Vittorio Emanuele III: gli italiani gli affibbiarono il nomignolo di “sciaboletta”, per la sua bassa statura. Era alto infatti soltanto un metro e 53 centimetri.
Ma la levatura di Vittorio Emanuele III, come uomo di Stato, è oggetto da decenni di aspre discussioni. Il personaggio presenta infatti non poche contraddizioni.
Recentemente il rientro in patria della sua salma, per essere tumulata in Piemonte, insieme alla moglie, ha sollevato un polverone.
Ma chi fu davvero Vittorio Emanuele III e perché suscita sempre tante polemiche? Scopriamolo insieme.
1. Gli fu affibbiato il nomignolo di “sciaboletta”
Gli italiani gli affibbiarono il nomignolo di “sciaboletta”, per la sua bassa statura: era alto infatti soltanto un metro e 53 centimetri.
Ma la levatura di Vittorio Emanuele III, come uomo di Stato, è oggetto da decenni di aspre discussioni. Il personaggio presenta infatti non poche contraddizioni.
Nato l'11 novembre 1869, figlio di Umberto I e della regina Margherita, il sovrano italiano si spense, in esilio, ad Alessandria d’Egitto, settant’anni fa, il 28 dicembre 1947.
La sua figura è tornata alla ribalta lo scorso dicembre 2017, quando la sua salma ha fatto rientro in patria, per essere tumulata, insieme a quella della moglie Elena del Montenegro, nel santuario di Vicoforte, in Piemonte. Questo ritorno ha suscitato polemiche in tutta Italia.
Da una parte, esponenti di Casa Savoia, come Vittorio Emanuele e il figlio Emanuele Filiberto, hanno chiesto la traslazione del parente al Pantheon di Roma; dall’altra, la comunità ebraica è insorta di fronte a una richiesta ritenuta provocatoria e oltraggiosa verso la memoria delle vittime dell’Olocausto.
E molte altre sono state le critiche in tutto il Paese. Ma da dove nasce tanta ostilità? Dal punto di vista umano, Vittorio Emanuele è stato descritto come un individuo dal carattere arido e cinico, forse ulteriormente indurito dalla pratica del potere.
Eppure, poteva sorprendere per i suoi slanci di spontaneo sentimentalismo. Il suo matrimonio, ad esempio, fu felice: ogni giorno, il re raccoglieva personalmente un mazzo di fiori per la moglie Elena del Montenegro, nel vasto parco della sua residenza privata, Villa Ada, a Roma.
E aveva inoltre grandi passioni: era un’autorità nello studio della storia delle emissioni monetarie, tanto da pubblicare un’opera scientifica monumentale, in undici volumi: il Corpus nummorum italicorum.
La sua collezione numismatica privata appartiene oggi allo Stato italiano, e si trova presso il medagliere del Museo nazionale romano.
2. Quasi socialista
Aveva 31 anni quando il padre, Umberto I, fu ucciso a Monza il 29 luglio 1900, colpito da 3 proiettili sparati dall’anarchico Gaetano Bresci.
Fu in quei drammatici giorni che Vittorio Emanuele salì al trono.
Il nuovo sovrano esordì con uno stile quasi da “monarca socialista”, inaugurando una stagione di riforme politiche. Affidò la guida del governo dapprima a Giuseppe Zanardelli e poi a Giovanni Giolitti, due statisti che, per la prima volta, affrontarono la questione operaia.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Vittorio Emanuele si tenne su posizioni neutrali fino al maggio del 1915, quando entrò in guerra a Fianco dell’Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia) abbandonando l’alleanza, voluta dal padre, con Germania e Austria, in cambio di ampliamenti territoriali (l’Alto Adige, la Venezia Giulia, l’Istria, le Isole del Quarnaro) a scapito dell’Impero Austro-ungarico.
La visione di Realpolitik non gli impedì neppure di prendere in considerazione la prospettiva dell’inclusione dei socialisti nell’area di governo, soprattutto dopo che il Psi si affermò come prima forza politica, alle elezioni del novembre 1919, con il 32,4% dei voti.
Se, sotto il suo regno, non si verificò l’ascesa al potere del partito socialista “ufficiale”, è però altrettanto vero che il monarca di Casa Savoia nominò presidente del Consiglio, nel luglio del 1921, Ivanoe Bonomi, esponente di un piccolo gruppo parlamentare socialriformista.
3. Ambiguità
Alla fine dell’anno successivo però avvenne qualcosa che cambiò la politica nel nostro Paese per il ventennio successivo: la marcia su Roma e l’avvento del fascismo.
E proprio il suo rapporto con il regime e Mussolini è all’origine delle più aspre critiche che gli storici hanno mosso a Vittorio Emanuele III.
Tra i comportamenti più biasimati c’è l’atteggiamento che tenne durante la marcia su Roma, quando il 28 ottobre 1922 si rifiutò di firmare lo stato d’assedio propostogli dall’allora primo ministro Luigi Facta, con la motivazione di non voler scatenare una guerra civile nel Paese.
Con questo atto il re avrebbe potuto fermare le camicie nere, ma non lo fece e il giorno successivo Facta si vide costretto a dare le dimissioni. Il 30 ottobre il sovrano incaricò Mussolini di formare un nuovo governo.
Dopo la serie di attentati subiti dal duce, tra il 1925 e il 1926, il Savoia accettò che il governo fascista si trasformasse in regime, con la sospensione delle libertà democratiche, come la soppressione del pluralismo dei partiti e dell’informazione.
Le memorie segrete di Margherita Sarfatti, intellettuale e amante del duce, tuttavia, forniscono una versione diversa della successione di eventi che portarono Vittorio Emanuele III ad assecondare la trasformazione di Mussolini in un tiranno.
Dopo il discorso parlamentare del 3 gennaio 1925, nel quale Mussolini annunciò di fatto l’inizio della dittatura, non si produssero quegli eventi traumatici che l’opinione pubblica si attendeva. Perché?
Sarfatti rivela che dopo quel discorso Mussolini si presentò dal re, per reclamare lo scioglimento del Parlamento, ma Vittorio Emanuele resistette alle pressioni del capo del governo, sebbene queste si fossero trasformate in una velata minaccia.
Lo storico Marco Cuzzi lo considera una figura molto controversa mettendone a fuoco le aperte contraddizioni. Vittorio Emanuele era capace di arditi compromessi, come l’avallo della firma del Concordato con la Santa Sede dell’ll febbraio 1929, proprio lui che era un acceso anticlericale.
Spiega Cuzzi: «Vittorio Emanuele III è stato, insieme, un buon re e un monarca estremamente mediocre. Da un lato, all’inizio del suo regno, seppe guidare l’Italia verso una democrazia compiuta, superando i traumi della svolta autoritaria di fine Ottocento, e donò al Paese la sua ultima, grande stagione patriottica, rappresentando l’unità nazionale. Soprattutto durante l’ora del riscatto bellico, che dall’onta di Caporetto condusse alla vittoria del novembre 1918. Ma, al tempo stesso, portò il regno nel baratro della dittatura e, poi, di una guerra perduta».
4. Alleanze scomode e la grande fuga
Nella parte negativa del bilancio storico su Vittorio Emanuele III pesano soprattutto le pagine più infamanti della nostra storia: l’alleanza con la Germania e le leggi razziali del 1938.
Scelte che costarono ai Savoia l’insanabile frattura con gli italiani.
«All’inizio, il re vide in Mussolini un provvidenziale elemento restauratore dell’ordine, un baluardo contro il bolscevismo», spiega Cuzzi.
«Gli affidò il governo nel tentativo di salvare l’eredità gloriosa della Grande guerra. Ma, nella lunga coabitazione con il regime del duce, egli accettò troppi compromessi e chinò eccessivamente la testa. E, forse, la sua passività verso l’alleanza con il Terzo Reich di Hitler e la sua accettazione delle leggi razziali possono essere lette alla luce del timore che Mussolini potesse, alla fine, sbarazzarsi della monarchia».
«In realtà, tutto il lungo regno del “re soldato” si può leggere attraverso il filo conduttore della sua preoccupazione di salvare il destino della dinastia. Laddove gli interessi della nazione, e del popolo italiano, furono in conflitto con le sorti della Corona, Vittorio Emanuele antepose la seconda ai primi. Cioè, privilegiò le ragioni di Casa Savoia rispetto ai destini dei suoi sudditi», afferma Cuzzi.
Se ne ebbe la prova anche quando, dopo la firma deH’armistizio dell’8 settembre 1943, si pose il problema di come preservare la famiglia reale dalla vendetta dei tedeschi che si erano sentiti “traditi" dall’alleato italiano.
«Non bisogna dimenticare che il monarca pagò un prezzo personale molto alto per quell’accordo armistiziale. Sua figlia Mafalda, infatti, morirà, nel lager di Buchenwald, in Germania, il 28 agosto 1944».
«Io non credo che Vittorio Emanuele si fosse comportato da fellone, dopo l’8 settembre, e che la sua scelta di lasciare Roma e di riparare a Brindisi fosse stata dettata da vigliaccheria. La sola cosa che poteva fare, il sovrano di uno Stato legittimo, dinanzi al rischio concreto di essere catturato dai nazisti per divenire loro ostaggio, era rifugiarsi nell'unico lembo d’Italia ancora libero sia dai tedeschi sia dagli angloamericani. In tal modo, potè garantire la continuità istituzionale del Regno d’Italia».
In quell’estate del 1943, l’armistizio era stato preceduto dagli eventi del 25 luglio, che avevano portato alla caduta di Mussolini e alla sua sostituzione, alla guida del governo, con il maresciallo Pietro Badoglio.
Ancora oggi, il crollo del regime è avvolto da interrogativi e misteri, che coinvolgono anche la figura di Vittorio Emanuele, il cui ruolo nel colpo di Stato rimane oscuro.
Alla liberazione di Roma, da parte degli Alleati, nel tentativo disperato di salvare l’onore della dinastia, compromessa da vent’anni di sostegno al fascismo, il 5 giugno 1944 nominò suo figlio Umberto luogotenente generale del regno. Tecnicamente non abdicò.
Questo passo lo fece soltanto due anni più tardi, il 9 maggio 1946, dopo la fine della guerra e la rinascita della democrazia in Italia. Tuttavia poco dopo, al referendum istituzionale del 2 giugno, il popolo voltò le spalle ai Savoia scegliendo la repubblica.
5. La sua vita in 12 tappe
- 11 novembre 1869
Vittorio Emanuele nasce a Napoli, figlio del principe ereditario Umberto e di Margherita di Savoia. - 29 luglio 1900
Umberto I viene assassinato, a Monza, da un anarchico. Inizia il regno di Vittorio Emanuele. - 15 settembre 1904
Nasce Umberto, figlio di Vittorio Emanuele e della moglie Elena, unico figlio maschio e principe ereditario. - Ottobre 1922
In seguito alla marcia su Roma dei fascisti, il sovrano incarica Mussolini di formare il nuovo governo. - Novembre 1926
Emanazione delle leggi "fascistissime", aboliti il pluralismo politico, la libertà di stampa e i partiti. - 9 maggio 1936
Con la conquista del l'Etiopia, Vittorio Emanuele III assume il titolo di "re imperatore". - Settembre 1938
Il re firma le leggi razziali varate dal governo di Mussolini e rivolte soprattutto contro gli ebrei. - 10 giugno 1940
L'Italia, con l'approvazione di Vittorio Emanuele, entra in guerra a fianco dei tedeschi. - 25 luglio 1943
Dopo la sfiducia del Gran Consiglio del fascismo, il re dimissiona Mussolini e nomina Badoglio. - 8 settembre 1943
Il capo del governo annuncia l'armistizio con gli Alleati. Il re lascia Roma e si reca a Brindisi con Badoglio. - 9 maggio 1946
Abdicazione del re. Il 2 giugno gli italiani scelgono la repubblica e il re Umberto II va in Portogallo. - 28 dicembre 1947
Vittorio Emanuele muore ad Alessandria d'Egitto, dove si era ritirato dopo l'abdicazione.