È un divo, protagonista di film, libri, videogiochi, serie televisive. Un’icona, citata da intellettuali e saggisti.
È il cattivo della saga di Jurassic Park, protagonista nei romanzi di fantascienza Quintaglio Ascension Trilogy di Robert Sawyer.
Fa capolino nelle discussioni pubbliche, quando è necessario apostrofare qualcuno come particolarmente brutale. Non si tratta di un attore o del solito influencer di YouTube, ma del Tyrannosaurus rex. La superstar dei dinosauri.
Così presente nell’immaginario collettivo che l’American Museum of Natural History di New York gli ha dedicato una gigantesca mostra, aperta l’11 marzo 2019 e che chiuderà i battenti il 9 agosto 2020, che riassume e presenta tutto quello che la scienza sa del T. rex.
Che non sia solo la scienza a occuparsene lo dimostra il fatto che di recente un fossile è finito su eBay per la modica cifra di 2,95 milioni di dollari: chi può, si piazza così un cucciolo di tirannosauro in salotto (nonostante le proteste dei paleontologi).
«Negli ultimi dieci-vent’anni ci sono state moltissime scoperte su questa specie, che hanno arricchito e a volte rivoluzionato quello che sappiamo. E non solo sul tirannosauro, ma anche sull’ambiente dove viveva, e soprattutto sui suoi antenati», spiega Mark Norell, responsabile della sezione di paleontologia dell’American Museum of Natural History.
Merito soprattutto della grande quantità di fossili che abbiamo: oltre cinquanta scheletri di T. rex, alcuni quasi completi, che ne hanno fatto uno degli animali preistorici più conosciuti.
Il T. rex affascina, intriga, spaventa. Perché è una delle creature più micidiali che siano mai esistite. Ecco tutti i suoi segreti.
1. Un animale differente
Fino a qualche decennio fa, il tirannosauro era considerato un rettile lento e ottuso, con la lunga coda che si trascinava per terra e il cervello poco più grande di una nocciolina.
Secondo alcune interpretazioni al massimo poteva nutrirsi di carogne.
Ora però, grazie a una serie di progetti di ricerca innovativi che vanno dalla crescita ossea alla bio-meccanica, siamo in grado di ricostruire un ritratto più fedele di questa enorme macchina di distruzione.
Era infatti il superpredatore del Nord America Occidentale, sicuramente uno dei più potenti del pianeta, e le sue caratteristiche erano evolute per seminare il terrore. Nel Nord America, ai vertici della catena alimentare, il T. rex non aveva rivali.
Secondo uno studio di Stephen Brusatte e Thomas Carr, arrivò probabilmente dall’Asia e forse tolse spazio ai tirannosauridi locali, di cui non c’è traccia dopo il suo arrivo sulla scena americana.
Prima c’era per esempio un “cuginetto” nell’attuale provincia canadese dell’Alberta, Albertosaurus. Era un po’ più piccolo del T. rex, ma gli somigliava molto, con l’andatura bipede e i piccoli arti anteriori.
Forse dominava gli ecosistemi nel suo territorio e probabilmente cacciava in branco, come scoperto dal paleontologo Philip Currie.
La parte che colpisce di più del T. rex è la grande testa, costituita da ossa forti, con parecchi “fori” che ne alleggerivano il peso senza indebolirne la resistenza agli stress scatenati dai morsi.
Aveva più o meno le dimensioni di una Smart; soltanto il cranio misurava circa un metro e mezzo dalla punta del muso all’orecchio.
Le mascelle erano armate da una cinquantina di denti conici robusti, appuntiti e leggermente ricurvi verso l’interno: il tirannosauro non masticava le prede, ma ne staccava la carne a pezzi.
Un gruppo di ricercatori ne ha ricostruito digitalmente la mascella, basandosi su caratteristiche muscolari dei lontani parenti di oggi, come uccelli e coccodrilli.
In questo modo è riuscito a dimostrare che il morso del tirannosauro poteva esercitare una forza di oltre 34.700 Newton (circa 3.500 kg di forza). Il campione dei giorni nostri, il coccodrillo marino australiano, è potente meno della metà.
«Il morso del tirannosauro era così forte e devastante che la preda colpita letteralmente esplodeva», spiega Norell. Tutto il corpo andava in mille pezzi, e si pensa che il T. rex inghiottisse anche le ossa spezzate. Un comportamento tipico di carnivori di oggi come i lupi e le iene.
2. Grandi, famelici ed efficienti
La testa era sorretta da un collo corto e tozzo, come quello di un culturista; a controbilanciare il capo c’era una coda appuntita tenuta orizzontale.
La pelle era spessa e squamosa. Le sue dimensioni e la sua struttura fanno pensare che l’animale non potesse inseguire le prede a lungo, come fanno i lupi, ma agisse all’agguato, un po’ come le tigri attuali.
Non correva molto velocemente: non superava i 19 km l’ora (l’inseguimento alla jeep in Jurassic Park non era possibile, quindi). A una velocità superiore, le ossa si sarebbero spezzate.
Anche così, però, il tirannosauro era già abbastanza potente da nutrirsi di altri grossi dinosauri erbivori. Gli scienziati hanno stimato quanto cibo fosse necessario per sfamare un T. rex adulto.
Se avesse avuto un metabolismo da rettile, gli sarebbero bastati 5,5 kg di carne al giorno. Poca roba. Se invece, come ipotizzano altri, fosse stato una creatura con il sangue a temperatura costante come noi (e dunque più simile agli uccelli che ai rettili), avrebbe avuto bisogno di circa 111 kg di cibo al giorno.
Più o meno la stessa quantità di carne che consumano quotidianamente tre o quattro grossi leoni maschi. Per procacciarsi così tanto cibo il tirannosauro era aiutato da sensi molto sofisticati.
Come negli uccelli (discendenti da parenti del tirannosauro), il cervello era piuttosto complesso, con aree grandi ed efficienti. L’orecchio interno era proprio di un animale più piccolo e agile.
Aveva quindi un ottimo senso di equilibrio e un buon udito, oltre che un ottimo olfatto. Insomma, per le prede era difficile sfuggire a questo carnivoro in caccia.
Forse solo gli animali di minori dimensioni potevano pensare di nascondersi. A questi, però, pensavano i piccoli e i giovani del tirannosauro: «Accade anche ad alcuni rettili ai giorni nostri, come il drago di Komodo», dice Norell.
«I giovani tirannosauri erano più snelli e agili, e potevano nutrirsi di prede molto più piccole e veloci di quelle catturate dagli adulti. Man mano che crescevano, aumentavano le dimensioni degli animali; diventavano più potenti ma lenti, e le prede che uccidevano erano molto più grosse».
Si pensa quindi che i giovani avessero nicchie ecologiche diverse dagli adulti.
3. Piume per stare al caldo
Pulcini e giovani avevano un’altra caratteristica, scoperta solo in questi ultimi anni: erano coperti di piume.
Ciò cambia molto l’immagine del tirannosauro come rettile con tutta la pelle a scaglie.
Nella mostra dell’American Museum of Natural History, il pulcino del tirannosauro assomiglia più a un minuscolo e soffice struzzo che a una giovane lucertola. Ha il capo piuttosto grosso, e tutto il corpo coperto di piume sottili.
«Sappiamo che i tirannosauri primitivi (i prozii del T. rex, come il grosso predatore Yutyrannus) avevano piume semplici, quindi l’interpretazione più ragionevole è che anche T. rex ne avesse», dice Stephen Brusatte, paleontologo dell’Università di Edimburgo (Uk), esperto di storia dei teropodi.
«Ma sarebbero state piume semplici e filamentose. Non usate ovviamente per il volo, ma forse per aiutare a mantenere caldo il corpo nei giovani».
Perché, dice Brusatte, come abbiamo visto si sospetta che la specie avesse il sangue a temperatura costante. Le penne avevano forse una funzione diversa negli adulti.
«Per analogia con specie odierne, si pensa che essere coperti di penne non fosse una buona idea: i grossi animali infatti hanno problemi a perdere calore», conclude Norell.
Forse quindi negli adulti erano presenti sulla nuca e in fondo alla coda, con funzione di esibizione sessuale o territoriale, come in tanti uccelli.
4. Le origini
E la storia degli antenati del tirannosauro è altrettanto ricca.
Più della metà della diversità biologica della “stirpe familiare” dei tirannosauri (circa venti specie, dal minuscolo Kileskus al grosso Appalachiosaurus) è stata infatti scoperta solo dopo il 2000.
«Il tirannosauro è uno degli ultimi dinosauri apparsi di un gruppo in gran parte costituito da predatori (i teropodi) che si è originato circa 230 milioni di anni fa», chiarisce Norell.
I primi rappresentanti della superfamiglia Tyrannosauroidea erano specie come Guanlong (nella foto piccola in alto a sinistra) e Juratyrant, che si nutrivano probabilmente di lucertole, piccoli mammiferi, pterosauri, o altri dinosauri erbivori che inseguivano nei boschi del Giurassico circa 170 milioni di anni fa.
Vivevano rispettivamente nell’attuale Cina e in Inghilterra. I primi erano piccoli e veloci; alcuni avevano solo le dimensioni di un lupo, con le braccia abbastanza lunghe da afferrare la preda. Nei 100 milioni di anni successivi la storia della superfamiglia è diventata un intricato cespuglio di specie.
E si pensa che alcuni cacciassero in gruppo. È il caso di Albertosaurus, di cui è stata scoperta una sorta di fossa comune e a cui sono state attibuite impronte di animali che camminavano insieme.
Inoltre, il paleontologo Alan Titus ha trovato i fossili di quattro individui, altri membri della famiglia dei tirannosauri: ipotizza che siano morti e vissuti assieme, anche se li sta ancora studiando.
Da lì ad “assegnare” ai parenti del T. rex una vita più o meno sociale il passo è breve. Non tutti concordano; ma se così fosse la famiglia intera sarebbe ancora più affascinante. Il “cespuglio evolutivo” ebbe anche una chiara tendenza. Le specie, tutte carnivore, crebbero in grandezza.
Come dice Norell, «Il trend di aumento di dimensioni delle specie nella superfamiglia è reale, ed è comune anche ad altri dinosauri. Si è andati da specie piccole e rapide ad altre molto più grosse e potenti». Fino ad arrivare, meno di 70 milioni di anni fa, a lui, al divo: il T. rex.
Nella foto sotto, Dilong paradoxus visse circa 126 milioni di anni fa in Cina. Come molti primi tirannosauridi aveva braccia relativamente lunghe e in grado di catturare piccole prede
5. Braccia inutili?
Tra le caratteristiche di un animale potente come il tirannosauro, le minuscole braccia hanno sempre lasciati perplessi i paleontologi. Sono poco più gradi di quelle di un uomo, e non arrivano a toccarsi.
Che funzione abbiano, e com’è possibile che l’evoluzione le abbia prodotte, ha visto molte ipotesi nel tempo. Secondo alcuni studiosi pur essendo piccole erano molto robuste, e potevano strappare la pelle delle prede.
Altri ritengono che potessero servire almeno a immobilizzare le femmine, durante l’accoppiamento. Secondo Mark Norell, invece, l’origine è semplice, anche se la spiegazione è complessa.
«Le braccia non servono a niente, un po’ come l’appendice per l’uomo», dice il responsabile della sezione di paleontologia dell’American Museum of Natural History, «e non possono essere definite “piccole”».
Semplicemente, durante l’evoluzione che ha portato al tirannosauro, le braccia delle specie che si sono susseguite sono cresciute di dimensioni meno “rapidamente” del corpo. Il risultato è stato un temibile predatore, con le braccine piccole.
Curiosità: L’aumento di dimensioni e peso del tirannosauro, dall’uovo all’età adulta, è quasi esplosivo. La crescita raggiungeva in alcuni anni più di 2 chilogrammi al giorno. Si va così dai pochi chilogrammi del pulcino a quasi 8 tonnellate dell’adulto.
- Pulcino
Età: 4 mesi
Peso: 3 kg
Lunghezza: 1 m
- Giovane
Età: 4 anni
Peso: 32 kg
Lunghezza: 6 m
- Adulto
Età: 28 anni
Peso: 5-7.000 kg
Lunghezza: 13 m