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Vaccini: tutto quello che c’è da sapere

E’ bastata la notizia di alcune morti per meningite a scatenare una vera e propria corsa ai vaccini e ad alimentare il mai sopito dibattito intorno alle vaccinazioni.

Meno di ottanta casi e tredici morti nel giro di due anni nella stessa regione hanno provocato un ritorno di fiducia insperato.

Se, oggi, in Toscana una persona adulta vuole vaccinarsi contro il meningococco C deve aspettare alcune settimane.

Un tempo decisamente lungo, di quelli generalmente richiesti per ottenere un esame specialistico e non certo una dose di farmaco che necessita di pochi minuti per essere somministrata.

Nel frattempo, la stessa Regione ha annunciato che nel suo territorio la copertura delle vaccinazioni antimeningococciche tra i bambini fino a due anni di età ha raggiunto il 91 per cento. Un dato decisamente straordinario, visto che da anni le vaccinazioni nel nostro Paese sono in costante calo.

Nessuno pensava che ci potesse essere all’improvviso la coda davanti agli ambulatori pubblici per la somministrazione di un vaccino e addirittura che a farla fossero gli adulti.

Ecco che cosa dice la scienza su uno dei temi più “caldi” degli ultimi anni: i vaccini. Come funzionano, perché sono necessari e i motivi per cui spesso sono infondate le paure che hanno portato alla pericolosa diminuzione in Italia e nel mondo di bimbi vaccinati.

1. Cinque tipi, un'unica paura e una storia tormentata

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  • Cinque tipi, un'unica paura
    Che cosa sia successo e stia ancora succedendo in Toscana non è del tutto chiaro, ma è interessante analizzare il caso per capire in che modo funzionino le vaccinazioni dal punto di vista medico, biologico, farmacologico, del comportamento delle persone e anche in termini di politica sanitaria.
    Nella regione, dal 2015, il numero di soggetti che si sono ammalati a causa del meningococco è in aumento.
    Mentre in tutta Italia i casi sono appena 200 all’anno (178 nel 2016), solo in Toscana se ne sono contati nel 2015 quasi 40 e 37 nel 2016.
    L’incremento è stato definito “marcato” o “significativo” dalle autorità sanitarie, ma non si tratta di un’epidemia. Perché questo aumento ci sia resta un mistero.
    La meningite sembra colpire soprattutto lungo la valle dell’Arno, ma non è stata ancora trovata una trasmissione tra soggetti che avessero tra loro qualche relazione e perciò non si comprende in che occasione l’infezione sia passata da una persona all’altra e gli episodi continuano a essere definiti “sporadici”.
    Dei 37 soggetti che si sono ammalati nel corso del 2016, 28 sono stati colpiti dal meningococco di tipo C, sei da quello di tipo B, gli altri dai tipi W135 e Y e uno è stato definito non tipizzabile. I sei casi mortali, però, sono stati causati tutti dal tipo C.
    La prima cosa da imparare, infatti, è che di batteri meningococchi esistono ben cinque tipi diversi.
    In Italia circolano soprattutto i tipi B e C, ma dopo l’introduzione della vaccinazione per il tipo C i casi dovuti al tipo B erano divenuti i più frequenti.
    Adesso in Toscana sembra riemergere il C. In Africa fa strage il tipo A, mentre altrove colpisce di più il tipo Y, che si teme possa in futuro emergere anche in Italia.
    Comunque, al momento l’attenzione si concentra sul meningococco C ed è contro questo che vengono vaccinati i bambini.
    Esiste anche un vaccino quadrivalente, cioè che funziona per quattro tipi (ACWY) e che viene proposto agli adolescenti e agli adulti. Il quadrivalente, però, non include il tipo B, per il quale è necessario un vaccino specifico.

 

  • Una storia tormentata
    Il principio dei vaccini è sempre lo stesso: insegnare al sistema immunitario a rispondere alle infezioni.
    Più precisamente, produrre anticorpi e creare una memoria immunitaria: dopo una vaccinazione il nostro organismo impara a riconoscere quel nemico e ricorda come combatterlo, perché ha già gli anticorpi specifici e i linfociti B conservano le istruzioni per produrli immediatamente.
    Edward Jenner alla fine del 1700 usava il vaiolo delle mucche così com’era, vivo e intero, per ottenere questo effetto negli inglesi del Gloucestershire, dove viveva, perché si era accorto che le mungitrici ne erano immuni.
    Albert Sabin e Jonas Salk nella seconda metà del 1900 usarono invece virus della poliomielite attenuati (cioè resi meno aggressivi) o inattivati (cioè uccisi) per i loro vaccini.
    Adesso nella stragrande maggioranza dei casi si utilizzano solo delle parti, anche molto ridotte e in piccolissime dosi, del microrganismo da combattere e le tecniche di produzione sono estremamente raffinate e controllate.
    Tutti gli antigeni di tutti i vaccini usati oggi sono meno di quelli contenuti nel primo vaccino antipolio di Sabin.
    Gli antigeni sono i pezzi del germe con cui il nostro sistema immunitario entra in contatto ed è importante che li sappia riconoscere come estranei per dare l’allarme.

 

2. Quando anche il vaccino non basta

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Per i tipi A, C, W 135 e Y della meningite è stato abbastanza facile selezionare le parti di batterio da somministrare come vaccino.

Per il tipo B non si riusciva a trovare un antigene in grado di provocare una risposta immunitaria e la battaglia è stata dura.

Se una persona volesse tentare di escludere ogni rischio di meningite dovrebbe però vaccinarsi anche contro lo pneumococco, responsabile della maggior parte delle polmoniti, e contro Haemophilus influenzae.

Questi due batteri, infatti, possono provocare l’infiammazione delle meningi e i danni che ne seguono. Ma potrebbe non bastare.

In due anni in Toscana 12 persone tra quelle che si sono ammalate di meningite da meningococco C erano state vaccinate contro questo batterio e quindi potevano aspettarsi di essere immuni.

La vaccinazione ha attenuato gli effetti della malattia, però una protezione completa non c’è stata. Benché sia un evento raro, il fallimento di una vaccinazione è sempre possibile ed esistono due modi in cui può verificarsi.

Il fallimento primario è quando una persona non si immunizza affatto, cioè non risponde alla stimolazione degli antigeni.

Può essere causato da fattori che interferiscono con il sistema immunitario come il fumo, l’eccesso di peso corporeo, oppure può dipendere dal modo in cui viene somministrato il vaccino o dal modo in cui è stato conservato e da molte altre cause ancora.

Compreso il fatto che il sistema immunitario di un individuo, pur funzionando bene, può non rispondere a un certo vaccino. Come per ogni farmaco, la risposta del singolo è variabile. Le quote di fallimento primario sono abbastanza note e per il vaccino contro la meningite vanno dal 3 al 5 per cento.

Invece il vaccino per il morbillo dopo la seconda dose garantisce una protezione quasi totale. C’è poi il fallimento secondario, che riguarda i casi in cui il sistema immunitario perde troppo velocemente gli anticorpi.

Per la meningite, il richiamo dovrebbe essere ogni cinque anni. Effettivamente, alcune delle persone che si sono ammalate erano state vaccinate più di cinque anni prima. Ma quell’arco temporale è una media che non è valida per tutti.

Qualcuno conserverà gli anticorpi per molto più tempo e altri per meno. È importante, quindi, la variabilità individuale. Ma oggi la possibilità di indurre una memoria immunitaria è stata aumentata grazie ai vaccini “coniugati.

Un vaccino coniugato utilizza insieme due parti del batterio: un frammento della sua parete esterna, riconoscibile dal nostro sistema immunitario, e una sua proteina capace di attivare meglio la memoria immunologica, in modo che duri più a lungo. Il fattore tempo conta molto anche per un altro motivo.

La meningite ha un’incubazione estremamente breve, generalmente due o tre giorni soltanto, e il batterio può provocare danni prima che ci sia una risposta del sistema immunitario: la memoria immunologica, pur essendo conservata, produce anticorpi troppo tardi per proteggere dalla malattia.

L’epatite B, invece, ha una incubazione che va da 30 fino a 180 giorni. Quindi in questo caso la risposta immunitaria, anche se la presenza di anticorpi specifici nel frattempo si è ridotta, ha il tempo di ripartire ed evitare guai all’organismo.

Minore è il periodo di incubazione di una malattia, insomma, più alto è il rischio di fallimento secondario e più cruciale è il mantenimento di un elevato livello di anticorpi con i richiami.

 

3. Cala l'effetto gregge

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Mentre gli ambulatori della Toscana sono costretti a rimandare gli appuntamenti per le vaccinazioni antimeningococco C di oltre un mese per gli adulti che non fanno parte di categorie a rischio, per tutti gli altri vaccini il problema è il contrario.

Le persone che si vaccinano sono sempre meno, anno dopo anno, in Italia, ma anche negli altri Paesi occidentali.

Sempre più genitori non rispondono all’invito a proteggere i propri figli vaccinandoli. Il calo è evidente anche a colpo d’occhio.

Per i sei vaccini più diffusi, contro tetano, epatite B, difterite, polio, pertosse ed Haemophilus influenzae tipo b i piccoli di due anni vaccinati sono passati dal 96,1 per cento del 2012 al 93,4 per cento del 2015.

Quasi tre bambini su cento in più oggi mancano all’appuntamento. Per morbillo e rosolia in tre anni il calo è stato di cinque bambini, dal 90,4 all’85,3 per cento. Gli esperti sono preoccupati.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) avrebbe voluto eradicare il morbillo, farlo scomparire come è successo con il vaiolo, entro il 2015. E invece in quell’anno il morbillo ha ucciso ancora 134mila bimbi nel mondo.

Se le percentuali di persone immunizzate calano, non sarà mai possibile debellarlo. E non c’è bisogno che calino di molto. I modelli che studiano la trasmissione delle infezioni dicono che quando si scende sotto il 95 per cento di copertura vaccinale si perde quella che viene chiamata “immunità di gregge”.

Il concetto è abbastanza semplice: se ci sono tanti soggetti vaccinati, anche quelli che non lo sono hanno probabilità scarsissime o nulle di contagiarsi, perché difficilmente si troveranno a tu per tu con una persona malata.

Ogni malattia ha un indice di contagiosità diverso. Più l’indice è alto, più è facile che il contagio si estenda e si scateni un’epidemia, e di conseguenza più deve essere alta la percentuale di persone vaccinate per ottenere l’effetto gregge.

Il 95 per cento di copertura vaccinale è una soglia buona, ma la stiamo mettendo a rischio. 

Il morbillo ha un indice di contagiosità elevato. E per questo, anche nella moderna e tecnologica Europa, ancora oggi fa vittime. In Olanda esiste una comunità religiosa contraria alle vaccinazioni.

Grazie alla concentrazione di persone non vaccinate al suo interno, tra il 1999 e il 2000, il morbillo ha contagiato tremila persone facendo tre vittime.

Due anni dopo, nel 2002, un’epidemia ha colpito anche l’Italia: più di 40mila casi, oltre tremila ricoveri e quattro morti. Il morbillo indebolisce seriamente il sistema immunitario.

Provoca leucopenia, cioè carenza di globuli bianchi, e lascia le persone debilitate per mesi, esposte al rischio di altre malattie come la polmonite o forme gravi di diarrea che possono diventare a quel punto anche mortali.

Questo sarebbe bene ricordarlo a quelli che credono, e sono tanti, che sia meglio ammalarsi che vaccinarsi, perché ritengono che la malattia rafforzi di più le difese immunitarie.

 

4. Il falò della "verità" e gli indecisi

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  • Il falò della "verità"
    Questa è solo una delle false idee che circolano sui vaccini, ma ce ne sono diverse altre.
    Tutte insieme hanno l’effetto di ridurre il numero di persone che accettano di vaccinare i propri figli.
    All’origine di ciò ci sono due presupposti: non si percepisce il rischio legato a una mancata vaccinazione e si ha paura degli effetti collaterali.
    Quale genitore ha mai visto un bambino morire per difterite o restare paralizzato dalla poliomielite? Sono cose che da noi non succedono più grazie ai vaccini e questo ha fatto perdere la memoria storica e con essa il timore di questi eventi.
    Quanto sta avvenendo oggi con la meningite è esemplare: alcuni morti, insieme a una copertura massiccia su queste notizie da parte dei media, hanno fatto percepire quel rischio che per la difterite non ricordiamo più.
    Eppure questo continua a esserci per tutte le malattie contro le quali ci vacciniamo.
    In Olanda, quella stessa comunità di fondamentalisti religiosi nella quale ha imperversato l’epidemia di morbillo, alcuni anni prima, nel 1992, aveva visto dilagare la poliomielite: 72 casi, due bambini morti e altri 59 paralizzati.
    In Russia, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, tra il 1992 e il 1995 ci furono 125mila casi di difterite e quattromila morti. Se la difterite e la poliomielite sono in Italia solo un ricordo è per merito dell’alta percentuale di persone che scelgono ancora la vaccinazione.
    Il secondo fattore che scoraggia la vaccinazione è il timore degli effetti collaterali. Che esistono, ma sono statisticamente rarissimi e ancor più eccezionalmente sono gravi.
    Le reazioni locali, a volte un po’ di febbre, sono il segno che l’organismo sta reagendo.
    Il rischio più grave per il vaccino del morbillo è una encefalite (in meno di un caso su un milione), che però non lascia danni, a differenza di quella provocata dal morbillo stesso, che può uccidere in un caso su 3000 oppure lasciare danni permanenti.
    Molti studi hanno escluso ogni nesso tra vaccini e autismo. E anche tra vaccini e morte in culla dei lattanti.
    Una ricerca dei Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti ha esaminato tutti i pazienti vaccinati tra il 2009 e il 2011 con oltre 25 milioni di dosi di vaccino e ha registrato 33 casi di shock anafilattico, l’evento più temuto, potenzialmente mortale.
    Ma solo uno ha richiesto il ricovero in ospedale. Nell’era dei big data la capacità di tenere sotto controllo la situazione è ancora più grande e veloce. Ma il fronte anti-vaccinazioni resiste e guadagna terreno.
    Il problema da affrontare oggi sembra allora soprattutto quello di trovare la corretta strategia per affrontare questa opposizione e la sua capacità di fare proseliti.
    La prima cosa da considerare è che con le vaccinazioni ci si rivolge a chi sta benissimo e perciò l’approccio deve essere attivo e convincente.
    Può essere difficile spiegare chiaramente una offerta di vaccinazioni che è sempre più ampia e variegata. Il messaggio da trasmettere può essere complicato e non abbiamo abbastanza risorse per farlo in modo efficace.
    Roberto Burioni, professore di microbiologia e virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, ha fatto una scelta drastica. La sua idea è che con chi rifiuta la scienza non si discute.
    “Bisogna smascherare con i fatti le bugie di persone ignoranti o in malafede”, proclama. E per farlo non c’è bisogno di accettare il confronto con loro.

 

  • Aumentano gli indecisi
    In effetti, pochi si illudono di riuscire a intaccare la convinzione degli accaniti anti-vaccinisti.
    Gli studi che sono stati fatti dicono che sono una percentuale non superiore al 5 per cento. Sembrano molti ma non lo sono.
    Cercare di convincere i ‘duri e puri’ è fiato sprecato. Ogni tentativo, come hanno chiarito alcune ricerche, non fa che rafforzare le loro idee sbagliate.
    Bisogna concentrarsi su coloro che hanno dubbi e sono influenzati negativamente dagli irriducibili. È nata così da alcuni anni una nuova categoria di sociologia medica: gli “esitanti”.
    Tra chi si vaccina con fiducia e chi rifiuta radicalmente di farlo cresce una schiera di persone dubbiose. Una mossa sbagliata può spingerli nel campo degli anti- vaccinisti.
    Agganciarli in modo corretto può convincerli. Ma mosse giuste e mosse sbagliate non sono sempre così facili da individuare e una politica ufficiale e condivisa non c’è.
    La Federazione degli Ordini dei Medici ha approvato un documento che dice chiaramente che “solo in casi specifici, quali per esempio alcuni stati di deficit immunitario, il medico può sconsigliare un intervento vaccinale.
    Il consiglio di non vaccinarsi nelle restanti condizioni, in particolare se fornito al pubblico con qualsiasi mezzo, costituisce infrazione deontologica”.
    L’Emilia Romagna lo scorso anno ha votato una legge che vieta l’accesso agli asili nido ai bambini che non abbiano effettuato le quattro vaccinazioni obbligatorie a livello nazionale: polio, tetano, difterite ed epatite B.
    La Regione Veneto, invece, dal 2007 ha sospeso l’obbligo delle vaccinazioni, puntando su informazione e scelta consapevole.
    La strada degli obblighi e della coercizione in teoria non piace a nessuno, ma sembra la più probabile visto che nei giorni scorsi è stata diffusa la notizia di un accordo tra Ministero della Salute, Regioni e Province autonome per una legge nazionale che renda obbigatorie le vaccinazioni per l’accesso ai nidi e alle scuole materne.
    In Veneto, nonostante l’investimento di risorse, le vaccinazioni sono calate lo stesso. Le malattie comprese nell’obbligo non sono poi quelle che un bambino rischia di prendere all’asilo.

 





5. Lo spericolato Dottor Jenner e le tre sfide ancora da vincere

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  • Lo spericolato Dottor Jenner
    Erano gli ultimi anni del 1700, forse il 1792 o il 1796, quando Edward Jenner, medico britannico che lavorava nelle campagne attorno a Bristol, decise di tentare un esperimento mai effettuato prima: infettare un bambino con il vaiolo delle mucche prelevando il pus dalle pustole di una donna colpita da questa malattia.
    Jenner, infatti, aveva notato che le mungitrici non venivano colpite dal vaiolo umano. In realtà, le stesse donne lo dicevano ed era una voce che circolava nelle campagne.
    I tentativi di vaccinare contro il vaiolo avvenivano da secoli, ma usando il pus del vaiolo umano.
    Jenner fu il primo a capire che mentre il pus del vaiolo umano poteva uccidere anche quando era usato secco e in piccole dosi per immunizzare, il pus del vaiolo delle mucche (da cui deriva il nome “vaccino”) anche vivo e fresco non avrebbe ucciso.
    Infatti il ragazzino ebbe la febbre ma poi guarì e quando Jenner, per provare che si era immunizzato, lo infettò volontariamente con il vaiolo umano non si ammalò.
    Il medico prima scrisse ad alcuni amici, poi alla Royal Society, che non gli diede ascolto, infine pubblicò un proprio resoconto. A quel punto era il 1800.
    Nonostante lo scetticismo della Royal Society, l’era dei vaccini era ufficialmente cominciata. E cancellò il vaiolo.
    Nel 1978 una donna di nome Janet Parker, infettandosi per errore nel laboratorio della University of Birmingham Medical School dove erano conservati alcuni campioni del virus ormai debellato in tutto il mondo, si ammalò di vaiolo e morì.
    Fu l’ultima vittima al mondo di questa malattia. Pochi anni dopo l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò la completa eradicazione del vaiolo, cioè la sua scomparsa sulla Terra, benché in alcuni laboratori di Stati Uniti e Russia siano ancora conservati dei campioni.

 

  • Tre sfide ancora da vincere
    La vaccinologia ha fatto una strada lunghissima nell’arco di due secoli, eppure ci sono almeno tre sfide che proprio non riesce a vincere, nonostante l’impegno, anche economico.
    La più nota è quella di trovare un vaccino contro l’Aids, la seconda contro la tubercolosi, la terza contro la malaria.
    Sono tre sfide molto diverse tra loro, accomunate solo dal fatto che serve un vaccino e che queste malattie colpiscono tanta gente.
    E le speranze di farcela non sono poi molte, almeno nel breve termine. Il problema per l’HIV, il virus dell’Aids, è che esso continua a mutare, anche nell’organismo delle persone colpite, e perciò è difficilissimo riuscire a trovare un vaccino valido universalmente.
    Un vaccino per la tubercolosi, invece, esiste ed è usato, ma funziona in modo molto diverso e variabile. Per esempio, contro la forma polmonare degli adulti non è efficace. A peggiorare le cose, si aggiunge il fatto che gli antibiotici sono sempre meno utili e che esistono tanti ceppi di Mycobacterium tubercolosis.
    La malaria, infine, è un problema enorme a livello mondiale, e trovare un modo per sconfiggerla è difficile anche perché coinvolge ben tre organismi: la zanzara, l’uomo e il plasmodio.
    Non solo: il plasmodio non è un batterio “e anche se è un organismo unicellulare è enormemente più complesso di qualunque batterio perché da millenni sopravvive in specie diverse e in forme diverse.

 








Note

Le vaccinazioni nella storia
Cronologia delle più importanti scoperte sulla strada che ha portato ai vaccini:

  • 1798
    Nasce il vaccino contro il vaiolo.
  • 1879
    Louis Pasteur scopre la possibilità di attenuare la virulenza dei germi per usarli come vaccini.
  • 1885
    Sempre Pasteur sperimenta il vaccino contro la rabbia.
  • 1901
    Il tedesco Emil von Behring vince il Nobel per l’invenzione dell’antisiero capace di inattivare la tossina della difterite.
  • 1924
    Il francese Gaston Leon Ramon riesce ad attenuare la tossina difterica trasformandola in un vaccino.
  • 1939
    Viene introdotta la vaccinazione anti-difterica in Italia.
  • 1952
    Lo statunitense Jonas Salk mette a punto il primo vaccino contro la poliomielite con virus inattivato. Salk rinuncia a ogni brevetto sul vaccino. Nello stesso anno negli Usa muoiono della stessa malattia 3000 persone.
  • 1957
    Albert Sabin mette a punto un secondo vaccino per la poliomielite.
  • 1967
    Comincia la campagna dell’OMS di vaccinazione per debellare il vaiolo in tutto il mondo. Nel giro di alcuni anni questa malattia scomparve per sempre.
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