L’estinzione è un processo evolutivo che porta alla scomparsa di una specie o di una popolazione. Quando una specie si estingue, tutto il suo patrimonio genetico è perso per sempre. E' risaputo che le principali cause del pericolo d'estinzione degli uccelli ( e di tutti gli animali in generale) sono le continue trasformazioni del paesaggio, la progressiva scomparsa di ambienti naturali, la distruzione delle zone di transizione tra ambienti diversi, il degrado degli ambienti ecc.
Circa l'11% della superficie terrestre non coperta dai ghiacci è coltivata e più essa viene eccessivamente scavata più verrà corrosa e depauperata. Ogni anno si perdono quasi 11 milioni di ettari di terreno agricolo a causa dell'erosione, della desertificazione e dello sviluppo edilizio. La tendenza è chiara: sempre più persone hanno a disposizione terre sempre meno produttive a scapito delle possibilità di sopravvivenza di molti animali selvatici. Ogni anno vengono distribuiti sul suolo mondiale 1 milione di tonnellate di insetticidi e diserbanti, 200 gr per ogni essere umano. Questi veleni sono molto più efficaci di quanto un agricoltore potrebbe sperare o avere bisogno. Vengono utilizzati per proteggere i raccolti da insetti, funghi ed erbacce e naturalmente agiscono in questo senso. Ma nello stesso tempo uccidono anche molte creature innocenti e utili. Gli uccelli che vivono in zone coltivate sono spesso le prime vittime.
Almeno 5.400 specie di animali (un quarto delle specie di mammiferi e un ottavo di quelle di uccelli) sono oggi a rischio di estinzione, elencati nella Lista Rossa dall'Unione per la Conservazione della Natura (IUCN), sono a rischio di estinzione, rischiano cioè di sparire per sempre dalla faccia della terra. In Italia gli uccelli a rischio imminente di estinzione compresi nella lista rossa, include il grifone, il capovaccaio, l’aquila di Bonelli, il gipeto, il forapaglie comune e la bigia padovana. Secondo la LIPU-Birdlife Italia, l'ordine di uccelli a maggior rischio di estinzione nel nostro paese, sono gli Accipitriformi (nibbi, poiana, biancone, aquile, avvoltoi ecc.), con un tasso di specie a rischio estinzione che sfiora il 56,5%, seguito dall'ordine degli Anseriformi (oche, cigni e anatre) con un tasso che tocca il 55,6% delle specie a rischio.
Ma vediamo da vicino 5 bellissimi uccelli che rischiano seriamente l'estinzione ricordandoci costantemente che "l'estinzione di qualsiasi essere vivente è sempre un fallimento da parte di chi si autocelebra come la specie più intelligente sul nostro meraviglioso pianeta.
1. Aquila di mare dalla coda bianca
Fino a 2 secoli fa, incontrare l'Aquila di mare dalla coda bianca (Haliaeetus albicilla) lungo le coste rocciose dell'Europa settentrionale, era uno spettacolo abbastanza comune. Le fortezze di questi uccelli non erano costituite solamente dalle scogliere a picco sul mare, ma erano ampiamente diffusi, anche se in maniera irregolare, in quasi tutta l'Eurasia centrale e settentrionale, lungo le vallate dei fiumi e i laghi interni. L'Haliaeetus albicilla è l'aquila più grande d'Europa, con un'apertura alare di più di 2 m. Le sue ali possenti, ampie e lunghe, e la sua coda bianca, corta e cuneiforme, le danno una forma caratteristica, più pesante in confronto all'Aquila reale (che occupa in parte gli stessi ambiente), e più simile a un Avvoltoio.
Molte Aquile si nutrono sia di carogne sia di prede da loro stesse uccise, ma l'Aquila di mare è quella che, fra le altre specie europee, si ciba maggiormente di carogne. Il suo volo, pesante e lento, ha poco a che vedere con i fulminei attacchi lampo dell'Aquila reale, mentre la sua tattica di caccia confida più sulla sorpresa che non sulla velocità nel catturare ed uccidere la preda. Attualmente, la roccaforte dell'Aquila di mare è la costa frastagliata della Norvegia, dove le scogliere a picco sul mare fiancheggiano i fiordi desolati e brulli per migliaia di km. Il nido è costituito da un gran mucchio di sterpi e rami che vengono aggiunti di anno in anno, e può essere profondo 3 m e largo 2. Depongono 2 grosse uova bianche, covate soprattutto dalla femmina. La storia del declino dell'Aquila di mare in Europa, riflette il cambiamento dell'uso del territorio.
Questi rapaci cominciarono a sparire in Scozia quando le Highlands furono invase dagli ovini, alla fine del 700 e fino alla metà del 800. In un periodo in cui la gente veniva spostata in massa dalle campagne per far posto alle pecore, non c'è da stupirsi che le Aquile venissero soppresse senza scrupoli, con il fucile o con delle esche avvelenate. Poi gli insetticidi e i composti di mercurio entrarono nelle catene alimentari terrestri e acquatiche di cui le Aquile erano l'ultimo anello. Alcuni uccelli morirono, altri non ebbero più nidiate perché il DDT rendeva i gusci così fini da non poter sostenere il peso dell'uccello che covava. Nella maggior parte dei paesi Europei le Aquile di mare si contano a decine di coppie, eccetto in Norvegia, dove attualmente si riproduce il 45 - 60% dell'intera popolazione Europea di 500 - 750 Aquile.
2. Albatro
L'albatro codacorta o di Steller (Phoebastria albatrus) è un raro uccello marino del Pacifico settentrionale, descritto per la prima volta dal naturalista tedesco Peter Simon Pallas. Meno di un secolo fa nidificava a centinaia di migliaia sulle isole del Pacifico, a sud del Giappone e al largo delle coste di Taiwan. Attualmente ne restano poche migliaia di esemplari che si riproducono in non più di due posti e sono estremamente vulnerabili si alle minacce che vengono dall'uomo, come l'inquinamento, la caccia, la pesca eccessiva, sia ai pericoli naturali, da cui erano precedentemente protetti grazie al loro numero.
Il disastroso declino di queste specie è stato causato dal commercio giapponese di piume, che raggiunse punte altissime nel XIX secolo e all'inizio del XX. Le statistiche parlano chiaro. Nei 20 anni precedenti il 1900 furono catturati 5 milioni di uccelli, di cui 100.000 ogni anni solamente all'isola di Torishima. Le bianche piume del petto venivano spacciate per piume di cigno per l'imbottitura delle trapunte e dei cuscini. Le piume nere, invece, venivano messe in commercio e vendute come penne da scrivere. Oggi l'unico territorio di nidificazione che si conosca è Torishima, la più meridionale delle isole Izu, 520 km a sud di Tokyo.
Nel 1929 la popolazione di albatri era calata ai 1400 esemplari e solo 10 anni più tardi 30 - 50. Nel 1949, dopo la guerra, non si trovò neanche un albatro. L'anno successivo, invece, fu avvistato qualche nido e da allora una più efficace tutela della specie, considerata Monumento Nazionale, ha contribuito ad assicurare una lenta ma costante ripresa. Nel 1980 altri 35 uccelli furono trovati sull'isola di Minami-Kojima nelle Ryukyus meridionali. Da allora, grazie alle misure di protezione, il numero di questi uccelli è aumentato notevolmente, tanto che nel 2003 se ne contavano 1840 esemplari.
Gli adulti tornano a Torishima nel tardo settembre per riprodursi. Costruiscono i nidi in cespugli di erba alta nei punti più scoscesi, ignorando i nidi in cima alle scogliere degli albatri dai piedi neri (Diomedea nigripes) che sono molto più diffusi. Entrambi i genitori covano l'uovo, proteggendolo e allevando il pulcino. Gli adulti si cibano di calamari, pesci e crostacei e questi uccelli hanno la capacità di trasformare il cibo in olio che rimane nel loro stomaco per molti giorni e permette agli adulti di cercare il cibo il più lontano possibile. Gli albatri comuni necessitano di 8 - 9 anni per diventare adulti, spesso non si accoppiano ogni anno e hanno una vita lunga di alcuni decenni.
3. Colibrì
I Colibrì sono i più piccoli tra tutti i vertebrati (il più piccolo pesa meno di 2 gr) e sono talmente specializzati nel volo che le loro zampette si sono ridotte così tanto che essi non sono in grado nemmeno di camminarci sopra. I Colibrì costituiscono una delle più grandi famiglie di uccelli, e le 315 specie ad essa appartenenti, occupano tutti gli habitat nelle Americhe tropicali, dal deserto e fino alla cima delle montagne. Il Colibrì del Cile (Eulidia yarrellii) è l'unico uccello minacciato di estinzione in quanto la maggior parte del suo habitat naturale du convertito in aree agricole dall'uomo. E 'il più piccolo uccello che vive in Cile.
Vive principalmente ad altitudini inferiori ai 750 metri sul livello del mare , ma a volte è stato trovato anche sopra i 2000 m. I maschi misurano dagli 80 ai 90 mm di lunghezza mentre le femmine dai 70 agli 80 mm. Pesa tra i 2 e i 3 grammi. Questa specie sembra aver sempre avuto una distribuzione molto ristretta nella parte settentrionale del Cile, dove adesso si trova solo nelle valli coltivate dei Fiumi Azapa e Lluta e nei giardini della città di Arica e dei suoi contorni. Uccelli di questa specie sono stati segnalati occasionalmente a sud fino a un massimo di 130 km di distanza, a Cobija , e nel nord della provincia di Antofagasta.
Probabilmente una volta, questo Colibrì viveva in molte delle strette e fertili vallate che si aprivano la strada nel deserto e fu sterminato quando queste zone vennero messe a coltura. Fino al 1948 circa erano comuni all'interno della loro limitatissima ara di diffusione, ma a partire dal 1971 sono diventati molto più difficili da incontrare. Prima se ne vedevano molti esemplari, tutti insieme, sugli alberi in fiore della città di Arica, ma negli ultimi anni è diventato arduo vederne più di uno o due alla volta. Si possono ipotizzare varie cause circa il precipitoso declino del Colibrì del Cile. L'esistenza di questo stupefacente e minuscolo uccello dipende dalla disponibilità di grandi quantità di piccoli insetti e di nettare, ed appare assai plausibile che la coltivazione delle vallate (attuata con l'uso di prodotti chimici), abbia notevolmente alterato l'equilibrio preda-insetto proprio nello stesso momento in cui i fiori dei quali era solito nutrirsi, venivano sostituiti da piante coltivate povere di nettare.
Poi si possono aggiungere l'uso di pesticidi per combattere la mosca della frutta , e la concorrenza di altre specie più aggressive di Colibrì come ad esempio il Colibrì peruviano ( Thaumastura cora ). Un uccello come questo, tagliato fuori dalle sue radici naturali ed il cui habitat è andato interamente perso a favore della coltivazione, rischia seriamente l'estinzione se l'uomo dovesse cessare di fornire le risorse da cui ormai dipendono. Nell'anno 2007 la popolazione mondiale della specie è stato stimato in circa 1200 copie, distribuito così: 55% in Valle Azapa, e 45% nella Valle Vitor.
4. Condor
Il Condor è l'animale che meglio simboleggia lo stato selvaggio delle montagne. Questi splendidi avvoltoi, con un'apertura alare di 3 m, capaci di raggiungere una velocità di volo di 90 km/h ed altezze di 4600 metri, sorvolano senza alcuno sforzo, sfruttando le correnti del vento, enormi aree alla ricerca di cibo. Il Condor della California (Gymnogyps californianus) è un uccello appartenente alla famiglia dei Catartidi (o avvoltoi del Nuovo Mondo) che perlustra le montagne del Nordamerica occidentale fin dal Pleistocene (2 milioni di anni fa). In passato si spingeva a est fino alla Florida e a nord fino alla Columbia Britannica, mentre è attualmente confinato in 2 zone limitate della California: la costa e la Sierra Nevada.
Dagli anni 40 (quando si contavano intorno ai 60 - 100 esemplari selvatici) la popolazione del Condor diminuisce regolarmente. Nel 1983 ne esistevano ancora una ventina, che sono stati selvaggiamente decimati, nell'inverno 1984-85. All'inizio del 1986 esistevano solamente 2 Condor liberi e 24 in 2 zoo della California. In passato questi uccelli selvatici si aggiravano in un'area di 130.000 km2 nidificando ad attitudini dai 450 ai 1.400 m ed occupando un'area di riproduzione di circa 8.000 km2. Erano soliti nidificare nelle cavità di ripide rocce e si appollaiavano su alberi e rocce sporgenti.Crescere un pulcino era un'attività che richiedeva molto tempo e fatica e di conseguenza, ogni coppia non ne allevava più di uno ogni 2 anni.
Il recente declino è attribuito principalmente all'avvelenamento da piombo provocato dai pallini nelle carcasse degli animali uccisi di cui si cibano i Condor, ma anche nelle esche avvelenate, contenenti pericolose tossine, disseminate dagli agricoltori per i coyote che uccidono il loro bestiame. Gli ultimi 22 uccelli rimasti sono stati affidati al San Diego Wild Animal Park presso il Los Angeles Zoo. Grazie agli sforzi dei naturalisti volti a favorire la riproduzione in cattività e, a partire dal 1991, si sono reintrodotti alcuni capi in natura. Attualmente esistono 322 condor in vita, 172 dei quali in natura, tutti microchippati e costantemente monitorati. Può raggiungere l'età di 50 anni. Per molte tribù indiane il Condor della California era considerato una sorta di simbolo dell'immortalità.
5. Gru bianca siberiana o gru delle nevi
Nelle deserte distese della tundra siberiana, sopravvivono pochi superstiti di un meraviglioso uccello. Queste Gru (Grus leucogeranus) arrivano a maggio inoltrato, quando ancora la tundra giace sotto la neve, e utilizzano lo stesso nido per diversi anni consecutivi. I maschi adulti possono superare i 140 cm di lunghezza e pesare più di 10 kg. Maschio e femmina covano le 2 uova deposte e, per nasconderle, giacciono sul nido con le loro lunghe penne bianche, perdendosi totalmente nel vasto paesaggio di pozze ghiacciate e chiazze di neve non ancora disciolta. Dalle 2 uova deposte sopravvive soltanto un pulcino. Gli adulti si cibano di radici e tuberi che crescono nella tundra, ma i piccoli devono crescere il più presto possibile per imparare a volare e la loro dieta comprende prevalentemente piccoli roditori, rane ed insetti.
All'inizio di settembre la famiglia spicca il volo verso i quartieri d'inverno, dove si unisce ad altre Gru. In passato le Gru bianche nidificavano su tutta la tundra siberiana e probabilmente si spingevano ancora più a sud. Oggi esistono solo 2 zone di accoppiamento: tra i fiumi Yana e Kolyma nella siberia orientale, e sul tratto inferiore del fiume Ob. E' molto difficile trovare un nido di Gru siberiane in quanto sono animali estremamente diffidenti. Se sono disturbati spesso abbandonano il nido o se ne allontanano per un lasso di tempo così lungo, da permettere ai predatori di entrarvi e rubare le uova. Nei luoghi dove loro nidificano, è in aumento il numero delle renne e con queste aumenta il pericolo provocato da loro stesse, dai loro guardiani e dai cani.
La brevità dell'estate artica non permette alle Gru una seconda covata se la prima non giunge a buon fine. Negli anni 60, dopo 80 anni di abbandono, esse rioccuparono una zona a Buoratpu, in India e alcune sono state viste sulla riva iraniana del Caspio. Soltanto di recente, però, dopo molte supposizioni, è stato verificato che la maggior parte delle Gru ha i propri quartieri invernali lungo il fiume Yang-tze nella cina centrale. Nel 1983 la popolazione mondiale conosciuta fu raddoppiata, avendo scoperto che circa 800 esemplari svernarono sul lago Poyang, il lago di acqua dolce più grande della Cina. Attualmente la situazione è critica e il pericolo di estinzione di questo elegante e solitario uccello resta molto alto. Si stima che popolazione mondiale delle Gru siberiane nel 2010 si aggirava attorno ai 3.200-4.000 esemplari.