Siamo nel 1916, nel pieno della Prima guerra mondiale.
Tedeschi e francesi si scontrano nella battaglia che è ricordata come la più sanguinosa della storia: registra la densità record di mille morti per chilometro quadrato.
Un sacrificio umano che non serve a nulla perché nessuno dei due eserciti centra i propri obiettivi espansionistici.
1. La strategia dei tedeschi
La Prima guerra mondiale era iniziata, nell’agosto del 1914, con il tentativo tedesco di realizzare una guerra-lampo: un veloce attacco attraverso il Belgio neutrale per accerchiare in un colpo solo tutto l’esercito francese.
Questa audace mossa si era infranta sul fiume Marna (settembre 1914) nei pressi di Parigi, dove i tedeschi erano stati prima bloccati e poi respinti.
In una serie di inutili tentativi di aggirarsi reciprocamente, i due schieramenti erano quindi arrivati alle rive della Manica: a quel punto l’esercito tedesco da un lato e quelli francese e inglese dall’altro si erano trovati schierati uno contro l’altro per oltre 400 km, bloccati nelle trincee che chissà chi (nessuno lo ha mai stabilito con certezza) aveva cominciato a scavare.
La potenza di fuoco delle mitragliatrici, insieme ai campi di filo spinato, avevano reso impossibile qualsiasi avanzata: la situazione sembrava bloccata in uno stallo destinato a proseguire indefinitamente e infatti i tedeschi per tutto il 1915 non avevano mai tentato una vera offensiva.
In queste condizioni il loro comandante in capo, generale Erich von Falkenhayn, concepì un piano apparentemente semplice: se l’esercito francese non poteva essere sconfitto con una manovra aggirante, si sarebbe dovuto attirarlo in una trappola.
I tedeschi avrebbero finto di attaccare in forze una posizione che i francesi non potevano permettersi di perdere ed essi, in risposta, avrebbero concentrato in quel punto il massimo numero possibile di soldati.
Ma von Falkenhayn, dopo aver ammassato di nascosto in quel punto del fronte la più grande concentrazione di cannoni di tutta la storia, avrebbe rovesciato sui nemici un diluvio tale di fuoco che l’esercito francese ne sarebbe stato massacrato.
A quel punto le forze germaniche avrebbero potuto agevolmente riprendere l’offensiva e vincere la guerra. Il punto scelto per attuare questo piano strategico fu la piazzaforte di Verdun, una città di frontiera attraversata dal fiume Mosa: essa, infatti, aveva un grande valore simbolico per la Francia e si trovava proprio nel punto in cui il fronte formava una specie di spigolo tra il tratto orientale e quello occidentale.
Dal punto di vista francese, Verdun era considerata uno dei punti più sicuri di tutto il fronte. La città era protetta da 20 forti maggiori e 40 fortificazioni minori; inoltre era circondata da chilometri di trincee. I suoi difensori erano certi che i tedeschi non li avrebbero mai attaccati: ma si sbagliavano.
2. Preparazione alla battaglia e l’errore di von Falkenhayn
Von Falkenhayn già dagli ultimi giorni del 1915 cominciò a radunare di fronte alla città un imponente parco di artiglieria: 542 pezzi di artiglieria pesante, 306 cannoni da campo, centinaia di pezzi minori. È stato calcolato che su un fronte di appena 14 km c’era un cannone ogni 12 metri.
Per far affluire tutte queste armi, che rappresentavano la concentrazione di artiglieria di gran lunga maggiore di tutta la storia fino a quel momento, e per garantire il rifornimento di munizioni furono costruite in tutta segretezza 10 linee ferroviarie a scartamento ridotto e 24 stazioni.
I cannoni più potenti erano i 13 mortai da 420 mm noti come Grande Bertha; i pezzi da 380 mm, che in realtà erano cannoni navali modificati, dovevano interrompere le vie di comunicazione grazie alla loro lunga gittata; infine i pezzi da 210 mm avrebbero dovuto martellare senza soste le trincee dove si riparavano i francesi.
Quando le prime trincee francesi sarebbero state conquistate, vi si sarebbero trasferite le batterie dei pezzi campali, mentre i cannoni di calibro maggiore (e quindi con la gittata più lunga) avrebbero continuato a battere le strade di accesso.
Per sostenere questo inaudito volume di fuoco i tedeschi accumularono una riserva di due milioni e mezzo di proiettili, trasportati da oltre 1.300 treni. Venne raccolta anche una imponente (per l’epoca) armata aerea di 168 aerei, 14 palloni per l’osservazione d’artiglieria e 4 dirigibili Zeppelin.
Infine si scavarono centinaia di tunnel attraverso i quali le truppe tedesche avrebbero potuto avvicinarsi alla prima linea senza mettere in allarme le vedette e senza subire perdite.
Tuttavia già nella preparazione dell’attacco von Falkenhayn commise un errore di valutazione, decidendo di tenere segreto a tutti (tranne che al Kaiser) il vero scopo dell’attacco, ossia il dissanguamento dell’esercito francese: i comandanti al fronte rimasero convinti per mesi di dover occupare davvero Verdun e questo li portò a commettere una serie di errori decisivi per l’esito della battaglia.
Alle ore 8,21 del 20 febbraio 1916 ebbe inizio il bombardamento di Verdun, che crebbe di intensità per tutto il giorno: la massima concentrazione di fuoco si abbatté sul Bois di Caures (il Bosco dei Noccioli, in dialetto locale), dove si calcola che su un’area di 1.300 metri per 800 caddero 80mila proiettili.
Nei primissimi giorni i tedeschi avanzarono più facilmente del previsto, perché i francesi erano stati colti del tutto di sorpresa e, tra l’altro, avevano sguarnito di cannoni i forti di Verdun per rafforzare altre posizioni. Ben presto si trovarono nelle condizioni di poter attaccare il forte di Douaumont, uno dei punti nevralgici della difesa.
Teoricamente il forte sarebbe dovuto essere imprendibile, con i suoi tre cannoni principali montati su torrette retrattili, le sue mitragliatrici e le sue torrette corazzate per l’osservazione. In realtà i generali francesi non avevano fiducia nelle sue possibilità di resistere e lo avevano praticamente svuotato della sua guarnigione: al momento dell’attacco era difeso da appena 56 soldati, il dieci per cento della guarnigione teorica.
Il 25 febbraio un gruppetto di nove soldati tedeschi del 24° Genio Brandeburghese, agli ordini del sergente Kunze, arrivò nei pressi del forte senza incontrare resistenza. Trovarono una finestrella aperta, vi si intrufolarono formando una piramide umana e presero di sorpresa i francesi che si arresero senza sparare un colpo: Verdun era a cinque chilometri.
3. Caduti in trappola
I comandi supremi francesi caddero a quel punto nella trappola di von Falkenhayn e ordinarono una serie di attacchi a testa bassa per riconquistare le posizioni perdute.
Ma anche il comando tedesco commise a questo punto il suo errore decisivo, insistendo nel mantenere il piano originario di dissanguare l’esercito francese, senza rendersi conto che l’attacco aveva avuto un successo di gran lunga superiore alle previsioni e che il fronte francese poteva essere sfondato con un’azione di massa e coordinata.
Invece Falkenhayn rifiutò per settimane i rinforzi e quando infine li concedette, a marzo, era troppo tardi per una vittoria decisiva: Verdun si era trasformata nell’ennesima battaglia di trincea.
Fortunatamente per i francesi il comandante dell’armata inviata in soccorso, il generale Philippe Pétain, era invece contrario agli attacchi indiscriminati e si preoccupò di organizzare la difesa raccogliendo prima di tutto una sufficiente artiglieria da contrapporre a quella tedesca e poi preparandosi a sostenere un lungo assedio organizzando i rifornimenti lungo l’unica strada rimasta libera, quella che univa Verdun alla città di Bar-le-Duc, strada che sarebbe stata ribattezzata presto Voie Sacrée, la “via sacra”.
Inoltre si preoccupò di sollevare il morale delle truppe e organizzò una sorta di turn over per limitare il più possibile la permanenza dei reparti sotto il fuoco nemico (alla fine della battaglia il 70 per cento dei soldati francesi avrebbe trascorso almeno un periodo a Verdun).
I tedeschi continuarono l’attacco, questa volta sulla riva sinistra della Mosa (cosa che fino a quel momento non avevano fatto) e a maggio occuparono a carissimo prezzo l’altura di Mort- Homme, stringendo la morsa sulla città.
Ormai la strategia del dissanguamento funzionava nei due sensi: le perdite tedesche cominciavano ad avvicinarsi a quelle francesi. Ai primi di giugno Falkenhayn organizzò una offensiva sulla riva destra della Mosa, per conquistare il forte di Vaux che cadde il 7 giugno dopo sofferenze indicibili da una parte e dall’altra.
4. Il gas uccise 1.600 francesi e la ritirata della Germania
Ai primi di luglio i tedeschi ripeterono l’assalto, dirigendosi questa volta contro il forte Souville, l’ultimo prima di Verdun.
Fu usato un nuovo gas, il fosgene, che le maschere francesi non filtravano: 1.600 soldati morirono quasi all’istante e i tedeschi avanzarono per due chilometri senza incontrare ostacoli.
Ma il gas si disperse prima del previsto, molte batterie francesi continuarono a sparare e l’attacco venne rintuzzato. Il 10 luglio i tedeschi fecero ancora uno sforzo ma l’improvvisa pioggia disperse il fosgene. Fu l’ultimo tentativo: ormai quasi nessuno nello Stato maggiore tedesco credeva più nella vittoria.
I pochi chilometri occupati nell’avanzata di quei mesi non vennero evacuati solo per ragioni psicologiche e le truppe germaniche, ormai sulla difensiva, dovettero subire nei mesi successivi gli stessi bombardamenti che avevano inflitto ai francesi fino a quel momento.
Fino a settembre i tedeschi mantennero le posizioni e i contrattacchi francesi si risolsero in tremendi bagni di sangue. A ottobre però divennero disponibili i mortai Schneider-Creuzot da 400 mm, capaci di devastare le difese dei forti francesi occupati dai tedeschi e le perdite di questi ultimi cominciarono a crescere vertiginosamente.
Il 24 ottobre, al comando adesso del generale Robert Nivelle, i francesi scattarono all’offensiva e nel giro di pochi giorni riconquistarono tutto il terreno perduto da febbraio. Dopo otto mesi di lotta e centinaia di migliaia di morti, i due contendenti erano tornati al punto di partenza.
Un grave errore di von Falkenhayn fu quello di tenere il suo piano segreto anche ai suoi stessi alleati austriaci e ai propri generali: perse così la possibilità di un’azione combinata. I francesi chiesero aiuto ai russi e agli inglesi. I primi lanciarono nell’estate del 1916 l’offensiva Brusilov che spezzò il fronte austriaco e costrinse i tedeschi a correre in aiuto dell’alleato.
Gli inglesi attaccarono sul fiume Somme il 1° luglio, subendo perdite terribili per l’incapacità dei loro generali. Anche se queste offensive non ottennero vittorie decisive, obbligarono i tedeschi a modificare i loro piani e a togliere forze da Verdun nel momento più delicato.
5. I protagonisti e la battaglia in breve
I protagonisti
- Philippe Pétain
Nato a Cauhy a la Tour, un piccolo paesino vicino a Calais, nel 1856, Pétain non ebbe fino allo scoppio della guerra una carriera molto brillante: nel 1914 era solo colonnello. Ma i primi combattimenti lo misero in luce facendolo salire di grado fino a generale di corpo d’armata.
A Verdun fu decisivo il suo carisma (era contrario al sacrificio inutile dei soldati) unito al suo sguardo strategico. Sostituito da Nivelle nel giugno del 1916, tornò al comando nel 1917 quando si dovette cercare di placare l’ondata di diserzioni nell’esercito, cosa che Pétain riuscì a ottenere senza ricorrere alle fucilazioni di massa. Morì nel 1951.
- Erich von Falkenhayn
Nato nel 1861 in un paesino della Prussia orientale, von Falkenhayn salì tutti i gradini della carriera militare fino a diventare nel 1913 Ministro della Guerra. Dopo la disfatta della Marna nel settembre 1914, sostituì il generale von Moltke concependo già l’anno successivo la grande offensiva di Verdun.
Dopo la sconfitta venne rimosso dal fronte occidentale e spedito a combattere la Romania, appena entrata in guerra, che venne rapidamente battuta e invasa. Inviato in Palestina (allora in mano alla Turchia, alleata dei tedeschi), difese a lungo Gerusalemme dagli attacchi inglesi. Morì nel 1922.
La battaglia in breve
- Quando e perché scoppia
21 febbraio – 21 luglio 1916 Verdun-sur-Meuse, Francia.
Dopo oltre un anno e mezzo di guerra in trincea, il generale tedesco Erich von Falkenhayn cercò di trovare il modo di far crollare la resistenza nemica sottoponendo l’esercito francese a un logoramento tale da farlo crollare.
Verdun in realtà all’inizio non doveva essere conquistata: bastava obbligare i francesi a farsi massacrare fino all’ultimo uomo per difenderla.
- Le forze in campo
Inizialmente i francesi avevano 35mila uomini, i tedeschi 150mila. Nel corso della battaglia vennero schierati da una parte e dall’altra centinaia di migliaia di uomini.
- Le perdite
Si calcolano 350mila morti per i francesi e 280mila per i tedeschi, ma come sempre in questi casi le cifre variano considerevolmente in base alle fonti. Poiché si combatté in spazi alquanto ristretti, secondo alcuni calcoli si raggiunse la densità record quasi incredibile di mille morti per chilometro quadrato.
- Le conseguenze
Sul piano territoriale, i risultati ottenuti a prezzo di tante vite umane furono nulli: i francesi riconquistarono il terreno perduto ma non riuscirono a passare all’offensiva. I tedeschi caddero nella trappola che avevano preparato per i francesi, ma continuarono ad attaccare subendo perdite quasi pari a quelle nemiche, mancando quindi il loro obiettivo.