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Tirchi o spreconi? Una questione di famiglia

Il nostro rapporto con il denaro non è governato dalla razionalità, come siamo portati a credere: dipende piuttosto dal luogo e dalla famiglia in cui siamo nati e dalla nostra personalità. E da quanto sappiamo evitare trappole e tranelli emotivi in agguato intorno a noi e dentro di noi.

C’è chi vive in funzione del denaro e fa di tutto pur di accumularne e c’è chi sembrerebbe invece totalmente indifferente al potere dei soldi.

C’è chi dilapida interi patrimoni, chi dona quel poco che ha e chi fa dell’avarizia il suo modo di vivere.

Insomma, il nostro rapporto con il denaro è davvero vario, ma qualunque sia dice molto di noi.

1. L’importanza delle origini e le componenti individuali

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I fattori che determinano il nostro rapporto con il denaro sono tanti. Il primo è il luogo in cui siamo cresciuti.

Nei Paesi anglosassoni e in particolare negli Stati Uniti, per esempio, accendere un mutuo oneroso per pagarsi l’Università è pressoché la norma.

Altrove sarebbe impensabile. Cambia infatti la percezione del futuro e la fiducia che si ripone nelle proprie potenzialità. Chi investe denaro per pagarsi un master ha sia una visione ottimista del futuro, che deriva dalla cultura del luogo in cui vive, sia una buona autostima.

Di contro, le mogli dei pescatori dei Paesi mediterranei, soprattutto in passato, dovevano mettere oculatamente da parte i loro soldi: non per avarizia, ma perché non sapevano quando i mariti sarebbero tornati a casa portando altre risorse.

Quello che abbiamo imparato in famiglia e il sistema di valori che ci è stato trasmesso sono altri fattori fondamentali. Genitori molto attenti all’ordine e maniaci dell’igiene tendono a esercitare un controllo rigoroso sui comportamenti, i sentimenti e anche sulla gestione economica.

I figli saranno quindi tendenzialmente oculati risparmiatori. Genitori più prodighi, invece, avranno trasmesso ai propri figli valori totalmente diversi, spesso favoriti da condizioni economiche agiate.

Non dover centellinare i soldi per fare la spesa determina un atteggiamento diverso nei confronti del denaro rispetto a chi deve fare “i conti della serva” per tirare avanti.

«C’è chi ha bisogno di comunicare il proprio potere e la propria forza attraverso il denaro», dice Nicola Ghezzani, psicoterapeuta, scrittore e autore di L’ombra di Narciso (Franco Angeli).

«Esibire quanto si è ricchi è un modo per mettere al bando vulnerabilità e insicurezze. Il denaro è rassicurante, soprattutto se non si posseggono altri strumenti in grado di arricchirci, come cultura, fantasia, relazioni sociali. Il desiderio dell’accumulo di soldi in questo caso è legato al bisogno di colmare altri vuoti e di farsi valere a livello sociale.
Chi, invece, fa mostra di avere più soldi di quanti ne possieda è in genere un narcisista che ottiene il proprio credito sociale esibendo ciò che i soldi permettono di acquistare.
Che poi dietro questa ostentata opulenza ci siano addirittura debiti da estinguere, al narcisista non interessa affatto».

A un’altra categoria appartengono in ne coloro che si mostrano indifferenti al denaro: «Quando c’è, lo spendono. Se non ne hanno, pazienza», prosegue Ghezzani.

«Sono gli “artisti della vita”: coloro che sanno apprezzare i singoli momenti e vivono all’insegna del piacere, collezionando esperienze gratificanti, a prescindere dal costo economico.
A volte sono decisamente spendaccioni e nei casi più gravi dilapidano interi patrimoni. I tirchi, al contrario, spesso avari di emozioni e tendenzialmente privi di empatia, esercitano un controllo ferreo su tutto, compreso ovviamente il denaro».

2. Differenze di genere e bando agli eccessi

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«Per gli uomini», prosegue Ghezzani, «denaro è uguale a potere e riproduce esattamente l’atto di procurarsi da mangiare nella preistoria.

Ora come allora, ciò implica competere con i propri simili e accettare una sfida.

Una volta acquisito, il denaro diventa strumento di potere e genera la fantasia dell’autosufficienza: una sorta di autarchia in grado di garantire un’indipendenza assoluta, emancipandosi dagli altri esseri umani».

Le donne ragionano in tutt’altro modo. «In linea di massima sono meno interessate al potere e al denaro; quelle che ne sono assetate, nella maggioranza dei casi, lo ottengono aderendo al classico stereotipo della donna: attraendo a sé un uomo facoltoso», conclude il nostro esperto.

Ritenere il denaro di per sé negativo e fonte di tutti i mali possibili non denota certo un atteggiamento equilibrato, ma può arrivare a comportare una forma di emarginazione dalla società. L’equazione è presto fatta: niente soldi, niente contatti sociali.

Vivere con il minimo indispensabile disprezzando il denaro vuol dire spesso isolarsi, adottando stili di vita severi che alla lunga possono diventare poco sostenibili e indurre depressione.

Ma anche l’eccesso di prodigalità può essere sintomo di un disturbo psicologico psicologico di tipo compulsivo. Il discorso vale anche per lo shopping.

Gli esperti concordano sul fatto che non riuscire a resistere alla tentazione di comperare di continuo è spesso sinonimo di depressione, ansia o vuoti affettivi da colmare.

3. Razionali, ma non troppo

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Tutti noi siamo convinti di mettere in atto lucidità e razionalità in materia di denaro e di questioni economiche. Ma secondo gli esperti ciò non è vero affatto.

Contrariamente a quanto siamo abituati a credere, le decisioni economiche che prendiamo ogni giorno non riguardano solo il denaro, ma sono dettate da svariati motivi immateriali - che non per questo sono meno influenti - come evitare perdite o rimpianti.

Questi motivi coinvolgono sentimenti come la paura, l’invidia, la rabbia, la frustrazione e l’orgoglio. Lo hanno capito bene gli uffici marketing delle grandi aziende, capaci di sfruttare abilmente i consumatori proprio per i loro “limiti di razionalità”.

Per questo nei supermercati caramelle e cioccolatini sono alla cassa e gli scaffali sono pieni di offerte 3x2 che invitano a spendere di più. Tutto ciò dipende da come è fatto il nostro cervello dove molto di quanto accade avviene in maniera automatica e del tutto inconsapevole.

L’economista Vernon Smith, premio Nobel 2002, ha spiegato che se tutti i processi inconsapevoli dipendessero da un atto di concentrazione razionale e volontario, passeremo la vita a fare calcoli, senza arrivare al dunque.

Non saremmo in grado neppure di gestire una banale spesa al supermercato. Invece, il nostro cervello è “ecologico”, cioè limita i processi mentali troppo dispendiosi dal punto di vista energetico e applica la regola degli “automatismi mentali”: dove non riesce ad arrivare il ragionamento, le emozioni agiscono da scorciatoie cognitive.

Ciò non significa però fare sempre la scelta più sensata e razionale. Un esempio? La cosiddetta fallacia dello scommettitore scaturisce dall’errata rappresentazione mentale di un meccanismo interamente governato dal caso.

A ogni giro di roulette la probabilità di un particolare esito è sempre la stessa, eppure si è irrimediabilmente attratti da quei numeri che tendono a non uscire mai.

4. Amigdala e carte di credito

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  • Se siamo avversi alle perdite, è colpa dell’amigdala
    È dimostrato che la perdita di una somma, qualunque sia, pesa nella nostra mente assai più della vincita della stessa somma.
    Cioè: se la mattina perdiamo 100 euro e nel pomeriggio ce ne cadono inaspettatamente dal cielo altrettanti, non siamo comunque soddisfatti.
    La bilancia torna in equilibrio se la somma piovuta dal cielo è compresa tra i 225 e i 250 euro. In circa 35 anni di ricerche nelle scienze cognitive applicate all’economia, il rapporto 1 a 2,25-2,50 tra guadagni e perdite è tra i più consolidati. Il fenomeno psichico si chiama avversione alle perdite.
    Partendo da questo presupposto 8 neuroscienziati cognitivi dell’Università San Raffaele di Milano hanno fatto una ricerca sulle basi cerebrali di questa avversione, arrivando a una conclusione.
    Responsabile dell’avversione è un’area molto antica del cervello, l’amigdala, essenziale per riconoscere i pericoli e preparare in tempi rapidissimi l’organismo a reagire.
    L’amigdala è la sede della memoria della paura e... dell’avversione alle perdite.
  • Le carte di credito? Ci anestetizzano
    Pagare con carta di credito modifica l’atteggiamento che abbiamo rispetto alle spese.
    Le carte rendono la transazione astratta e riducono significativamente l’attivazione di quella parte del nostro cervello sensibile al dolore della perdita.
    Come se la carta di credito anestetizzasse i neuroni deputati a intercettare l’emozione negativa associata a un pagamento per sostituirla con le sensazioni positive legate al piacere dell’acquisto.
    Due ricercatori del Mit di Boston hanno monitorato un’asta in cui venivano offerti biglietti per un’importante partita di basket.
    Risultato? Chi pagava con carta di credito era disposto a offrire il doppio rispetto a chi pagava in contanti. Stesso discorso per le banconote: spendere una banconota da 20 euro in una volta è diverso da spendere per 20 volte 1 euro.
    A piccole dosi il dolore della perdita è meno intenso e rende più difficile resistere a una gratificazione immediata in vista di un risparmio futuro.





5. Attenti alle trappole

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Quando parliamo di soldi, le trappole in cui rischiamo di cadere possono diventare tranelli pericolosi. Riconoscendole impareremo a proteggerci.

  1. Effetto cornice
    I primi a investigare l’effetto cornice furono gli scienziati della Stanford University in California già negli anni Settanta, seguiti da numerosi altri che hanno avvallato le loro ipotesi.
    "Siamo al supermercato e ci sono numerosi articoli in offerta secondo la formula 3x2. La cornice in questo caso è il presunto risparmio, che non è reale in quanto comprando 2 articoli invece di 1 spenderemo comunque di più".
    Anche modi diversi di proporre (cornice) una medesima spesa possono indurre reazioni differenti, modificando le nostre prospettive di acquirenti.
    Prendiamo per esempio il ticket d’ingresso che gli automobilisti devono pagare per entrare in città a Milano.
    Siamo meglio disposti a pagare il ticket se ci viene presentato come tassa che andrà ad arricchire le casse del Comune oppure come il primo passo di un ampio progetto ecologista a tutela della salute pubblica?.
  2. Il passato e l’orgoglio
    Questo caso si verifica quando si resta agganciati a scelte del passato e sia per timore sia per orgoglio non si ammette lo sbaglio.
    Facciamo un esempio: «Abbiamo già pagato un abbonamento annuale a un campo da calcetto al chiuso, sborsando una quota supplementare rispetto a quella richiesta per un campo scoperto, e in piena bella stagione rinunciamo ad affittare un campo all’aperto per non sostenere altre spese, ma soprattutto per non invalidare la nostra scelta precedente».
  3. Meglio un uovo oggi di una gallina domani
    Ci focalizziamo su gratificazioni immediate e non sul valore di un beneficio futuro potenzialmente vantaggioso. Immaginiamo di decidere se ricevere 1.000 euro ora o 1.100 tra una settimana.
    La maggior parte di noi sceglierebbe senza esitazione la somma disponibile subito.
  4. Effetto gregge
    Se lo fanno tutti gli altri, sarà la decisione giusta. Ciò accade anche con la gestione del denaro. Nel mondo della finanza, infatti, molti investitori tendono a conformarsi, più o meno consciamente, all’andamento del mercato.

PER APPROFONDIRE: Matteo Motterlini, Trappole mentali. Come difendersi dalle proprie illusioni e dagli inganni altrui.








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