Hanno superato quota 200 mila i visitatori della mostra "La ragazza con l’orecchino di perla". Il mito della Golden Age da Vermeer a Rembrandt, inaugurata l'8 febbraio al Palazzo Fava di Bologna e prevista fino al 25 maggio.
La mostra, che concluderà proprio sotto le due torri il suo tour mondiale, passato anche da New York e Tokyo, ha registrato, infatti, una media di oltre 3000 biglietti venduti al giorno: numeri rilevanti, che hanno generato un significativo afflusso turistico nel capoluogo dell'Emilia Romagna, visto che il 70% delle visite arriva da fuori città.
Musica per le orecchie non solo degli hotel a Bologna, ma anche per quelle di bar, ristoranti, negozi e tutte quelle attività commerciali che risultano indirettamente beneficiate da mostre della risonanza di "La ragazza con l'orecchino di perla".
E ovviamente tra i beneficiari indiretti bisogna considerare anche quei siti internet che fanno da raccoglitori e intermediari tra i viaggiatori/utenti e le strutture sul posto: dai portali dei voli, come Volagratis, ai siti dedicati al pernottamento, come Venere.
Ma ne vale veramente la pena oppure si tratta di esposizioni che attirano i turisti con il nome di una grande opera e/o di un grande artista e, per il resto, offrono ben poco? E' purtroppo un vizio sempre più diffuso, ma, vi rassicuro, non è il caso della mostra bolognese, che ha potuto contare sui finanziamenti, tra gli altri, della Fondazione Carisbo, di Intesa Sanpaolo, Linea d’ombra e Segafredo Zanetti.
1. "La ragazza con l’orecchino di perla": il quadro
Nessuno conosce l’identità dell’avvenente fanciulla che si volge a guardarci con grandi occhi grigio-azzurri.
Il suo volto, intensamente illuminato, è messo magnifcamente in risalto dallo sfondo scuro e dal panno azzurro indossato intorno alla fronte come parte di quel copricapo in foggia di turbante che conferisce alla figura un’aria esotica. Il titolo di questa tela di Johannes Vermeer è suggerito dal grande orecchino la cui perla rifette la luce proveniente da sinistra, in alto, e, più tenuemente, il bianco del colletto sottostante.
Intorno al 1665 Vermeer dipinse diversi tronie (ritratti caratterizzati dal loro virtuosismo e la forte espressività) di cui questa fanciulla, una delle opere più amate dai visitatori del Mauritshuis, è sicuramente l’esempio più noto. I tronie, ritratti raffiguranti il volto di individui convenzionali o tipi più che di persone riconoscibili, sono un genere di arte popolare in voga nella pittura olandese del Seicento.
Il volto idealizzato della fanciulla e il suo insolito abbigliamento danno al dipinto un carattere di atemporalità, di mistero. Un’aura di pace e di armonia pervade l’immagine, che appare come un momento arrestato nel tempo. Il modo in cui la giovane donna, con la bocca appena schiusa, volge il capo per porgerci il suo sguardo oltre la spalla suscita in noi quasi la sensazione di aver disturbato i suoi sogni.
L’immagine stimola interrogativi e tale aspetto ha sicuramente contribuito alla straordinaria popolarità del più famoso dipinto di Vermeer. "La ragazza con l’orecchino di perla" è un ottimo esempio del virtuosismo pittorico di Vermeer. Il volto è modellato con vellutata morbidezza, cosicché il passaggio tra chiaro e scuro avviene con una delicata fusione; il turbante e gli abiti sono invece dipinti con un’infallibile pennellata libera ed espressiva.
Resi con la massima destrezza sono i piccoli rifessi di luce negli occhi della fanciulla, sul suo labbro inferiore e nell’angolo della bocca, dove appena un paio di tocchi rosa sovrapposti bastano a produrre l’effetto giusto. La fascia azzurra intorno al capo è dipinta con la tecnica del bagnato su bagnato; il pigmento utilizzato è il costoso blu oltremare, mescolato direttamente sulla tela e steso con vigorose pennellate semicircolari, chiaramente visibili.
Il colletto bianco evidenzia un impasto applicato ad ampie pennellate, mentre la giacca è abbozzata piuttosto sommariamente, anch’essa con la tecnica del bagnato su bagnato. Le sue ombre fanno pensare a una stoffa spessa e alquanto rigida.
Vermeer era ben consapevole degli effetti tonali prodotti dal colore della modellazione sottostante, che traspariva qua e là attraverso la superfcie, perciò realizzò le ombre del volto utilizzando una base rossa e bruna, sovrappose i passaggi di luce a un caldo strato color panna e dipinse le ombre del turbante e di altre parti dell’abito sopra uno strato nero.
Quindi, mediante un’alternanza di materia opaca e materia trasparente, ottenne che il colore degli strati sottostanti fosse più o meno visibile. Anche lo sfondo scuro è dipinto sopra una base nera; Vermeer applicò poi una velatura finale verde traslucida che il tempo ha molto scurito.
2. La "Ragazza con l’orecchino di perla": da buon affare a icona
La provenienza della "Ragazza con l’orecchino di perla" rimase oscura fino al 1881, quando comparve in una vendita all’Aia dove veniva messa all’asta la collezione di un certo signor Braams.
Victor de Stuers (1843-1916), importante storico d’arte, riconobbe la qualità del dipinto e consigliò all’amico Arnoldus des Tombe (1818-1902) di acquistarlo. I due decisero di non contendersi l’opera con progressivi rialzi in modo da non suscitare sospetti. Des Tombe riuscì ad aggiudicarsi il quadro per due soli fiorini, più trenta centesimi per commissione d’acquisto: un incredibile affare!
Il nuovo proprietario affidò a un pittore di Anversa l’incarico di restaurare la tela, danneggiata dalla grave incuria. Des Tombe, che apparteneva a una famiglia illustre, era sposato con la nobildonna Carolina Hester de Witte van Citters (1820-1901); la coppia, tuttavia, non aveva figli. La loro residenza, non lontana dal Mauritshuis, era arredata come un museo ed era aperta al pubblico. Nel 1885 un altro consulente di Des Tombe, Abraham Bredius
(1855-1946), futuro direttore del Mauritshuis, fu il primo a elogiare apertamente "La ragazza con l’orecchino di perla".
Alla morte di Des Tombe nel dicembre del 1902 si scoprì che il collezionista aveva segretamente lasciato in eredità al Mauritshuis dodici dipinti, fra cui il capolavoro di Vermeer, che era già stato ospitato dal museo nel 1881. Da allora la celebrità del quadro è aumentata sempre più.
Nel 1995-1996 la tela fu uno dei titoli di spicco nella retrospettiva vermeeriana allestita al Mauritshuis e alla National Gallery of Art di Washington. Quella mostra, la prima rassegna del corpus d’opere dell’artista presentata dopo il 1696, fu un trionfo senza precedenti, con visitatori in arrivo da ogni parte del mondo. Da allora Vermeer e la Scuola di Delf sono stati oggetto di molte altre mostre, fra cui "The Public and the Private in the Age of Vermeer", un evento di grande successo organizzato dal Museo Municipale d’Arte di Osaka nel 2000.
In via eccezionale il ritratto della "Ragazza con l’orecchino di perla" fu inviato alla mostra in Giappone, lasciando dunque temporaneamente il Mauritshuis, dove si era afermato come una delle opere preferite dal pubblico e uno dei massimi vanti della collezione. Se in passato i visitatori dell’Aia accorrevano a vedere specificamente "Il toro di Paulus Potter" o "Lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp" di Rembrandt, oggi l’attrazione principale del museo è Vermeer.
Il film "La ragazza con l’orecchino di perla" del regista Peter Webber, proiettato in anteprima nel 2003, ha contribui to ad accrescere ulteriormente la fama del quadro. Il film si basa sull’omonimo romanzo di Tracy Chevalier, un
bestseller internazionale incentrato sull’idea che a posare per il ritratto sia stata una domestica dei Vermeer.
Viene ipotizzato che la fanciulla abbia posato per il pittore una sola volta, prima di lasciare la casa in conseguenza di una disputa riguardo a un orecchino di perla. L’attore britannico Colin Firth interpretò il ruolo di Vermeer e Scarlett Johansson quello della giovane serva.
Nel 2006 un sondaggio organizzato dal giornale nazionale «Trouw» ha dichiarato "La ragazza con l’orecchino di perla" il più bel dipinto dei Paesi Bassi. La fama del ritratto ha raggiunto a tal punto le proporzioni del mito che si è tentati di definire quest’opera sempre misteriosa “La Gioconda olandese”.
3. Johannes Vermeer: il pittore
Circa 150 anni fa Vermeer era soprannominato la “Sfinge di Delf” poiché poco si sapeva della sua vita e del suo lavoro. Benché in seguito siano emerse molte notizie sull’artista, egli rimane tuttora una figura enigmatica.
Vermeer trascorse tutta la vita nella natia Delf, una forente città della provincia d’Olanda, non lontano dal l’Aia, sede del governo. Nel XVII secolo Delf era un importante centro commerciale e industriale la cui prosperità dipendeva dalla produzione della birra, dei tessuti e di una tipica ceramica chiamata appunto “Delfs Blauw” (“Blu di Delf”).
Durante la Guerra degli ottant’anni, l’insurrezione olandese contro la Spagna per la conquista dell’indipendenza, il principe Guglielmo d’Orange (1533-1584), capo della rivolta, scelse Delf come base delle operazioni. Nel 1584 Guglielmo fu ucciso nel Prinsenhof, la residenza o “Corte del principe” dalla quale egli guidava i ribelli. Fu sepolto nella Chiesa Nuova (Nieuwe Kerk) della città che da allora accolse le tombe di tutti i membri della Casa d’Orange.
Nel 1632, quasi cinquant’anni dopo il triste assassinio del “Padre della nazione”, a Delf nacque Vermeer, il cui padre lavorava in loco come tessitore di seta, ma anche come locandiere e mercante di opere d’arte. Nel 1653 Vermeer sposò Catharina Bolnes (1631-1687), probabilmente dopo essersi convertito alla fede cattolica. La coppia ebbe complessivamente quindici figli, quattro dei quali morirono in giovane età.
Per due volte l’artista fu decano della gilda di San Luca, nota corporazione di pittori, e ogni volta rimase in carica per due anni. Nel 1672 si trovò in difficoltà finanziarie a causa del declino economico intervenuto in seguito all’invasione francese della Repubblica Olandese. Tre anni dopo egli morì, quarantatreenne, lasciando la moglie e i figli minorenni in uno stato di povertà; fu sepolto nella Chiesa Vecchia (Oude Kerk) di Delf.
La sua fu una fne triste per un artista che è oggi considerato, insieme a Rembrandt van Rijn e Frans Hals, uno dei più importanti pittori della Golden Age olandese. Forse i problemi finanziari di Vermeer derivarono in parte dalla sua scarsa produttività, ma ciò non gli impedì di diventare famoso; con ogni probabilità Vermeer fu riscoperto gradualmente nel XIX secolo da un gruppo di appassionati d’arte; fu, infatti, la sua alta reputazione che nel 1663 stimolò il diplomatico francese Balthasar de Monconys (1611-1665) a visitare l’atelier dell’artista per vedere i suoi quadri.
In Beschryvinge der Stadt Delf (Descrizione della città di Delf) del 1667, Dirck van Bleyswijck (1639-1681) inserì un’ode dedicata a Vermeer in cui celebrava il pittore come il successore artistico di Carel Fabritius. Nel XVIII secolo, Vermeer cadde nell’oblio, al punto che da allora non si riconobbe più la sua mano e i rari dipinti da lui eseguiti furono spesso attribuiti ad altri maestri.
Nel 1876, ad esempio, il Mauritshuis acquisì "Diana e le sue ninfe" come un’opera di Nicolaes Maes (1634-1693); il vero autore fu riconosciuto soltanto molti anni dopo. Vermeer fu riscoperto gradualmente nel XIX secolo da un gruppo di appassionati d’arte. Un importante impulso alla sua riabilitazione venne da un entusiastico articolo dello scrittore francese Téophile Toré pubblicato nel 1866 sull’autorevole «Gazette des Beaux-Arts».
Nonostante ciò trascorsero ancora molti anni prima che il nome di Vermeer riuscisse a raggiungere l’attuale livello di celebrità. Un tipico esempio di questo lento recupero è la storia della "Ragazza con l’orecchino di perla". Quando la tela fu messa in vendita all’asta nel 1881 all’Aia, nessuno tranne un accorto offerente e un suo amico appassionato d’arte si accorse che si trattava di un capolavoro di Vermeer, perciò l’opera fu battuta a un prezzo incredibilmente basso.
4. La mostra sulla Golden Age della pittura olandese
Per un pugno di settimane il capolavoro di Vermeer sarà in Italia, a Bologna, accolta con tutti gli onori del caso a Palazzo Fava, che è parte del percorso museale Genus Bononiae.
La ragazza con l’orecchino di perla, con la Gioconda di Leonardo e L’urlo di Munch, è unanimemente riconosciuta come una delle tre opere d’arte più note, amate e riprodotte al mondo. Sarà la star indiscussa di una raffinatissima mostra sulla Golden Age della pittura olandese, curata da Marco Goldin e tra gli altri da Emilie Gordenker, direttrice del Mauritshuis Museum de L’Aia dove il capolavoro di Vermeer è conservato, e dal quale provengono tutti i dipinti in esposizione a Bologna.
L’occasione storica di ammirare in Italia questa icona e gli altri celeberrimi dipinti olandesi, nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Carisbo e il suo presidente dott. Leone Sibani, Genus Bononiae Musei nella Città e il suo presidente prof. Fabio Roversi-Monaco, lo sponsor istituzionale Intesa Sanpaolo e Marco Goldin, storico dell’arte e direttore di Linea d’ombra. E con la partecipazione fondamentale, in qualità di main sponsor, del Gruppo Segafredo Zanetti.
La ragazza con l’orecchino di perla evoca bellezza e mistero e il suo volto da oltre tre secoli continua a stregare coloro che hanno la fortuna di poterla ammirare dal vero. O che magari l’hanno scoperta attraverso i romanzi e il film, di cui la bellissima ragazza dal copricapo color del cielo è diventata, forse suo malgrado, protagonista. Il suo arrivo in Italia è il frutto straordinario di una trattativa durata un paio di anni, a partire dal momento in cui il Mauritshuis – scrigno di opere somme da Vermeer fino a Rembrandt – è stato chiuso per importanti lavori di restauro e ampliamento, che ne vedranno la riapertura il prossimo 27 giugno.
Nel frattempo, una parte delle collezioni del Museo è stata riallestita presso il Gemeentemuseum, sempre a L’Aia, mentre un nucleo, forse il più strepitoso, è stato concesso ad alcune sedi internazionali in Giappone (a Tokyo e Kobe) e negli Stati Uniti: il Fine Arts Museum di San Francisco, l’High Museum of Art di Atlanta e la Frick Collection di New York, ovvero a istituzioni di assoluto prestigio mondiale. Come unica sede europea, e ultima prima del definitivo ritorno de La ragazza con l’orecchino di perla nel suo Museo rinnovato, la scelta è caduta su Bologna e su Palazzo Fava.
5. "La ragazza con l'orecchino di perla" e non solo
Il successo dell'esposizione di Palazzo Fava è giustificato non solo dalla presenza del capolavoro di Johannes Vermeer, la cui popolarità è letteralmente esplosa con l'omonimo romanzo di Tracy Chevalier e il film tratto dal libro e realizzato dal regista Peter Webber.
Oltre a "La ragazza con l'orecchino di perla", sono, infatti, presenti altre 36 opere del Mauritshuis, il museo de L'Aia. Si tratta, allora, di un viaggio nella pittura olandese del Seicento, un viaggio che si snoda lungo sei sezioni, tra il quadro che dà il nome alla mostra, nature morte, ritratti, interni, paesaggi e la storia del Mauritshuis.
"La ragazza con l’orecchino di perla" non sarà tra l’altro l’unico capolavoro di Vermeer in mostra. A Bologna sarà infatti accompagnato da 36 altre opere dello stesso Museo, sempre di qualità eccelsa, scelte appositamente per la sede bolognese e quindi in parte diverse da quelle già esposte in Giappone e poi negli Stati Uniti.
Ad affiancarla ci sarà "Diana e le sue ninfe" (qui nella foto), quadro di grandi dimensioni che rappresenta la prima opera a essere stata da lui realizzata. E ancora, ben quattro Rembrandt ("Canto di lode di Simeone", "Ritratto di uomo con cappello piumato", "Ritratto di uomo anziano" e "Autoritratto con goletta") e poi Frans Hals, Ter Borch, Pieter Claesz, JanVan Goyen, Gerard Van Honthorst, Meindert Hobbema, Jacob Van Ruisdael, Jan Steen, ovvero tutti i massimi protagonisti della Golden Age dell’arte olandese.
“Sarà l’unica occasione per ammirarla in Europa al di fuori della sua sede storica da dove, conclusa la mostra bolognese, probabilmente non uscirà mai più, essendo l’opera simbolo del museo riaperto”, afferma Fabio Roversi-Monaco, Presidente di Genus Bononiae Musei nella Città.
La cittadina di Vermeer si scrive Delft non Delf.