La notizia è di quelle che accendono la speranza di migliaia di famiglie.
Un bimbo di quattro anni, ricoverato all’Ospedale Bambino Gesù di Roma per una leucemia linfoblastica acuta di tipo B cellulare, che non si riusciva a curare con le terapie convenzionali, è stato sottoposto a una terapia genica sperimentale.
A fine gennaio (2018) è stato dimesso dall’ospedale perché non aveva più cellule leucemiche nel midollo.
Ora sta bene, anche se i medici dicono che è ancora troppo presto per avere la certezza della guarigione.
La cura che gli è stata somministrata si chiama terapia genica con cellule modificate CAR-T e il piccolo è stato il primo paziente italiano curato con questo approccio rivoluzionario all’interno di uno studio accademico, promosso dal Ministero della Salute, dalla Regione Lazio e dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (AIRC).
Ma, potremo mai combattere i tumori come un’infezione? Scopriamolo insieme.
1. I precedenti e come funziona la cura
- I precedenti
Il caso del bimbo di quattro anni, ricoverato all’Ospedale Bambino Gesù di Roma per una leucemia linfoblastica acuta di tipo B cellulare non è però il primo nel mondo.
La terapia era stata sperimentata per la prima volta con successo nel 2012, negli Stati Uniti, da ricercatori dell’Università di Pennsylvania su una bambina di 7 anni con leucemia linfoblastica acuta, ricoverata al Children Hospital di Philadelphia, e poi su altri pazienti.
I risultati positivi hanno portato pochi mesi fa la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia del governo statunitense che si occupa di disciplinare l’immissione dei prodotti farmacologici e alimentari sul mercato, ad approvare il primo farmaco a base di CAR-T.
Tuttavia, i medici e i ricercatori di Roma hanno sperimentato per la prima volta al mondo una variante della terapia CAR-T, che aiuta i pazienti a fronteggiare meglio gli effetti collaterali e rappresenta quindi un ulteriore passo avanti nella ricerca scientifica mondiale.
- Come funziona la cura
Si chiama immunoterapia e consiste nel riprogrammare geneticamente le cellule del sistema immunitario del paziente (i linfociti T), per renderle capaci di riconoscere e attaccare il tumore.
Dal sangue del paziente si estraggono i linfociti T e in laboratorio si modifica il DNA di queste cellule, inserendovi una sequenza che codifica per una molecola, chiamata CAR (Chimeric Antigen Receptor), che funziona da recettore delle cellule leucemiche, cioè le individua e le attacca.
I linfociti modificati vengono fatti moltiplicare in laboratorio e poi reinfusi nel sangue del paziente, dove si attivano contro le cellule tumorali, eliminandole.
Nel DNA dei linfociti, però, i ricercatori italiani per la prima volta hanno inserito anche un altro gene, chiamato Caspasi 9 Inducibile (iC9), una sorta di “gene suicida” che si attiva solo se qualcosa va storto, per esempio se compaiono effetti collaterali indesiderati: il gene iC9 allora blocca i linfociti modificati.
2. La ricerca continua e i bisturi del genoma
- La ricerca continua
La cura sarà sperimentata a breve anche su un adolescente affetto dalla medesima malattia e su una bambina colpita da neuroblastoma, il tumore solido più frequente nei primi cinque anni di vita.
Secondo Franco Locatelli, direttore del dipartimento di onco-ematologia pediatrica, terapia cellulare e genica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, «siamo in una fase preliminare che ci obbliga a esprimerci con cautela. Ci conforta poter contribuire allo sviluppo di queste terapie anche nel nostro Paese e immaginare di avere a disposizione un’arma in più per quei pazienti che hanno fallito i trattamenti convenzionali o che per varie ragioni non possono avere accesso al trapianto».
- I bisturi del genoma
Il caso del piccolo curato a Roma ci dimostra che oggi la ricerca di nuove terapie per la lotta ai tumori si compie su scala molecolare, sfruttando le più avanzate conoscenze nel campo della genetica.
La vera rivoluzione degli ultimi anni nella ricerca medica e biologica è CRISPR-Cas9, una tecnica messa a punto nel 2013 da Jennifer Doudna, dell’Università di Berkely, ed Emmanuelle Charpentier, dell’Università di San Francisco, oggi sempre più usata nella terapia genica per eliminare geni difettosi nel DNA e sostituirli con quelli sani: una sorta di “taglia e cuci” che trova applicazione nello studio dei tumori e di molte malattie genetiche.
Tuttavia, CRISPR-Cas9 fa anche errori e quando è applicata nel tentativo di curare una malattia non modifica solo i geni implicati nella patologia, ma agisce anche su altri siti del DNA causando effetti imprevedibili.
A risolvere il problema ci ha pensato il Centro di biologia integrata (CIBIO) dell’Università di Trento, che ha sviluppato e brevettato evoCas9, una variante della molecola, pubblicando a gennaio uno studio su Nature Biotechnology.
Anna Cereseto, biologa molecolare coordinatrice della ricerca, ha spiegato: «La nostra intuizione è stata di fare evolvere Cas9 (da qui il nome evoCas9) in cellule non batteriche, i lieviti, che sono molto più vicine a quelle umane. Qui l’abbiamo fatta diventare un’arma di precisione, un enzima che colpisce in un punto desiderato il DNA e risparmia tutto il resto. Questo renderà il suo impiego nella clinica finalmente sicuro».
Nella foto i Linfociti T attaccano una cellula tumorale (in rosa). L’immunoterapia consiste nel modificare geneticamente i linfociti T per renderli più capaci di riconoscere e distruggere i tumori.
3. La droga dei tumori e spingere le cellule al suicidio
- La droga dei tumori
Un gruppo di scienziati della Columbia University di New York, guidati dagli italiani Antonio Iavarone e Anna Lasorella, studiando il glioblastoma, il più aggressivo e letale dei carcinomi cerebrali, ha invece scoperto il difetto genetico che alimenta diversi tumori.
Hanno trovato che la fusione tra i due geni FGFR3 e TACC3 è la causa del 3 per cento dei glioblastomi e del 3 per cento di molti altri tipi di carcinomi.
L’alterazione dei due geni scatena infatti un’attività abnorme dei mitocondri, gli organelli che producono l’energia dentro alla cellula, e l’eccesso energetico alimenta la moltiplicazione e la diffusione incontrollata delle cellule tumorali.
Si tratta ora di sviluppare farmaci bersaglio contro il malfunzionamento dei mitocondri. Le prime sperimentazioni in provetta e sui topi mostrano che si può interrompere la produzione di energia e fermare il tumore.
Nella foto in alto a sinistra il glioblastoma, il più aggressivo e letale dei carcinomi cerebrali alla risonanza magnetica.
- Spingere le cellule al suicidio
Una proteina è invece il bersaglio di un’altra strategia per combattere il cancro.
Negli Stati Uniti, al Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston, è stata progettata una molecola capace di bloccare la proteina MCL-1 che fa crescere le cellule tumorali.
Di solito, quando una cellula accumula troppi errori nel proprio DNA, si dà la morte da sola, una sorta di suicidio che viene chiamato apoptosi.
Tuttavia, alcune cellule cancerose, proprio grazie alla proteina MCL- 1, non si suicidano e continuano a crescere in modo incontrollato.
Bloccando la proteina, il suicidio programmato della cellula tumorale è di nuovo possibile.
4. È in via di sperimentazione il vaccino contro il melanoma
Alcuni studi sul melanoma, il più aggressivo tumore della pelle, segnano importanti passi avanti.
Scienziati del Dana-Farber Cancer Institute di Boston (Usa) hanno somministrato dei vaccini a sei pazienti già operati di melanoma a rischio di recidiva.
Dopo più di due anni, quattro di loro non hanno avuto recidiva, mentre gli altri due, nei quali il tumore si è ripresentato, sono guariti completamente dopo un’ulteriore terapia a base di anticorpi che hanno stimolato il loro sistema immunitario.
In Italia, l’Istituto di chimica biomolecolare del Cnr, assieme alla Clinica interna e sperimentale dell’Università della Campania e al Centro di eccellenza per le ricerche biomediche dell’Università di Genova, ha identificato un componente vegetale estratto da microalghe marine e piante terrestri da usare per la preparazione di vaccini antitumorali.
Su un modello di melanoma in provetta, la sostanza attiva alcune cellule del sistema immunitario potenziando le difese naturali dell’organismo contro il tumore.
5. La prevenzione passa dall’intestino
Dopo il progetto genoma, che ha permesso di identificare i circa 25mila geni umani, oggi la medicina punta al microbioma, il patrimonio genetico di batteri, funghi e virus che popolano il nostro organismo.
Concentrati soprattutto nell’intestino, formano il microbiota.
Sembra che la comparsa o meno di molte malattie, compresi i tumori, dipenda dal delicato equilibrio della nostra flora intestinale.
Gli scienziati stanno cercando di capire quale potrebbe essere la composizione del microbiota sano, ancora non definita.
Esistono dei batteri che degradano il muco intestinale (la prima barriera di difesa dell’intestino) spianando la strada ad altri batteri, come per esempio un tipo particolare di Escherichia coli oppure il Bacteroides fragilis, che rilasciano sostanze tossiche (genotossine) capaci di sviluppare la crescita delle cellule tumorali.
Aumentare nel nostro intestino la concentrazione di batteri che producono muco intestinale o che rilasciano acidi grassi a catena corta, potrebbe avere un effetto protettivo contro i tumori.
Ci aiuta una dieta con alimenti fermentati (yogurt, kefir, miso) e ricca di fibre e vitamine provenienti da verdura, frutta, cereali integrali, olio extravergine d’oliva.