È sabato mattina, abbiamo già preparato la borsa della palestra dalla sera prima.
La parte saggia di noi ci dice di darci una mossa e andare ad allenarci.
Sappiamo che è importante per il nostro corpo e la nostra mente, eppure il divano sul quale siamo comodamente seduti sembra una calamita: una tentazione irresistibile che alla fine ci fa desistere.
Sappiamo tutti quanto sia importante fare attività fisica, eppure oltre il 55 per cento di noi italiani non ne fa abbastanza, mettendo a rischio la salute.
La colpa è di una mentalità sempre più diffusa, che nega il valore della fatica, e anche della tecnologia, che facilita la vita, ma induce alla sedentarietà.
1. Siamo disabituati a fare fatica
Il tema ha un grande peso sociale: un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità datato 2010 spiegava già come circa 3,2 milioni di persone al mondo muoiano ogni anno per l’inattività fisica, mentre soltanto a casa nostra la fetta di italiani che non fa abbastanza movimento si attesta attorno al 55 per cento.
Le conseguenze? Chi non è sufficientemente attivo ha un rischio di mortalità maggiore del 20-30 per cento rispetto a chi lo è, mentre a livello mondiale la pigrizia costerebbe 67,5 miliardi di dollari (61 miliardi di euro) secondo uno studio pubblicato sul Lancet da Melody Ding dell’Università di Sydney (Australia) che ha tenuto conto delle spese sanitarie per patologie gravi come obesità, diabete e malattie cardiovascolari di cui il “dolce far niente” è una concausa.
La pigrizia è una forza incredibile e oggi in particolare sembra diventata un mostro contro il quale è molto difficile combattere: «Nella nostra epoca l’edonismo è considerato un valore positivo mentre fino agli anni Cinquanta era un disvalore», ha spiegato Matteo Rampin, psichiatra e autore di Elogio della fatica (Ponte alle grazie).
«In un contesto di questo tipo non sono quindi incoraggiati sacrificio, rinuncia, addestramento e fatica, mentale e fisica».
Così, troppo frequentemente gettiamo la spugna preferendo piaceri più immediati, ma alla lunga meno premianti, come l’ozio. Ovviamente non si tratta solo di una questione di salute fisica, ma anche psicologica.
Una cultura che spinge le persone a collegare il concetto di impegno a quello del raggiungimento degli obiettivi produce individui solidi; una invece che nega l’impegno e propone modelli di successo basati sugli escamotage dà luogo a individui passivi e vulnerabili.
E in fondo la stagnazione dell’economia nei Paesi occidentali potrebbe derivare anche dalla pigrizia sociale che è conseguenza dei decenni di benessere di cui hanno goduto le generazioni precedenti alla nostra: quegli anni infatti avrebbero disabituato molti alla fatica e all’impegno.
La gente si disabitua a desiderare delle mete e disimpara a combattere per raggiungerle.
2. Il “contagio” è trasmissibile e il digitale non aiuta
Occorre poi aggiungere che più viviamo in contesti pigri e più lo diventiamo.
In ogni gruppo umano, infatti, i comportamenti dei singoli sono spesso frutto dell’imitazione di modelli sociali dominanti, e questo non fa che peggiorare la situazione.
Lo ha dimostrato uno studio pubblicato nel 2017 da Plos Computational Biology e condotto su 56 volontari da ricercatori dell’Istituto francese della sanità secondo il quale è inevitabile la tendenza involontaria a imitare il comportamento degli altri appartenenti al nostro gruppo.
Sottoponendo ad alcune situazioni relazionali ricreate in laboratorio, Jean Daunizeau e Marie Devaine, autori della ricerca, hanno verificato come fattori quali prudenza, impazienza e anche pigrizia siano frequentemente frutto di un’assimilazione di ciò che vediamo attorno a noi.
C’è poi un altro fattore sociale importante in tutto ciò: la tecnologia. Siamo coscienti come questa, rendendoci la vita meno faticosa, ci stia notevolmente impigrendo.
La vera sfida è quella di utilizzare le conoscenze tecnologiche maturate non come un traguardo, ma come un punto di partenza. In altre parole, le comodità moderne devono essere uno sprone a fare di più. Sta a noi usare la tecnologia senza soccombervi e senza diventarne schiavi.
Le nuove tecnologie digitali, in particolare, se usate in eccesso rischiano infatti di incrementare il nostro amore per il divano: ingannano il circuito cerebrale della ricompensa, quello che grazie a neurotrasmettitori come la dopamina ci motiva e spinge nelle nostre attività quotidiane.
Gli stimoli visivi continui e la modalità stessa di utilizzo di smartphone e social rischiano infatti di calamitarci agli schermi, togliendoci energie per altre attività più utili e sane - come appunto l’attività fisica - che tuttavia non possono fornirci un piacere così immediato.
3. Obiettivi realizzabili
Il piacere di fare palestra, ad esempio, arriva solo con il tempo quando, poco per volta, vediamo sul nostro fisico i risultati di un duro allenamento.
Sono le aree prefrontali del cervello che ci consentono di trattenerci dai piaceri immediati per spostare in avanti nel tempo il soddisfacimento dei nostri bisogni.
Non sempre però queste aree funzionano a dovere e ciò potrebbe avere una base biologica.
Già nel 2004 lo indicava un celebre studio condotto National Institute of Mental Health americano nel quale alcune scimmie vennero sottoposte a una terapia che, grazie all’alterazione di uno specifico gene che agisce sui meccanismi della dopamina, le aveva trasformate da pigre a stacanoviste.
Ovviamente differenze individuali in questi meccanismi, presenti anche negli umani, non sono una giustificazione per chi è “biologicamente pigro” a restare tutto il giorno a oziare: dalla nostra, infatti, abbiamo una psiche ben più articolata di quella dei primati che ci consente di migliorarci.
L’importante è che la spinta a superare la pigrizia sia graduale. Non dobbiamo imporci obiettivi irrealistici o che non tengono in considerazione la nostra natura. Per questo il primo passo è conoscersi.
Prima di tutto consideriamo i nostri ritmi fisiologici e dosiamo le nostre risorse fisiche e mentali prendendoci le giuste pause quando servono. Il meritato riposo infatti non è pigrizia, ma un’occasione per riflettere sul significato da dare a impegno e fatica quotidiani.
4. Quattro cause di pigrizia che si nascondono dentro di noi
1. Depressione.
La pigrizia è uno dei sintomi ricorrenti nella maggior parte dei pazienti affetti da depressione, come spiega chiaramente uno studio del 2011 pubblicato da Innovation in Clinical Neuroscience e condotto da ricercatori del Massachusetts General Hospital (USA).
Per molti depressi, specie all’esordio della patologia, definirsi pigri è spesso un modo per negare di avere un problema.
Del resto, mancanza di motivazione, stanchezza fisica e mentale e incapacità di provare piacere in quel che si fa sono sempre presenti nei pazienti depressi.
CHE FARE? Se la pigrizia non è momentanea ma sta diventando un vero e proprio problema occorre parlarne quanto prima con un medico in modo da verificare che non sia la spia di un episodio depressivo.
2. Frustrazione.
Spesso ci sentiamo svogliati quando non abbiamo ancora capito cosa vogliamo oppure quando quel che facciamo non è gratificante: ad esempio, quando sul lavoro i nostri superiori non mostrano di apprezzare i nostri sforzi.
CHE FARE? Cerchiamo di capire se quel che stiamo facendo ci sta dando abbastanza soddisfazioni e, in caso negativo, perché non ce ne dia.
3. Paura del successo.
La pigrizia può anche essere un escamotage quando temiamo che il compito che stiamo svolgendo possa portarci al successo esponendoci a responsabilità che temiamo di non saper gestire.
Un caso tipico? Le promozioni sul posto di lavoro.
CHE FARE? Anche in questo caso occorre guardare i fatti realisticamente e far leva sulla propria autostima: se siamo riusciti a ottenere una promozione, ad esempio, non dovremmo temere di non saperne gestire le responsabilità connesse.
4. Paura di non farcela.
Spesso i pigri sono pigri perché temono di fallire in quanto hanno scarsa autostima.
Così, preferiscono la comodità di un ozio rassicurante che tuttavia ha un effetto opposto: rimandano tutto a domani anche se questo “domani” non arriva mai perché le paure continuano a destabilizzarli.
Oppure accettano le sfide della vita, ma preferendo obiettivi facili che non impongano loro vere e proprie sfide.
CHE FARE? Occorre porsi di fronte a un eventuale fallimento con uno sguardo positivo, cioè considerandolo come una risorsa per migliorare in futuro e non come una disgrazia da cui si rischia di non riprendersi.
5. Perché per qualcuno l’attività fisica è una “molestia”?
I medici non sanno più come dirci che l’attività fisica è importante.
Eppure a fronte di molti “maniaci” del fisico, c’è ancora una larga fetta di italiani che fa troppo poco movimento.
Da dove nasce questa loro indolenza? In un recente articolo uscito su Psicologia Contemporanea lo psicologo dello sport Pietro Trabucchi (autore del libro "Tecniche di resistenza interiore. Come sopravvivere alla crisi della nostra società"), descrive questi pigri patologici come persone che «vivono automobili e ascensori come appendici insostituibili del proprio corpo e concepiscono l’attività fisica più come una molestia che come un’opportunità».
Il motivo? Secondo Trabucchi sono persone che ritengono l’attività fisica qualcosa al di fuori della loro portata, fonte di frustrazione e senso di inadeguatezza.
«Oppure percepiscono i possibili benefici come troppo lontani nel tempo», prosegue. Spesso alla base di questo atteggiamento c’è un’educazione ricevuta in famiglie iperprotettive oppure culturalmente ostili verso lo sport.
Curiosità: Quanto costa la pigrizia?
Chi non è abbastanza attivo ha un rischio di mortalità maggiore del 20-30 per cento rispetto a chi lo è. A livello mondiale la pigrizia costa oltre 60 miliardi di euro in spese sanitarie per patologie gravi come obesità, diabete e malattie cardiovascolari.