«Il ricordo più forte che ho nella memoria del viaggio sul KonTiki è l’oceano completamente libero per i 101 giorni di navigazione; non vedere nessun’altra imbarcazione né alcun segno dell’uomo. Come viaggiare in un tappeto magico nell’universo».
Sono passati vent’anni dalla morte del celebre esploratore norvegese. Passò alla storia perché costruiva barche come quelle dell’antichità con cui solcava gli oceani.
Così dimostrò che i popoli preistorici avrebbero potuto compiere esplorazioni a lungo raggio molto prima degli europei.
Thor Heyerdahl può essere considerato uno dei più grandi esploratori dei tempi moderni. Fu insieme geografo, biologo, antropologo, ma sopratutto l’uomo delle grandi imprese.
Uomo le cui gesta non erano solo imprese epiche mosse dalla sete di avventura, ma tributi fondamentali alla scienza.
1. Alla ricerca dell’Eden e ritorno in Europa
Thor Heyerdahl nacque a Larvik, nella Norvegia meridionale, a circa cento chilometri a sud di Oslo, il 6 ottobre del 1914.
Il padre era un mastro birraio, mentre la madre Alison era a capo dell’associazione del museo di Larvik.
Fu lei a sollecitare i precoci interessi naturalistici del figlio che già negli anni del liceo si dedicò a forme di escursionismo estremo.
All’università scelse Zoologia e Geografia: fu qui che incontrò Bjarne Kroepelien, un mercante che durante la guerra era stato a Tahiti e vi aveva sposato una principessa indigena, successivamente morta a causa dell’influenza spagnola.
Tornato a Oslo, Bjarne aveva cominciato a raccogliere libri sulla Polinesia: mise insieme 5mila volumi e furono questi ad accendere la curiosità del giovane Thor verso i piccoli atolli nel Pacifico.
Nella foto sotto, Thor Heyerdahl e la prima moglie Liv.
Poco dopo una sua docente, Kristine Bonnevie, gli fece ottenere i finanziamenti per la sua prima campagna di studi, indirizzata a studiare alcuni animali di Fatu Hiva, un’isola vulcanica nell’arcipelago delle Marchesi 1.500 chilometri circa a est di Tahiti.
Nel frattempo Thor aveva conosciuto Liv Coucheron Torp: i due si sposarono la Vigilia di Natale del 1936 e il giorno dopo partirono verso i mari del Sud. Lui aveva ventidue anni, lei ventuno.
Il loro obiettivo, Fatu Hiva, era all’epoca visitato una volta l’anno da un solo schooner, che vi si recava per portare via il raccolto di noci di cocco. Come lo stesso Heyerdahl scrisse più tardi, il piano era di restare lì per sempre.
Erano così convinti di andare verso una specie di Eden che non volevano portare con sé nessun attrezzo: a Tahiti vennero a fatica convinti a procurarsi almeno un machete e una pentola.
In effetti, ben presto i due furono minacciati dalle malattie tropicali. Sotto, Thor Heyerdahl con la seconda moglie Yvonne e le tre figlie Marian, Helene Elisabeth ed Anette.
Particolarmente insidiose erano le zanzare, portatrici di forme di filariosi linfatica, una malattia che si manifesta con gonfiori enormi dovuti al blocco del sistema linfatico. La giovane coppia dovette ridursi a vivere in una grotta, anche per l’ostilità crescente dei nativi, e alla fine tornare in Europa. Tuttavia Heyerdahl aveva notato sull’isola strane statuette che assomigliavano a gatti.
Poiché i gatti non vi erano presenti prima dell’arrivo degli europei, Thor aveva chiesto spiegazioni a un uomo indigeno, Tei Tetua, e in particolare da dove veniva il suo popolo: «Da Te Fiti (dall’Est)» rispose Tei Tetua, «indicando quella parte dell’orizzonte dove sorge il sole, una direzione nella quale non c’è altra terra tranne l’America meridionale», come Heyerdahl scrisse in seguito.
Fu così che nacque l’ipotesi dell’origine amerinda delle popolazioni della Polinesia. I coniugi Heyerdahl tornati in Europa ebbero due figli, Thor jr. e Bamse. Poi arrivò la guerra e l’invasione nazista: Thor si unì alle forze della resistenza nell’estremo Nord della Norvegia negli ultimi due anni del conflitto.
Nel frattempo maturava in lui l’idea di dimostrare che la Polinesia era stata colonizzata da antiche popolazioni provenienti dall’America.
Oggi l’ipotesi è stata definitamente confutata delle indagini genetiche, ma all’epoca Thor Heyerdahl (1914-2002) era ancora sostenibile: l’unico ostacolo era proprio la convinzione che nessuna imbarcazione “primitiva” potesse solcare il Pacifico per 4mila miglia dal Perù fino alla Polinesia.
2. Nell’oceano con il Kon-Tiki
Heyerdahl voleva sfatare questo preconcetto e nel 1947 organizzò una spedizione particolare.
Utilizzando informazioni provenienti da cronache spagnole, costruì, assieme ad altri cinque membri dell’equipaggio, una zattera a vela simile a quelle degli abitanti precolombiani delle coste cilene.
Era fatta di 9 tronchi di albero di balsa lunghi fino a 14 metri e del diametro di circa 60 cm, legati insieme con liane vegetali del diametro di circa 30 mm.
Altri elementi traversali in balsa, lunghi oltre 5 metri, garantivano la rigidità trasversale necessaria. I sei uomini della spedizione avevano solo una piccola capanna al centro della zattera come rifugio, poche spanne sopra il livello del mare.
Non c’erano murate attorno allo scafo né altre forme di protezione. L’imbarcazione era volutamente rozza e poco manovrabile perché la tesi di Heyerdahl era che i viaggi di colonizzazione fossero avvenuti per caso.
La notizia del viaggio era stata molto enfatizzata dalla stampa locale e perciò il 28 aprile del 1947 una folla numerosa si era ammassata sui moli di Callao, in Perù, per veder partire la bizzarra imbarcazione (chiamata Kon-Tiki) al traino del rimorchiatore Guardian Rios, offerto dalla Marina, che li avrebbe accompagnati per tutta la prima notte di viaggio.
«Guardammo con un senso di trionfo e di sollievo la zattera di legno salire sulle prime onde minacciose che arrivavano verso di noi cariche di schiuma», scrisse poi Heyerdahl.
Ma il Kon-Tiki non era un buon veliero: non appena il vento rinforzava tendeva a uscire di rotta, costringendo tutti e sei gli uomini a una dura lotta per mantenere la direzione.
Mentre le montagne del Perù svanivano «in densi banchi di nubi a poppa» la zattera entrò nella corrente di Humbolt, che scorrendo verso ovest avrebbe notevolmente facilitato il viaggio: il Kon-Tiki infatti si muoveva alla velocità media di appena 1,5 nodi, ossia 2,7 chilometri all’ora.
La fatica del timonare una imbarcazione così poco “marina” si fece presto sentire durante i turni: quando arrivava il momento del cambio gli uomini si precipitavano nella piccola cabina, si legavano una corda attorno a una gamba per essere sicuri di non essere portati via dal mare e piombavano addormentati con ancora i vestiti bagnati addosso prima ancora di riuscire a infilarsi nei sacchi a pelo.
Il 2 luglio la zattera corse un grave pericolo perché nonostante il mare calmo e il tempo tranquillo venne improvvisamente colpita in rapida successione da tre misteriose onde anomale.
Col passare delle settimane le legature delle liane persero la loro rigidità: «Divenne pericoloso scivolare tra due tronchi di balsa», notò Heyerdahl nel suo libro, «perché si correva il rischio di restare schiacciati quando i due tonchi tornavano a cozzare insieme con violenza».
Dopo 93 giorni di viaggio, gli uomini del Kon-Tiki avvistarono l’isolotto di Puka Puka, ma le correnti marine impedirono loro di avvicinarsi. Finalmente, dopo un altro avvistamento, il Kon-Tiki andò a incagliarsi il 7 agosto sulla scogliera corallina dell’atollo di Raroia, 750 chilometri a est di Tahiti.
Dopo qualche giorno, l’equipaggio venne raccolto dagli abitanti dell’isola e messo definitivamente in salvo. Tornato in Europa, Heyerdahl divenne famoso per il suo viaggio. Scrisse un libro di successo da cui fu tratto un documentario che vinse l’Oscar nel 1952.
Sotto, Thor Heyerdahl con la terza moglie Jaqueline.
3. Alle Galapagos e a Pasqua
Dopo il successo della spedizione del Kon-Tiki, nel 1953 Heyerdahl ne organizzò un’altra alle Galapagos, per dimostrare che potevano essere state raggiunte anch’esse dalla costa americana.
Fu la prima spedizione archeologica sull’arcipelago ed effettivamente vi furono trovati reperti (tra cui un flauto pre-inca) che dimostrarono la validità della tesi di Heyerdahl.
Fu lui stesso, però, ad ammettere che non potevano esserci stati insediamenti durevoli perché l’acqua sull’arcipelago è potabile solo nella stagione delle piogge.
Intanto proseguì la sua attività di archeologo organizzando un’importante spedizione sull’isola di Pasqua nel 1955–56, che ebbe il merito di chiarire molti dei misteri dell’isola.
Dopo lunghe e attente ricerche sia archeologiche sia sociologiche, Heyerdahl giunse alla conclusione che l’isola era stata colonizzata inizialmente da un gruppo umano proveniente dalle coste americane, gli Hanau Epe (“Lunghe orecchie”).
Verso il XVI secolo arrivò un secondo gruppo, gli Hanau Momoko (“Corte orecchie”) da ovest. Tra i due gruppi era scoppiata una guerra; seguendo i racconti orali da lui raccolti, Heyerdahl rintracciò il grande fossato difensivo scavato dal gruppo dominante degli Hanau Epe per difendersi dai nemici.
Secondo le leggende, questo fossato era stato riempito di materiale incendiario a cui gli Hanau Epe diedero fuoco durante l’attacco degli Hanau Momoko: ma questi riuscirono comunque a superare l’ostacolo e a vincere la guerra. Effettivamente, gli archeologi ritrovarono resti di materiale combusto.
Molti anni dopo, nella seconda metà degli anni Ottanta, Heyerdahl ritornò sull’isola per studiare i moai, le colossali e tipiche statue dell’isola di Pasqua, e dimostrò con una serie di prove pratiche come la loro realizzazione e il loro trasporto non richiedessero quell’incredibile quantità di tempo e di energie che tutti fino a quel momento avevano ritenute necessarie.
Sotto, Thor Heyerdahl. riceve l’Oscar per il film originale Kon-Tiki.
4. La Ra, barca di papiro
Durante il primo soggiorno sull’isola di Pasqua, Heyerdahl e la sua squadra avevano notato incisioni che rappresentavano imbarcazioni in giunco: ciò fece nascere nell’esploratore norvegese l’idea che gli oceani potevano essere stati solcati con questi mezzi anche prima dell’arrivo degli occidentali.
Per mettere alla prova questa teoria, nel 1969 Thor fece costruire al Cairo, proprio in vista delle piramidi, un’imbarcazione in papiro (il materiale veniva dall’Etiopia) battezzata Ra, come il dio egizio del Sole.
La barca venne costruita da maestranze del Ciad e poi trasferita alla città di Safi in Marocco.
Il viaggio nell’oceano fu però sfortunato: le vettovaglie vennero stivate sul lato di sopravvento per bilanciare la spinta del vento, ma in realtà il loro peso si aggiunse a quello dell’acqua portata dagli spruzzi, facendo assumere all’imbarcazione uno sbandamento costante di circa 30° sulla destra.
Inoltre il progettista, ispirandosi alle illustrazioni delle piramidi, aveva creduto che la corda ben visibile sopra gli scafi tesa da poppa a prua avesse una funzione esclusivamente ornamentale: invece Heyerdahl e i suoi scoprirono ben presto che aveva la fondamentale funzione di tenere la poppa ben alta sopra l’acqua.
Senza di essa, col passare dei giorni, la poppa si abbassava sempre di più, lasciando passare le onde. Gli uomini tentarono inutilmente di porvi rimedio legandovi l’unica zattera di salvataggio a loro disposizione.
Quando la Ra si trovava a 600 miglia dalla Barbados arrivarono anche gli squali, rendendo la situazione insostenibile: la barca viaggiava ormai a pelo d’acqua. Superò a stento un’ultima tempesta prima che arrivassero i soccorsi a salvare l’equipaggio.
Heyerdahl costruì immediatamente una seconda imbarcazione in papiro, questa volta utilizzando le capacità di tre artigiani del lago Titicaca (Demetrio, Juan e José Limachi), che in quegli anni realizzavano ancora barche con quella tecnica, e questa volta il successo fu trionfale.
La Ra II arrivò alle Barbados dopo 57 giorni di navigazione, percorrendo 6.100 chilometri di oceano e dimostrando che teoricamente le antiche popolazioni avrebbero potuto raggiungere l’America molto prima di Colombo.
5. Con la Tigris fino in Pakistan
Sempre più convinto che la tecnologia delle imbarcazioni di giunco potesse aver permesso alle antiche civiltà viaggi fino a quel momento insospettati, nel 1976 Heyerdahl costruì in Iraq un’imponente imbarcazione, lunga 18 metri – la Tigris – e con essa viaggiò assieme a dieci compagni a est fino al Pakistan e poi a ovest fino in Africa, a Djoubai (all’imboccatura del Mar Rosso). Qui, per protesta contro tutte le guerre, la Tigris venne data alle fiamme il 3 aprile 1978.
Gli anni successivi videro ancora l’esploratore norvegese impegnato in numerose spedizioni non convenzionali: alle Maldive (1981-1984) dimostrò che già 2mila anni prima di Cristo le isole erano punto di passaggio per navigatori provenienti dalla terraferma e diretti in India.
Nel 1994 studiò le Piramidi di Tucumè (Perù) e poi eseguì scavi nelle isole Canarie; agli inizi degli anni 2000 ad Azov, in Russia, si mise alla ricerca delle origini dei popoli vichinghi. La sua salute però peggiorava: aveva acquistato una casa nei pressi di Andora, in Liguria, e qui morì nel 2002 a 86 anni di età.
Curiosità: Ecco l’equipaggio del Kon-Tiki
Oltre a Thor Heyerdahl, gli altri membri della spedizione erano:
- Erik Hesselberg (1914–1972): marinaio e anche artista, si incaricò di dipendere l’immagine del dio Kon-Tiki sulla vela della zattera.
- Bengt Danielsson (1921–1997): era un sociologo svedese che durante il viaggio si occupava delle provviste e anche di tenere i contatti con i cileni, dato che era l’unico a parlare spagnolo.
- Knut Haugland (1917–2009): era un ex partigiano norvegese e si occupava delle comunicazioni radio, assieme a Torstein Raaby (1918–1964), un altro partigiano che aveva combattuto contro i nazisti (in particolare, aveva guidato i bombardieri inglesi che avevano affondato la corazzata Tirpiz).
- Herman Watzinger (1916–1986): era un ingegnere addetto alla raccolta delle misurazioni scientifiche, particolarmente importanti dato che la regione di oceano attraversata dal Kon-Tiki era ancora quasi sconosciuta. A bordo c’era anche una mascotte, un pappagallo di nome Lorita, che però morì durante la traversata.