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Thor: la divinità germanica dalla forza sovrumana e dall’appetito insaziabile

L’ultimo a «resistere» e a fronteggiare l’avanzata del cristianesimo nelle terre del Grande Nord fu Thor.

Il suo antico culto continuò a trova­re dimora nel sentimento religioso di alcuni popoli germanici, anche dopo la loro conversione portata a compimento nell’Età di Mezzo.

Forse perché era il dio delle persone comuni, che in un’immaginaria elezione di un parlamento sacro – come ipotizzò lo storico tedesco Rudolf Pòrtner – «avrebbe concentrato su di sé gran parte dei voti».

Questa popolarità, in alcuni casi, lo portò a rivestire il ruolo di vero e proprio re del pantheon nor­dico, a scapito del genitore Odi­no, il cui profilo aristocratico di sovrano, guerriero scelto, mago e poeta affascinava categorie più ristrette di fedeli, spesso d’élite.

Non a caso nel celebre tempio pa­gano svedese di Uppsala, in base ai resoconti del vescovo Adamo di Brema (XI secolo), la statua del dio con il martello occupava una posizione centrale, mentre le immagini di Odino e Freyr l’affian­cavano, rispettivamente sulla de­stra e sulla sinistra.

Chioma e barba fiammeggianti, forza sovrumana e appetito insaziabile: sono alcune delle prerogative di Thor, uno dei più celebri protagonisti del pantheon scandinavo.

Che, in realtà, fu molto più dell’eroe giusto e invincibile rievocato dai fumetti e dal grande schermo, tanto da costituire un serio ostacolo alla cristianizzazione del Grande Nord.

 

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1. Un castello di 540 stanze

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Thor era figlio di Odino e di Jörð, una divinità della terra.

Spo­satosi con Sif, una dea bellissima chiamata «la Sibilla», ebbe due figli: una femmina, Thrùd, futura Valchiria e un maschio, Mòdi, che eredi­terà parte dei poteri paterni.

Aveva anche un altro discendente diret­to, Magni, concepito, però, fuori dal matrimonio con la gigantessa Járnsaxa.

Thor, come Odino, apparteneva alla famiglia degli Æsir, gruppo domi­nante nell'universo religioso ger­manico rispetto agli storici rivali e in seguito amici Vanir.

La letteratura e l'immaginario popolare lo raffigura­rono nella storia come un uomo mu­scoloso, con chioma e barba di colore rossovivo.

Lo ritrassero sempre con il martello in mano (Mjöllnir). i guanti in ferro (Járngreipr) e una speciale cintura (Megingjörð) dispensatrice di forza fìsica aggiuntiva. Il micidiale martello Mjöllnir emetteva fulmini e aveva le proprietà di un boomerang: se lanciato, tornava subito indietro tra le mani del padrone. Proverbiale era anche la dimora di Thor, ad Asgard, un immenso e luminoso castello chiamato Bilskirnir, che conteneva 540 camere. 

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Per viaggiare si serviva di un carro, trainato da due capre (Tanngnjóstr e Tanngrisnir), in grado di solcare il cielo. Aveva un appetito sovrumano che lo portava a divorare ogni gior­no interi buoi, decine di salmoni, accompagnati da botti di idrome­le. Mangiava talvolta anche le sue capre, senza però intaccarne le os­sa e la pelle, condizione necessaria affinché Tanngnjóstr e Tanngrisnir potessero resuscitare il giorno dopo.

Spesso portava con sé anche un servitore, Tjhàlfi, addestrato anch'egli per farsi valere in batta­glia. Quando, invece, doveva af­ frontare lunghi viaggi particolar­mente insidiosi, si faceva accom­pagnare dall'astuto Loki, divinità ambigua della quale, in seguito, sarebbe diventato nemico.

Il cliché del martello Mjöllnir, della cintura magica, della forza e delle altre conclamate capacità so­vrumane non fornisce l'immagine più autentica dal punto di vista storico-mitologico del «dio del tuo­no».

A partire proprio da questo at­tributo si può procedere all'identifi­cazione di un profilo che si innesta in un patrimonio religioso comune ad altre culture, lontano dall'imma­gine del «supereroe» trasposto nei fumetti e sul grande schermo.

I fulmini che sprizzano dalla sua arma, infatti, rappresen­tano la potenza dell'energia celeste pronta a scagliarsi contro i demoni del caos e dell’oscurità, come la fol­gore della divinità induista Indra e di quella iranica Mitra.

Qua sotto, particolare del bassorilievo raffigurante la saga del dio Thor, figlio di Odino, su una pietra runica, da Sanda, Gotland (Svezia). Epoca vichinga. Stoccolma, Historiska Museet.

 

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2. Un Giove del Nord?

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Tacito, invece, nella Germania, met­te in relazione Thor con il semidio Ercole della popolazione nordica dei Suebi, munito di bastone e non di martello.

Altre similitudini lo avvicinano a Giove, che in alcuni racconti in lingua anglosassone dell'VIII secolo risulta citato con il nome di Thunor, l'espressione in inglese antico con cui si identifica anche lo stesso Thor.

Il nome Tho'rr in norreno (l'an­tica lingua vichinga) significa «tuono». E l'immagine del dio che attraversa il cielo su un carro ri­echeggia tuttora nell'etimolo­gia di alcune parole scandinave che descrivono quel fenome­no atmosferico.

Nelle regioni della Svezia orientale, per esempio, è in voga ancora l'espressione àsen kör (letteralmente «il dio (ase) guida il carro») per indicare che in realtà «sta tuonando». In norvegese, invece, il fragore del tuono viene ben descritto dal voca­bolo toredonn, ossia «colpo di Thor».

Le saette che sca­turiscono dal mar­tello segnano non solo l'ingresso in battaglia contro le forze demoniache del caos, ma assicu­rano, allo stesso tempo, prosperità ai raccolti attra­verso la pioggia. Thor, pertan­to, incarna anche la funzione di dio della fertilità, senza però detenere alcun potere «germinatore» diretto. Il suo interven­to dirompente crea solo le con­dizioni ideali per un abbondan­te sfruttamento del terreno.

Qua sotto, tappezzeria ricamata, di produzione svedese, con scena agreste in cui compaiono, forse, Odino, Thore Freyja. Tardo XII sec.


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Thor si serve dei suoi poteri e delle sue armi per combat­tere soprattutto i giganti, che spesso insidiano il regno di­vino di Asgard. Uno tra i più insidiosi - come narrato nella prima parte dell'Edda in prosa, il Gylfajinning (L'inganno di Gylfi) - si presenta un giorno al cospetto degli Æsir trave­stito da maestro artigiano. Con grande astuzia, riesce a concludere un accordo, in base al quale avrebbe otte­nuto la mano della bella dea Freyja, oltre al sole e alla lu­na, come corrispettivo alla costruzione di un castello.

Nonostante l'opera sia di dif­ficilissima realiz­zazione, il miste­rioso visitatore proce­de in modo spedito con i lavori, servendosi dell'ausilio di un solo cavallo. Ma non riuscirà a portarli a termine, perché ingannato, alla fine, da uno dei tipici stratagemmi messi in atto da Loki. Sentendosi raggirato, il pro­digioso costruttore getta allora la maschera e si inalbera a tal punto da rendere necessario l'intervento di Thor.

Grazie al martello Mjöllnir, il dio del tuono fracassa il cranio del gigante «e lo spedì giù nella Niflhel», «l'Inferno delle nebbie», negli abissi della terra. Più spesso Thor combatte contro nemici «titanici» nel­la loro terra, situata a Oriente.

La gran parte dei racconti contenuti nell'Edda narra di lunghi viaggi, come quello che culmina con lo sconfina­mento nel territorio del gi­gante Geirrøðr, il «Principe dell'oltretomba». In quell’oc­casione Thor è costretto a combattere senza il proprio consueto equipaggiamento, ma alla fine riesce, comun­que, ad avere la meglio.

 

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3. Comiche circostanze e il martello rubato

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Talvolta, nelle saghe e nei poemi, la figura di Thor as­sume sembianze curiose, che rasentano la comicità.

Proverbiale, in questo sen­so, come narrato nel Gylfaginning, è l'episodio del gigante Skrymir, che Thor cerca in ogni modo di ucci­dere nel sonno a bastonate, con risultati, tuttavia, mise­ri per un campione della sua forza.

All'ennesimo colpo in testa, infatti, il gigante apre gli occhi, avvertendo soltanto un legge­ro solletico: «Ma­ledizione a quegli sporchi uccelli che stanno appollaiati sull'albero - esclama -. Mi sono appena accorto, nel dor­miveglia, che questi disgraziati straccioni mi hanno fatto piovere addosso le loro sozzure attraverso i rami!».

Nel corso di una serie di giochi disputatisi nella terra dei gigan­ti, poi, Thor non riuscì a vuotare una cornucopia piena di birra in un solo sorso, subendo lo scher­no dei presenti: «Ma voi non siete un uomo!». In più si mostrò in­capace di afferrare una vecchia e di sollevare da terra un gatto. In realtà, però, il re dei giganti aveva barato con lui.

La birra, per esem­pio, conteneva il flusso del mare; la vecchia, invece, rappresentava l'inevitabile scorrere degli anni; mentre dietro all'identità del gat­to si nascondeva il più grande e feroce serpente dell'universo, il Miðgarðsormr (nella foto sotto, Thor e Hymir mentre affrontano il Miðgarðsormr).

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Lo stesso filo d'ironia pervade l'episodio descritto in uno dei bra­ni più celebri dell'Edda poetica, il Thrymskvida (Il carme di Thrymr). L'intera vicenda ruota intorno al tema del furto del martello di Thor da parte del gigante Thrymr, che lo aveva nascosto ben otto leghe sotto terra.

Per riscattare la preziosa arma il ladro chiede un pegno in natura: la mano dell'irresistibile Freyja, per nulla convinta di accettare la propo­sta. È cosi che i capi di Asgard pen­sano a uno stratagemma: vestire da donna Thor e spacciarlo proprio per la bellissima dea della seduzione. Il travestimento, seppur perfetto, in­genera qualche dubbio in Thrymr, che rimane stupito dalla voracità con la quale la ragazza trangugia buoi e salmoni.

Il gigante, inoltre, si spaventa per il bagliore fiammeggiante che emette lo sguardo della sua futu­ra sposa, ma, nonostante tutto, non intende rinunciare alle noz­ze. Il rito che prevede la benedi­zione della coppia con il martello di Thor, però, non avrà mai luogo: nel giorno del matrimonio, il dio del tuono, giunto a poca distanza dalla sua arma, l'afferra, e uccide Thrymr all'istante.

Alcune superficiali analisi stori­co-mitologiche interpretarono alla lettera il furioso litigio tra Odino e Thor, descritto nell'Hárbarðsljóð (Il canto di Hàrbard), ipotizzando uno scontro tra culti. In quel contesto, le due divinità discutono con una certa animazione, vantandosi l'un l'altro di possedere qualità supe­riori. Odino, soprattutto, af­ferma di rappresentare i nobili che cadono in bat­taglia, le arti, le lettere, e bolla il collega come il dio della «razza dei servi­tori», simile al contadino rozzo, laborioso e poco in ­cline alla guerra.

Nelle intenzioni dell'autore, però, screzio al vertice di Asgard rivestiva un caratte­re allegorico, come sottolineato da uno dei più in­signi studiosi di civiltà indoeuropee, Georges Dumézil: «Si è voluto vedere in questo un docu­mento dal quale traspare un con­flitto di culti, una rivalità di gruppi religiosi, il regredire o il progredire di uno dei due dèi nel favore dei fedeli.

È certamente falso, come lo sono le conclusioni analoghe tratte talvolta a proposito degli inni dia­logati omologhi del Rg Veda, dove il sovrano Varuna e il guerriero Indra si rivolgono frasi agrodolci. Nei due casi, i poeti hanno soltan­to utilizzato lo schema del dialogo, i mezzi della scherma verbale, per far risaltare meglio le differenti na­ture dei due dèi e i servizi diversi, talvolta contrari, che essi rendono in luoghi diversi di una medesima struttura teologica stabile».

 

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4. Un dio «conservatore» nemico dei missionari

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La figura di Thor appare affine alla dimensione della Sippe, ossia a quello spirito comunitario che presso i popoli del Nord era fonda­to su un legame di tipo familiare.

Odino, invece, sembra incarnare maggiormente - come sostiene la filologa germanica Gianna Chiesa Isnardi - «il modello dei comporta­menti del comilatus», ovvero di «un nucleo di persone, ribelli alla tra­dizione comunitaria, che, unendo i propri sforzi per il conseguimento di un'affermazione personale, seguivano un condottiero con il qua­le condividevano il proprio ideale di vita».

Con Thor, insomma, la tra­dizione assestava gli ultimi colpi di coda, tentando di rigenerarsi «dal basso», a partire dalle consuetudi­ni sociali più diffuse. Non a caso quel dio con il martello era adorato soprattutto in Islanda, la cui sto­ria medievale venne segnata dalla massiccia immigrazione di coloni norvegesi, desiderosi di restaurare nella loro nuova patria l'antico pa­trimonio di usi pagani.

Anche dal punto di vista carat­teriale le differenze tra le due prin­cipali divinità di Asgard si rivelano marcate. Odino appare sempre con un'espressione severa e non si mo­stra mai magnanimo. Thor, al con­trario, pur inalberandosi facilmen­te, si mostra capace di perdonare, come riportato nel Gylfaginrting: in quell'occasione graziò un contadi­no che aveva spezzato l'osso della coscia delle sue due capre. In cam­bio, però, chiese all'uomo di conse­gnargli i figli, Thjalfi e Ròskva, che diventarono i suoi schiavi.

Qua sotto, il cosiddetto "martello di Thor". Epoca vichinga. Liverpool, City Museum.

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Thor, più di Odino, quindi, risulta­va connesso a una serie di antiche usanze popolari, messe fuorilegge dai cristiani, che continuavano tut­tavia a garantire il funzionamen­to e gli equilibri del vivere civile. Anche per questo il suo culto ave­va radici più solide.

«Un cambia­mento degli dèi - osserva lo storico danese Johannes Brøndsted - al vertice della società poteva avveni­re senza troppe difficoltà, ma più in basso, nella scala sociale, ogni nuova religione che tentasse di in ­ taccare anche consuetudini e pra­tiche (basate sulle più elementari esigenze della vita e su tutta una millenaria esperienza) era destina­ta a incontrare resistenza per cosi dire naturale». Ecco perché i mis­sionari considerarono quel dio che sprizzava saette come il loro avver­sario principale.

Eppure, nel Medioevo, vi fu un tempo in cui i simboli della croce e del martello si sovrapposero in quelle terre settentrionali. Forse in seguito a una scelta strategica dei vescovi i quali, per rendere più agevole la penetrazione del nuovo verbo messianico nelle comunità vichinghe, si convinsero a tollerare e ad accogliere il culto di Thor.

Qua sotto, tavola a colori raffigurante Freyja. XIX sec. In un episodio dell'Edda poetica, il gigante Thrymr, dopo aver rubato il martello di Thor, chiede la mano della bellissima dea in cambio della restituzione del maltolto. I capi di Asgard fingono di accettare, ma spacciano Thor per la giovinetta, e il dio del tuono, alla fine, recupera la sua arma e uccide Thrymr.

 

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5. Una fede in bilico e l'ultima apparizione

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Il caso di Helgi, uno dei protagonisti del Landnàmabók (Il libro dell'insediamento), non fu, infatti, isolato: «Egli credeva in Cristo, ma invocava Thor per i viaggi in mare e per ottenere coraggio. Quando Helgi fu in vista dell'Islanda, consultò l’oracolo di Thor, per sapere quale terra dovesse occupare, e l'oracolo gli indicò la ter­ra settentrionale della regione».

La fede più profonda di Helgi, però, era tutta per Cristo. Il dio del tuono, invece, rappresentava la so­pravvivenza di consuetudini civili. Per il germanista Marco Scovazzi «il ricorso all'usanza pagana è da attribuirsi esclusivamente a esigen­ze pratiche, di natura giuridica».

Se Helgi avesse trascurato di consulta­re il dio, «i suoi possessi terrieri non sarebbero divenuti sacri alla sua persona, non avrebbero acquistato, cioè, quelle prerogative d'inviolabi­lità e di libera disponibilità che, so­le, valevano a trasformarle in una proprietà effettiva».

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, il culto di Thor venne estirpato dai missionari e dai re cristiani con decisione, senza alcun riguardo per le vecchie tradizioni. Cosi, il sovra­no Olaf II Haraldsson di Norvegia, per convertire i pagani fece ricorso a metodi bruschi, spesso intimidatori, nonché a veri e propri miracoli.

Una volta, venendo a sapere che ogni se­ra i suoi sudditi mettevano cibo da­vanti a una statua di Thor, ordinò ai soldati di fare a pezzi quel simulacro. Dai frammenti dell'immagine del dio uscirono topi, vermi e altri tipi di animali, convincendo cosi gli inorri­diti spettatori del prodigio a cambia­re le proprie credenze.

Con la piena conversione di tut­to il mondo germanico, la figura di Thor venne sempre più spesso paragonata a quella di un essere demoniaco. Nell'islandese Flateyjarbók (Libro dell'isola piatta) si assiste alla sua ultima apparizione letteraria: un affascinante stranie­ro si trovava a bordo di una delle navi che il re di Norvegia Olaf II utilizzava per le missioni evange­lizzatrici in giro per la Scandinavia e aveva intrattenuto molti membri dell'equipaggio con racconti sug­gestivi.

L'eco di quelle narrazioni era giunto all'orecchio anche del sovrano, che, incuriosito, convocò il forestiero. L'uomo, che portava una folta barba rossa, fissò il mo­narca negli occhi e, dopo averlo elogiato, lo ammoni: «Ora sembra che tu abbia l'intenzione di ripu­diare Thor. Bada a te, re Olaf!».

Secondo la tradizione norrena nella battaglia finale tra le forze della luce e quelle del caos, il co­siddetto Ragnarök, Thor abbatté il serpente Midgardsormr, ma cad­de anche lui, ucciso dal veleno del mostro.

Qua sotto, La lotta di Thorcon il serpente di Midgard. Olio su tela di Johann Heinrich Fùssli (1741-1825). 1788. Londra, Royal Academy of Arts.

 

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Note

COSMOLOGIA NORDICA

I nove mondi del Nord

L’universo della mitologia nordica è composto da nove mondi. C’è il regno di Midgard, la «terra di mezzo» in cui vivono gli uomini.

Asgard è, invece, il luogo di residenza degli dèi, unito alla terra attraverso il Bifròst, il ponte dell’arcobaleno.

Jòtunheimr è il mondo dei giganti di roccia e ghiaccio, mentre gli inferi si trovano nel sotterraneo regno di Hel.

A sud è situato, poi, Muspellsheimr, dove vivono i giganti del fuoco.

Gli elfi chiari abitano a Àlfheimr, quelli scuri, invece, a Svartàlfheimr. Nidavellir è, infine, il regno dei nani.

Tutti i mondi sono collegati tra loro attraverso l’albero della vita, l’Yggdrasill.

 

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