La vita oltre la vita. Un tema che affascina l’uomo da sempre. Non solo da un punto di vista filosofico, del mistero. Ma anche in termini scientifici.
Lo dimostrano testimonianze di persone che sostengono di essere la reincarnazione di qualcun altro e altre che affermano di aver assistito ad avvenimenti che dimostrerebbero l’esistenza del fenomeno della trasmigrazione dell’anima.
Per non parlare dei bambini che ricordano fatti, date e nomi di persone decedute da molto tempo: secondo alcuni, si sarebbero impossessati dei loro ricordi e della loro vita.
Dove eravamo prima di nascere? E dove andremo dopo la morte? Abbiamo ascoltato le parole di chi giura di essersi reincarnato: testimonianze dell’Aldilà…
1. Un passo indietro, fin nell’antica Grecia
Come spesso accade per questioni così complesse e sfuggenti, dobbiamo iniziare questo viaggio nella conoscenza, tornando indietro nel tempo.
Sin dall’antichità l’uomo ha ritenuto che non tutto terminasse con la fine del corpo fisico.
Dobbiamo partire da lontano per analizzare fatti, avvenimenti, personalità che hanno qualcosa di importante da raccontarci, per poi arrivare a qualcosa di nuovo, legato a una scienza innovativa, sorprendente e affascinante.
L’argomento della reincarnazione, dunque, arriva da lontano. Siamo forse i primi a credere nelle possibilità di una vita oltre la vita? No. Anzi, probabilmente la nostra epoca è la prima a non credere fino in fondo a tutto questo.
Nel mondo antico interrogarsi sull’interpretazione della fine della vita era molto più diffuso e importante di quanto possiamo immaginare. C’è stato un tempo in cui profonde conoscenze venivano rivelate esclusivamente a gruppi di iniziati.
Per secoli furono segretamente tramandate attraverso riti e culti a carattere esoterico. Per gli antichi greci non c’era cosa più sacra: li chiamavano “i misteri”. Venne, poi, il tempo in cui questa antica conoscenza raggiunse le nostre coste, in quella che un tempo era la Magna Grecia.
In Calabria, vicino Crotone, resiste in piedi ancora oggi una colonna di quello che era il tempio dedicato a Hera. Proprio in questa zona dove si trova il Santuario di Capo Colonna, intorno al 530 avanti Cristo, arrivò Pitagora (nella foto sotto) e ci rimase per trent’anni.
Era arrivato nella Magna Grecia per aprire una scuola in cui insegnare e trasmettere la sua sapienza. Aveva lasciato la madrepatria per venire in questo luogo perché lo amava e lo considerava estremamente importante.
Pitagora visse tra il 570 e il 495 avanti Cristo. Fu anche matematico, taumaturgo, astronomo, scienziato e politico. A Crotone fondò una delle più importanti scuole di pensiero dell’umanità: la Scuola Pitagorica. Fu lui a intuire l’importanza della matematica per descrivere il mondo.
Ma è ricordato anche come creatore del termine “filosofia”, inteso come “amore per la sapienza”. In tale contesto è bene non dimenticare come il filosofo greco sia stato anche il fautore della dottrina della metempsicosi, ovvero della “trasmigrazione delle anime” da un corpo ormai defunto verso un altro. Un passaggio che doveva avvenire come espiazione e purificazione di una colpa originaria.
Negli ultimi anni si è registrato un forte incremento di casi di Nde, esperienze di vicinanza alla morte. Soprattutto perché oggi ci sono macchine capaci di far “ripartire” il nostro corpo.
Pitagora era un grande esperto di scienze, come lo definiremmo oggi, ma aveva anche un’idea che parlava di reincarnazione, essendo lui stesso convinto che l’anima si trasferisse di corpo in corpo. Com’era arrivato Pitagora a possedere una consapevolezza così ampia riguardo alla natura dell’anima?
Nonostante la sua vita sia avvolta nella leggenda, numerose fonti ci raccontano che fu iniziato alla conoscenza dai sacerdoti egizi del Tempio di Menfi, ovvero il luogo in cui risiedeva tutta la sapienza di quella civiltà. Una conoscenza che aveva fatto grande l’Egitto.
Pitagora ebbe modo di apprenderla per ben 22 anni e la portò in Calabria, diffondendola attraverso le sue scuole che possono essere definite a carattere iniziatico. Si trattava di un sapere profondo, i cui segreti si sono persi nel tempo, ma forse non del tutto.
Da fonti attendibili sappiamo che Pitagora fu iniziato ai cosiddetti misteri greci. Ma cos’erano? Si trattava di qualcosa di molto segreto, tanto da condannare a morte chi li avesse mai svelati. Possiamo, tuttavia, trovare ancora alcune tracce sottili, labili che ci permettono di capire qualcosa di importante.
Il termine mistero significa “chiudo gli occhi” o “la bocca”. Esistono diverse tradizioni di misteri: tra cui quelli eleusini e quelli orfici. Tutti avevano una connotazione comune: si trattava di culti che si discostavano dalle religioni ufficiali.
Erano praticati da gruppi ristretti e prevedevano iniziazioni rituali. Gli iniziati ai misteri non ricevevano solo un insegnamento, ma avevano soprattutto un’esperienza del divino che cambiava la loro coscienza.
2. Coscienza alterata e fenomeni di Near dead experience
Cosa succedeva quando i sacerdoti e gli uomini di cultura nell’antica Grecia avevano un’interazione con il divino?
Come potevano avere queste interazioni? Come potevano avere questi stati di coscienza alterata? Cosa succedeva?
L’argomento è molto complesso, visto che la cultura greca, da cui noi stessi deriviamo, ha una lunga storia di filosofia razionale straordinariamente importante.
Così come anche tutta la tradizione misterica che è durata oltre mille anni e faceva riferimento ai misteri eleusini, ai misteri orfici e dionisiaci.
In quest’ultimo caso si praticavano riti di iniziazione in cui a volte si faceva uso di sostanze psicotrope, probabilmente oppio: l’adepto doveva camminare su un lungo percorso rituale molto rigidamente controllato per fare determinate esperienze di tipo spirituale.
L’obiettivo finale era quello che Aristotele chiamava “epopea”, ovvero l’illuminazione improvvisa in cui, in un attimo, si capisce tutto il senso e il significato della realtà rispetto alla visione pallida e opaca che si ha con la coscienza ordinaria. Questo implica anche la consapevolezza e, quindi, la memoria di queste esperienze.
Nel corso degli ultimi anni si è registrato un forte incremento dei casi di Nde (Near death experience), ossia esperienze vicino alla morte, soprattutto perché oggi ci sono macchine sempre più sofisticate ed efficaci che possono far ripartire il nostro corpo. Cosa ricordano queste persone, cosa raccontano di queste esperienze?
Secondo diversi studiosi della materia “esistono singoli casi di pazienti che in fibrillazione ventricolare hanno fatto un’esperienza di uscita dal corpo. Poi, quando si sono svegliati, hanno testimoniato tutto quello che era successo durante il loro arresto cardiaco.
L’ultimo caso è stato pubblicato su Resuscitation nel 2014, nell’ambito di un grosso studio multicentrico rigorosissimo, in cui i ricercatori sono riusciti anche a verificare che il paziente ha avuto una consapevolezza probabilmente per almeno tre minuti durante la fase di fibrillazione ventricolare, sulla base del riconoscimento delle voci e dei suoni provenienti dal monitor del defibrillatore.
Il problema, dunque, è puramente scientifico e si deve ancora capire di cosa si tratta. Non si può rifiutare il fatto solo perché non sappiamo come interpretarlo”.
Fino a che punto possiamo tornare indietro con la memoria? Quali progressi sono stati fatti e quali ricerche si stanno portando avanti sul fatto che si possa ricordare qualcosa di non strettamente legato alla vita attuale e personale?
Un altro tema è la reminiscenza delle vite precedenti che hanno i bambini in età prescolare e che poi perdono, come tante altre memorie, nel corso della vita scolare. Di questi bambini ne sono stati studiati circa 2.500 negli ultimi cinquant’anni.
Esistono alcuni studi pubblicati su riviste psichiatriche internazionali molto serie che fanno un’analisi della personalità di questi bambini. Da questi lavori si può desumere che non c’è nessun aspetto che può essere associato ad allucinazioni, ad alterazioni del giudizio o a pura fantasia.
Viceversa, di alcuni di questi bambini si è riusciti a risalire all’identità di chi era defunto e non poteva saperlo, né il bambino né la famiglia.
3. Il mistero delle gemelle Pollock e la bambina con le due madri
- Il mistero delle gemelle Pollock
Un esempio di presunta reincarnazione è quello che si è verificato in Inghilterra. È stato studiato anche da Ian Stevenson, un ricercatore che ha dedicato la sua vita ad analizzare questi fenomeni.
Lo ha studiato per quasi vent’anni, dal 1964 al 1985. Si tratta del caso delle sorelle Pollock.
Tutto inizia il 4 ottobre del 1958, quando nascono Gillian e Jennifer Pollock, gemelle. La loro nascita fa subito scalpore, visto che, un anno e mezzo prima, esattamente il 5 marzo del 1957, erano decedute – nella stessa famiglia – altre due bambine: Joanna e Jacqueline, rispettivamente di 11 e 6 anni.
Le due sorelline stavano andando in chiesa, camminavano sul marciapiede e un’automobile, improvvisamente, le aveva travolte, uccidendole entrambe. Si può immaginare la sorpresa dei genitori quando vedono per la prima volta le nuove arrivate.
A quel tempo non ci sono le ecografie e, quindi, non si può sapere in anticipo né il sesso, né il numero dei nascituri in caso di gravidanze gemellari. Alla nascita delle bambine si nota immediatamente che, pur essendo omozigote, sono diverse tra loro.
Una delle due ha il segno di una cicatrice sulla radice del naso e una macchia marrone sul lato sinistro del bacino. Esattamente come una delle due bambine scomparse. Non solo, nel corso del tempo, crescendo, le due sorelle somigliano sempre di più alle bimbe defunte: una sembra identificarsi in Joanna, l’altra in Jacqueline.
Quando cominciano a scrivere, poi, una impugna correttamente la penna, come faceva la più grande delle bambine venute a mancare anni prima, l’altra la stringe nel pugno, proprio come faceva la più piccola. I genitori si convincono sempre di più, in particolar modo il padre, che quelle due bambine siano arrivate come un miracolo.
I media ben presto iniziano a parlarne. I genitori di Gillian e Jennifer Pollock decidono di allontanarsi dal paese quando le piccole compiono 18 mesi: c’è troppa confusione e curiosità intorno a loro. Tornano quando le piccole hanno quattro anni.
Un giorno, camminando lungo una strada che le gemelle non potevano conoscere né ricordare, le bambine dicono che, al di là di un muretto, doveva trovarsi la loro scuola e un parco giochi. È allora che qualcuno afferma che il ricordo poteva essere solo delle sorelline scomparse.
La notizia si diffonde in poco tempo e la stragrande maggioranza delle persone si convincono che la storia delle gemelline sia vera. Troppe le coincidenze temporali e quelle legate al comportamento di queste ragazze.
A oggi, inoltre, rimangono senza spiegazione i segni su una delle due gemelle che l’altra non aveva, ma che erano presenti uguali sul corpo di una delle due sorelle morte.
- La bambina con le due mani
Nel 2003, nella Turchia del sud, conquista le luci della ribalta un caso curioso. “In un contesto che definirei abbastanza neutrale – racconta lo psicologo tedesco Juergen Keil recatosi sul posto –, una bambina è stata in grado di fornire informazioni che, a mio parere, non poteva aver acquisito nel corso della sua attuale esistenza. Perciò sono convinto di essermi imbattuto in un caso che presenta aspetti particolarmente interessanti”.
Nel 1998, Atra Kapi, giovane ragazza turca, perde la vita in un incidente stradale, per le conseguenze di un danno cerebrale. Ventotto giorni più tardi, in un villaggio non lontano da quello di Atra, nasce Demet Yilderi.
“La bambina presentava una macchia sul capo che con il tempo si è sbiadita”, racconta Keil. “Non possiamo affermare con sicurezza che essa fosse collegata all’incidente di cui rimase vittima Atra, ma è nello stesso punto della ferita riportata dalla ragazza”.
Lo psicologo ha incontrato Demet e sua nonna Kezben Yilderi. La donna non ha mai avuto dubbi sul racconto della nipotina: “Demet ha sempre sostenuto di avere due madri. Di colei che era stata sua mamma nella vita precedente conosceva anche il nome: Lemia.
Provai a dirle che nessuno ha due madri, ma lei insisteva e fu allora che pronunciò il suo nome. Io conoscevo una Lemia che faceva la sarta, ma non ne avevo mai parlato a Demet. Un giorno lei mi chiese: ‘Nonna, che cosa cuce?’. Ero sbalordita. Non capivo come potesse saperlo”.
Come è possibile che questa bambina sia nata con un segno sulla testa uguale a quello che si era procurata la ragazza nell’incidente che le è stato fatale?
Come poteva la bambina conoscere tanti dettagli della vita della ragazza scomparsa? E che ruolo ha avuto la sua famiglia in tutto questo? Possibile che, pur non volendolo, abbia condizionato i suoi ricordi?
4. Il ragazzo americano James Leininger
Un altro caso di presunta reincarnazione, forse il più documentato al mondo, sicuramente tra i più studiati, è senza dubbio quello di James Leininger, un ragazzo americano che oggi ha 23 anni.
James nasce in una cittadina della California nell’aprile del 1998 e sin dalla più tenera età si scopre appassionato di aerei.
Ha solo 18 mesi quando viene portato dal padre al Museo dell’aviazione di Dallas. Da quel momento qualcosa scatta nella testa del piccolo: cominciano frequenti incubi notturni, anche tre o quattro volte a settimana. Viene spesso trovato dai suoi genitori girato di schiena a tirare calci in aria.
Bruce e Andrea, il papà e la mamma, decidono di rivolgersi a uno specialista, il quale chiede al piccolo James, che aveva ormai tre anni, di parlare di quegli strani incubi.
E qui cominciano le sorprese: iniziano ad affiorare ricordi, situazioni e persino nomi di persone. James sostiene che un tempo pilotava un aereo, un Corsair (velivolo in funzione durante la Seconda guerra mondiale), e che era a bordo di una nave chiamata Natoma.
Non solo, ricorda che aveva un amico che si chiamava Jack Larson e di essere stato abbattuto dai giapponesi nella battaglia di Iwo Jima. I suoi ricordi si riflettono insistentemente anche nei disegni che fa: battaglie aeree, scontri a fuoco, bombardamenti sono il tema ricorrente con cui riempiva interi fogli di carta.
Temi che è difficile ritrovare così frequentemente nei disegni dei bambini. E, comunque, il piccolo James non era mai stato esposto a niente che potesse riguardare disastri aerei o navali o essere coinvolto in un incidente.
Il padre comincia ad avere seri dubbi e si rivolge alla Natoma Bay Association per chiedere lumi sulla battaglia di Iwo Jima. Gli viene detto che nel corso di quegli scontri un solo aereo era stato abbattuto: a pilotarlo era un ragazzo di 21 anni che si chiamava James, come il figlio.
Nel settembre 2004, quando il piccolo ha solo sei anni, i genitori decidono di portarlo a una riunione di veterani che si tiene proprio sulla Natoma. James, incredibilmente, riconosce alcuni dei compagni del James Houston morto in quell’incidente aereo, commentando con le parole “sono così vecchi”.
Non solo, quando a tavola vede il polpettone, James ricorda di non aver mangiato altro che quella pietanza quando era a bordo della nave. I genitori di James si mettono in contatto anche con Anne Barron, la sorella di James Houston.
Quando le telefonano James la chiama Anny, nomignolo con cui solitamente suo fratello la chiamava. Così i due si trovano incredibilmente a condividere segreti di famiglia che nessun altro al di fuori di loro avrebbe mai potuto conoscere.
Oggi James Leininger ha 23 anni. Così raccontò in una sua intervista: “Ho provato una sensazione molto particolare quando ho incontrato quelle persone, era una sorta di dejà vu. Anche se le persone che vedevo mi erano estranee, in qualche modo sentivo di conoscerle”.
James Tucker, il prosecutore degli studi di Ian Stevenson, che nel mondo ha esaminato migliaia di questi casi, continua a studiare quanto accaduto a James. Sostiene che è assolutamente sorprendente pensare che ci siano più di 50 verifiche incrociate di quanto lui ha raccontato e spiegato.
Riguardo al motivo per cui tutto questo può essere accaduto, James pensa che “Dio ha un piano, sforzarsi più di tanto per comprendere il suo operato è inutile perché rischieremmo solo di impazzire. Dio ha voluto che tutto ciò accadesse per un motivo ben preciso. È il suo piano, forse c’era qualcosa che doveva essere riportata alla luce attraverso di me. Tuttavia, finché non tornerò lassù non potremmo mai saperlo”.
A oggi sono in corso ancora degli studi su questa vicenda per capire anche cosa sia cambiato nella mente di James in virtù di questa esperienza.
5. Gli studi approfonditi di Ian Stevenson e la piccola ragazzina indiana
Per milioni di persone la reincarnazione è una certezza. Credono fermamente che quando moriranno la loro anima trasmigrerà per tornare in un altro corpo.
Ian Stevenson è stato professore dell’università della Virginia e il fondatore della divisione sullo studio delle percezioni e del paranormale.
Per primo ha studiato questo fenomeno in maniera scientifica. Ha affrontato 600 casi per la maggior parte di bambini, perché avrebbero raccontato le storia in maniera più chiara, più semplice.
Senza le esperienze di vita che avrebbero poi cambiato i ricordi, che nel tempo sarebbero svaniti. Stevenson, con molta attenzione, ha affrontato questo tema e ha raccolto casi su tutto il pianeta. Casi molto interessanti, come quello accaduto in India nella prima metà del Novecento: la storia di Shanti Devi.
L’11 dicembre del 1926, a Delhi, nasce una bambina destinata a diventare per gli indù la testimonianza vivente delle loro credenze: il suo nome è Shanti Devi. Fino all’età di quattro anni non parla. Quando lo fa, le sue prime parole sono sorprendenti.
Dice a sua madre che la sua casa non era a Delhi, ma a Mathura, una città a 140 chilometri di distanza dove aveva trascorso la sua vita passata. Il suo nome era Lugdi e suo marito si chiamava Kedarnath Chaube.
Shanti sorprende tutti: è in grado di descrivere la città con una precisione impressionante anche se non ci aveva mai messo piede. Ricorda persino com’era morta: dando alla luce suo figlio sette anni prima.
Per due anni i genitori considerano le sue parole come fantasie. Poi la madre si rende conto di non poter più ignorare i vividi racconti della figlia. Uno zio di Shanti si reca, quindi, a Mathura per indagare sulla vicenda. Le ricerche sembrano confermare l’intera storia.
Gli viene indicato un sarto che vive in città, la cui moglie di nome Lugdi era mora di parto l’anno prima che nascesse Shanti. L’uomo si chiama Kedarnath Chaube. Shanti era la reincarnazione di sua moglie.
La storia di Shanti desta grande scalpore in tutto il paese. Nel 1935 Mahatma Gandhi nomina addirittura una commissione per far luce sulla vicenda. Un’equipe formata da politici, scienziati e giornalisti conduce Shanti a Mathura per verificare nella bambina di nove anni la conoscenza di quei luoghi e quella gente.
Giunti sul luogo, le reazioni di Shanti meravigliano tutti: lei risponde correttamente a molte domande, anche se non a tutte. Due incontri, in particolare, sono davvero sorprendenti. Fuori dalla bottega del sarto, Shanti si imbatte in colei che nella presunta vita precedente avrebbe dovuto essere la sorella: Narmanda Bay.
“Mi riconobbe immediatamente”, racconta Narmanda. “C’era una folla enorme che spingeva, ma lei riconobbe ogni cosa: i vicoli, la gente del posto, il calzolaio, la lavandaia, tutti. Sapeva anche dove abitavano”.
Il viaggio culmina in un momento emozionante. Shanti incontra Navneet Lal, anche lui un bambino di nove anni, che ricorda: “Mi indicarono e chiesero a Shanti chi fossi. Lei rispose senza esitazioni: ‘È mio figlio’. ‘Come lo hai riconosciuto? Come fai a dire che è tuo figlio?’, le chiesero e lei rispose: ‘È la mia anima che ha riconosciuto la sua’. Poi scoppiò a piangere. Piangemmo tutti”.
Shanti, dunque, quel giorno riconosce immediatamente quello che sarebbe dovuto essere suo figlio. Per la commissione di esperti laici questa era la prova definitiva di una probabile reincarnazione. Nel 1987 Shanti Devi muore, all’età di 62 anni.
Il dottor K.S. Rawat, uno dei principali esperti indiani di reincarnazione, l’aveva intervistata solo quattro giorni prima. Alla domanda su cosa si aspettasse dal futuro, aveva risposto senza esitazioni: “Credo che raggiungerò la mia salvezza. Tutti devono attraversare gli alti e bassi della nascita e della rinascita. Il ciclo della mia vita attuale è finito: raggiungerò Dio nella prossima vita”.
Ma un anno dopo la morte vengono alla luce nuovi inquietanti elementi. Kedarnath Chaube, il presunto marito della vita passata, andava regolarmente a Delhi. Questa scoperta rischia di invalidare le affermazioni di Shanti. Nella capitale il sarto era solito recarsi in un negozio davanti casa della famiglia Devi.
È possibile che la bambina abbia ascoltato i racconti dell’uomo sulla sua vita a Mathura e inconsciamente li abbia assorbiti?
“Non si può sottovalutare il problema della suggestione inconsapevole da una conversazione in un corridoio, un genitore che racconta una storia, un membro della comunità che parla durante un raduno”, risponde il professor Phillip Sharp, premio Nobel per la medicina nel 1993.
“I bambini sono come spugne, totalmente ricettivi, pronti a lasciarsi suggestionare”. “Per concludere – afferma il dottor Rawat –, direi che quello di Shanti Devi sia un caso forte, ma con alcuni punti deboli”.