziste si tatuano sul braccio sinistro gruppo sanguigno e numero di matricola.
- 1960 - LA NUOVA SCUOLA: A partire dagli Anni ’60 movimenti hippie e underground rilanciano la moda dei tatuaggi.
Alcuni links per approndire: