C’è un mondo intero sotto i nostri piedi. Cave, vecchi acquedotti, tunnel, rifugi, catacombe…
Antiche città in tutto il mondo nascondono ancora nel sottosuolo numerosi segreti: racconti fatti di pietra che si intrecciano con una storia a volte millenaria.
In Italia ci sono vere e proprie “città del piano di sotto” a partire dalla fitta rete sotterranea di Napoli, dove si trovano cripte, cisterne e bunker che, nel tempo, hanno avuto gli usi più disparati.
Anche Torino nasconde nelle sue viscere affascinanti sorprese. Ci sono luoghi in cui passato e presente si sono fusi.
Ed ecco che i cunicoli sotto le colline del capoluogo piemontese, una volta usati come rifugi antiaerei, oggi ospitano un avanzatissimo laboratorio di astrofisica. E nei sotterranei di un moderno centro commerciale è presente un’antica ghiacciaia del 1600.
Non solo Napoli e Torino: l’Italia e l’Europa sono piene di questi luoghi del mistero. Derinkuyu in Turchia, Lascaux in Francia e Paola, nell’isola di Malta, nascondono segni di antichissime civiltà che abitavano nel sottosuolo e che, in alcuni casi, risalgono addirittura al Paleolitico.
1. Torino, nella "città del piano di sotto"
Una città ordinata, dove la vita si svolge lungo strade perfettamente allineate. Ortogonali, potremmo dire.
Percorrendo le vie di Torino non si può fare a meno di osservare come il segno lasciato duemila anni fa dall’impeccabile organizzazione urbanistica degli antichi romani si rifletta ancora oggi nel rigore geometrico delle arterie viarie.
Ma questa è solo la metropoli della superficie. Quella sotterranea è piuttosto estesa, anche se frammentata. Si espande come una città del piano di sotto.
Non ci sono soltanto i sotterranei delle grandi chiese antiche del centro storico, ma anche le gallerie militari del 1700. In più, man mano che ci si sposta verso la periferia, si scoprono i grandi rifugi antiaerei della Seconda guerra mondiale. Questa città parallela è stata scoperta negli ultimi anni.
Una rete sotterranea così fitta doveva certamente avere uno scopo ben preciso. Molte gallerie, ad esempio, avevano un ruolo difensivo: quelle che si trovano attorno alle mura fortificate della città, ad esempio.
Nel sottosuolo c’erano anche corridoi che mettevano in collegamento i palazzi e le chiese per facilitare o nascondere i movimenti di sacerdoti e aristocratici.
Poi ci sono luoghi davvero sorprendenti. Come quello del mercato di Porta Palazzo, uno dei più antichi, frequentato ogni giorno da migliaia di persone. Qui nel 2006, a seguito dei lavori eseguiti per realizzare un centro commerciale, sono state rinvenute alcune rovine sotterranee.
Oggi all’interno di un edificio moderno, che ospita decine di negozi, vecchio e nuovo si fondono e si confondono. Alcuni piani al di sotto del centro commerciale nascondono un ambiente antico, nel quale è possibile osservare una grande cupola che sembra un iglù.
Ed è proprio questa somiglianza che ne svela quella che in passato è stata la destinazione d’uso. Un tempo, come oggi, per conservare i cibi bisognava affidarsi al freddo. Quando non esistevano i frigoriferi, le comunità organizzavano grandi ghiacciaie.
Ebbene, questa cupola sotterranea era proprio il luogo in cui veniva portato il ghiaccio dalle montagne. L’interno della struttura ne rappresentava il cuore freddo.
Al di fuori della cupola, in un tunnel che girava tutto intorno, venivano conservate le derrate alimentari. La carne, ad esempio, stava nella zona della galleria più vicina all’iglù che era anche quella più fredda.
Nella foto sotto, la cupola-ghiacciaia rinvenuta nel 2006 al mercato di Porta Palazzo durante i lavori per costruire un centro commerciale.
A Torino c’è un altro luogo sotterraneo che merita attenzione. È sul Monte dei cappuccini, una collina vicina al centro storico della città, in cui fede e scienza si incontrano. Sulla vetta si erge il piccolo convento di Santa Maria al Monte, affidato ai frati cappuccini, luogo di grande importanza e spiritualità.
Nei suoi sotterranei si nasconde un laboratorio. Scendendo dal monastero ci si trova di fronte a un ingresso che in passato era un rifugio antiaereo. Ora è un laboratorio dell’Inaf, l’Istituto nazionale di astrofisica realizzato in collaborazione con l’università di Torino.
Questa struttura, che nel dopoguerra è stata donata al Cnr per trasformarla in un laboratorio, è a circa trenta metri di profondità. L’iniziativa, al tempo, è stata del professor Carlo Castagnoli, un vero e proprio pioniere della fisica cosmica.
Uno dei primi obiettivi di questo laboratorio è studiare come cambia l’attività del sole nel corso del tempo e come questa attività moduli il flusso di raggi cosmici nello spazio. Per farlo analizza i meteoriti caduti sulla Terra.
Questi corpi celesti conservano importanti informazioni sulle radiazioni solari. Ma si tratta di segnali debolissimi, grandezze infinitesimali che solo un luogo così isolato come il sotterraneo del Monte dei cappuccini permette di apprezzare.
Oggetto di ricerca del laboratorio torinese sono anche le variazioni del clima. Non sappiamo ancora, con certezza, come sia cambiato negli ultimi due millenni, quali siano stati i periodi caratterizzati da siccità, quali da alluvioni.
È importante conoscere questi dati per cercare di comprendere e interpretare l’eventuale ciclicità di questi eventi. Solo da due secoli gli esperti hanno a disposizione misurazioni sistematiche e certe.
I ricercatori del laboratorio del Monte dei cappuccini sono riusciti a trovare una soluzione originale per cercare di capire cosa sia successo in passato.
Per farlo sono andati a leggere informazioni trovate nei sedimenti marini del Golfo di Taranto. Il Po, sfociando nell’Adriatico, riesce a far arrivare la sua influenza fino in Puglia.
Bunker, stazioni di ricerca, antiche ghiacciaie e gallerie sono la prova di come, nel capoluogo piemontese, antico e moderno si siano coniugati.
Torino ha avuto negli ultimi anni una sorta di ‘piano di sotto’ che ha mantenuto e cristallizzato nel tempo quelle testimonianze che la ‘città di sopra’, più metropolitana e caotica ha, a volte, dimenticato.
Nella foto sotto, Monte dei cappuccini. La collina nella quale si trova il laboratorio sotterraneo di Torino.
2. Napoli, tra cripte e fiumi sotterranei
Da più di settemila anni, il sottosuolo della città partenopea è frequentato dagli uomini.
Composto principalmente da tufo creato dalle eruzioni dei Campi Flegrei di 40mila anni fa, è un terreno ideale da coltivare, ma offre anche la pietra migliore per scavare e costruire.
Tra ipogei funerari, catacombe, cave, gallerie e cisterne, Napoli esiste anche come “città di sotto”. Già, perché sotto l’asfalto, il traffico caotico e la vita dei quartieri, c’è una città dove i tempi della storia si sono intrecciati.
Passato e presente si sono irrimediabilmente fusi. E così le latrine dei rifugi antiaerei della Seconda guerra mondiale sono scavate in un tunnel borbonico, che scavalca una coppia di cisterne seicentesche che si innesta su un tratto dell’acquedotto romano.
Nei meandri della Galleria Borbonica Intorno al 1850 Ferdinando II di Borbone realizza una cavità sotterranea che si estende sotto la collina di Pizzofalcone, nel quartiere San Ferdinando: la Galleria Borbonica.
Inizialmente doveva essere soltanto un passaggio a disposizione delle truppe militari da Palazzo Reale alle caserme, ma le vere intenzioni erano di farla diventare anche un’opera di uso pubblico.
In realtà, la galleria è rimasta aperta a tutti solo tre giorni, dopodiché è stata utilizzata in mille altre maniere: durante la Seconda guerra mondiale come rifugio, per arrivare agli anni Settanta quando è diventata deposito giudiziario di vetture o motociclette i cui proprietari avevano avuto qualche problemino con la legge.
Proprio qui, ad esempio, sono stati depositati alcuni mezzi usati per compiere delitti o rapine, oppure automobili di persone che non riuscivano a estinguere i propri debiti economici. Una delle parti più colorate e folcloristiche di questo luogo è quella attualmente aperta al pubblico.
Attraverso strettissimi tunnel, un tempo riservati al passaggio dell’acqua, si raggiunge quella che viene chiamata la Cisterna delle quattro croci. Il nome è dovuto alla presenza, appunto, di quattro piccole croci incise in alto su una delle pareti.
Il significato delle incisioni non è ancora noto. Si può ipotizzare che qui, prima della realizzazione della cisterna, ci fossero alcune sepolture. Sempre attraverso il tunnel borbonico si può raggiungere un luogo aperto al pubblico solo di recente.
Seguendo un percorso che si chiama La via delle memorie si arriva a un’altra cisterna (foto sotto): in passato serviva il palazzo Serra di Cassano, che si trova esattamente qualche metro più in su, in superficie.
È stata abbandonata, come tante altre simili, verso la fine dell’Ottocento. Questi luoghi, che pure venivano puliti e tenuti in buono stato di conservazione, correvano il rischio di essere inquinati dai liquidi delle acque nere.
Come è successo alla fine dell’Ottocento, fattore che ha favorito la diffusione del colera in città. Da quel momento, gli acquedotti sono stati modernizzati, seguendo le tecnologie attuali, basate sui tubi. Una curiosità: questo ambiente, nel corso della guerra, è stato anche adattato a zona dedicata ai bagni.
La storia di Napoli è stata sempre sospesa tra eruzioni del Vesuvio, devastazioni, epidemie e pestilenze. Una città, dunque, che ha un rapporto con la morte sicuramente particolare. Lo dimostrano anche i suoi luoghi per i defunti, i cimiteri.
Quello delle Fontanelle, in particolare, ha una storia sorprendente. Pare contenga otto milioni di corpi. Non si sa se questa cifra sia vera: sarebbe stata stimata da uno studioso nell’Ottocento.
Il cimitero nasce come cava e diventa luogo di sepoltura in seguito a eventi catastrofici. Tra il 1500 e il 1600 sono avvenute epidemie, carestie, terremoti, eruzioni che hanno provocato numerose vittime. S
olo la peste del 1656 ha ucciso 250mila abitanti su 400mila. Una strage. I cimiteri delle parrocchie ben presto si sono saturati. Così, all’insaputa dei parenti, accadeva che gli addetti delle pompe funebri riesumassero i cadaveri per poi gettarli nelle cave.
Le leggende sul cimitero delle Fontanelle sono numerose: da quella della contessa che sarebbe morta strozzata da uno gnocco, da cui la posizione della bocca aperta, a quella del teschio del capitano che avrebbe poteri magici.
Ciò che è certo, è che qui, all’inizio del Novecento, è avvenuto il commercio delle “anime pezzentelle”. Si veniva nel cimitero e si sceglieva un teschio da ripulire e tenere in buona considerazione.
Poi la richiesta della grazia: se il defunto fosse apparso in sogno e avesse dato una qualche forma di aiuto, la famiglia avrebbe continuato a tenerne in considerazione il teschio.
Al contrario, lo avrebbe ributtato nel mucchio e sostituito con un altro. Una pratica che è andata avanti fino al 1968. L’ossario è stato chiuso al pubblico proprio per sdradicare questa consuetudine.
Nella foto sotto, il cimitero delle Fontanelle. Secondo una stima non confermata custodirebbe ben otto milioni di corpi.
3. Firenze, la fabbrica dell’acqua
Nei pressi della Spiaggia sull’Arno, a Firenze, c’è una grande torre. Dall’altra parte del fiume, se ne scorge una seconda: quella della Zecca vecchia.
È in quel punto perché, grazie alla forza motrice prodotta dall’acqua, riusciva ad avere l’energia necessaria per far funzionare le grosse presse che coniavano moneta, il fiorino d’oro.
In mezzo, sotto il letto dell’Arno, una serie di cunicoli costruiti nella seconda metà dell’Ottocento per servire il complesso che è stato chiamato Fabbrica dell’acqua.
Un tunnel oggi inaccessibile, in particolare, nasconde una storia affascinante: un passaggio segreto che unirebbe le due sponde in cui alcuni ragazzi nel 1950 hanno scoperto il cadavere di un militare risalente alla Seconda guerra mondiale.
Nel sottosuolo tra le due torri c’è un mondo. Un varco sul livello della strada e alcune scale conducono a una serie di chiuse.
La Fabbrica dell’acqua attingeva da una falda che si trova sotto il fiume: opportunamente condotta attraverso canali, il prezioso liquido attivava idrovore e pompe che erano in grado di spingerlo fino in collina.
L’acqua impiegata per mettere in moto queste pompe, una volta utilizzata doveva tornare nell’Arno attraverso una serie di canali. Uno, in particolare, che corre lungo l’argine e raggiunge Ponte Vecchio, dove restituisce l’acqua all’Arno.
La storia di queste gallerie è particolare. Mentre una veniva utilizzata per l’acqua, ce n’era un’altra, accessibile da una scala gemella, che aveva tutta un’altra funzione. Attualmente è allagata.
Attraversa l’Arno e passa sotto la cosiddetta pescaia di San Niccolò, una parziale diga artificiale che virtualmente collega le due torri, quella della Zecca e quella della Fabbrica dell’acqua.
Intorno al 1950, quando la galleria non era completamene sommersa, è stata esplorata da sei ragazzi spinti da spirito di avventura e di scoperta. I giovani hanno cominciato ad attraversarla e si sono subito resi conto che c’era una grande quantità di cunicoli.
In uno di questi hanno trovato il cadavere di un uomo. Indossava ancora la divisa da militare e aveva in mano un pugnale. Sicuramente era stato protagonista di un atto violento.
Impauriti, i ragazzi hanno cercato di tornare indietro, ma invece di raggiungere il punto d’accesso per uscire da dove erano entrati, sono arrivati fino all’altra sponda dell’Arno, sotto la Torre della Zecca.
Hanno scoperto, così, un passaggio di cui non si aveva più memoria. Oggi il tunnel è parzialmente crollato e allagato, probabilmente in seguito all’alluvione che nel 1966 ha messo in ginocchio la città.
Nella foto sotto, Pescaia di san Niccolò. Sullo sfondo si vede la torre della Fabbrica dell’acqua, in piazza Giuseppe Poggi.
4. Bologna, mistero sotto i portici
In un passato non molto lontano, il capoluogo emiliano era attraversato da corsi d’acqua che facevano dei suoi abitanti ottimi navigatori.
Nel 1271 i bolognesi hanno addirittura battuto Venezia in una battaglia navale.
Fino a trecento anni fa, chilometri di canali in muratura convogliavano le acque del Reno e del Savena attraverso ponti, porti e chiuse, una progettata addirittura da Leonardo Da Vinci.
Queste vie d’acqua fornivano l’energia idraulica necessaria a sostenere l’economia cittadina e permettevano il passaggio di migliaia di imbarcazioni cariche di merci. Ma, pian piano, Bologna ha rinunciato ai suoi canali.
Già a partire dall’alto Medioevo, quello delle Moline è stato coperto, creando una galleria sotterranea di sette chilometri. La stessa sorte è toccata progressivamente ai restanti canali a partire dall’Ottocento.
Per accedere ai canali interrati bisogna ricorrere a un passaggio angusto. A piazza San Martino c’è l’ingresso a un torrente completamente coperto dal cemento: oggi si può camminare su quello che era il greto dell’Aposa.
In alcuni tratti i mattoni delle pareti, che seppur datati provengono da fornaci, lasciano spazio alle grandi pietre utilizzate per la prima cinta muraria di Bologna: è di epoca romana e risale al IX secolo dopo Cristo. In questo luogo si fondono storie antiche e moderne.
Accanto alle tracce romane ce ne sono di più recenti. In un punto una targhetta riporta il nome di un operaio che ha eseguito interventi di manutenzione il 28 agosto del 1893.
Sempre lì è presente un ingresso, poi sigillato, dal quale alcuni rapinatori hanno provato a entrare nel caveau di una storica banca bolognese che si trova proprio nella piazza di sopra. Erano gli anni Settanta del Novecento. La rapina all’epoca è stata sventata.
In un punto del torrente Aposa, a venti metri circa dai basamenti delle torri degli Asinelli e della Garisenda e a otto metri di profondità, è possibile osservare un ponte romano la cui costruzione ha avuto inizio moltissimi anni fa (foto sotto). La parte più bassa risale al 189 avanti Cristo ed è realizzata con laterizi in maniera mista, un’arte chiamata opus incertum.
Poi si scorge quello che è stato un restauro nel I secolo dopo Cristo con pietra arenaria più robusta. C’è stato un altro intervento nel Quattrocento fatto, invece, con il gesso. Questo ponte è così importante perché sopra passava la via Emilia, che quando era dentro Bononia, questo il nome di Bologna all’epoca, era chiamata Decumano Massimo.
Oltre ai canali, un altro importante aspetto della Bologna sotterranea risale al periodo rinascimentale. È da poco passato il 1560, quando Pio IV propone di realizzare una imponente fontana per celebrare il papato. Ma c’è un problema: l’acqua dei canali non è abbastanza pulita. I bolognesi creano, così, la cisterna di Valverde.
È un luogo chiuso al pubblico che si trova nella periferia a sud della città. È accessibile grazie a una scala di pietra che permette di scendere sotto terra per circa quaranta metri.
Raggiunto l’ingresso ci si trova di fronte a una sala ottagonale, che più di una cisterna sembra un tempio, vista la cura con cui è stata realizzata: un lucernario sul soffitto a cupola consente alla luce di entrare e le pareti sono ornate da stemmi e affreschi.
Ci sono persino alcune nicchie che un tempo ospitavano statue ormai andate perdute, probabilmente trafugate. L’acqua arrivava da quattro canali che sfociavano dalle pareti della sala e riempivano alcune vasche poste sul pavimento.
I sedimenti rimanevano nella parte più bassa delle vasche. Solo l’acqua più in alto, quella più pura, entrava in un foro presente al centro della sala e riempiva la vera e propria cisterna sottostante.
Una serie di cunicoli consente di raggiungere la cisterna sottostante, luogo in cui l’acqua purificata attraverso le vasche cominciava un cammino lungo circa due chilometri. Questi luoghi sono stati utilizzati anche nel corso della Seconda guerra mondiale come rifugi contro i bombardamenti.
Il tunnel conduce fino a piazza Maggiore, il cuore della città, dove l’acqua alimentava la bellissima fontana monumentale di Bologna voluta da papa Pio IV. Quella che i cittadini chiamano affettuosamente “del gigante”: la celebre fontana del Nettuno.
Nella foto sotto, la cisterna di Valverde. La struttura è ottagonale per indicare che questa costruzione fosse cristiana. L’ottavo giorno è quello della resurrezione.
5. Europa, enigmi nella roccia
Città sotterranee e misteriose che rimandano a civiltà dalle origini oscure.
Cunicoli che nascondono segreti non ancora svelati. Sono numerosi i luoghi nel vecchio continente che gli archeologi stentano a decifrare completamente.
- L’Ipogeo di Paola sull’isola di Malta
Un sito realizzato sotto terra. Tre piani accuratamente costruiti, che sembrano voler sfidare tutte le nostre conoscenze.
È l’Ipogeo di Hal-Saflieni a Malta, patrimonio dell’Unesco nella città di Paola, nel sud dell’isola. Gli archeologi ritengono che il primo nucleo risalga almeno al 4000 a.C. e che fosse collegato a un tempio megalitico in superficie.
Anche per questo si pensa che solo i sacerdoti avessero accesso alla costruzione. Sembra accertato, inoltre, che il sito abbia avuto più di un utilizzo nel corso dei millenni.
Lo testimonierebbero le decorazioni a forma di spirale, di epoca più tarda e varie statuette raffiguranti la Dea Madre. I resti di quasi settemila persone, infine, confermano come, a un certo punto, questo luogo sia divenuto una necropoli.
Si sviluppa su tre livelli sotterranei. Le stanze, quasi tutte senza spigoli vivi, sono scavate nella roccia o realizzate da cavità naturali. È un vero e proprio labirinto, dove i misteri si perdono nel buio dei millenni.
Nella cosiddetta Stanza dell’oracolo, che si trova al secondo livello, c’è una piccola nicchia nella parete. Le parole anche solo sussurrate vengono diffuse con un’acustica perfetta. Dall’ingresso del terzo livello, si accede ad altre sei stanze.
Ci sono gradini appositamente sconnessi, poi un dislivello di due metri. Al buio o con una semplice torcia, si poteva perdere l’equilibrio e cadere. Risalire sarebbe stato complicato.
Non deve essere stata un’impresa facile la costruzione dell’Ipogeo: si lavorava con pochissima luce e come utensili si usavano semplici pezzi di roccia.
L’aria, poi, era poco respirabile e diveniva addirittura pestilenziale per il puzzo dei cadaveri gettati nelle fosse più profonde. In una delle stanze più segrete è stata trovata una statuina, piccola ma molto importante.
Conservata al Museo di archeologia di Malta, a La Valletta, rappresenta il culto della Dea Madre.
- Nei tunnel della Cappadocia
In Turchia, nella provincia di Nevsehir, c’è una città che ha un omonimo sotterraneo: è Derinkuyu.
In superficie un centro moderno, di poco più di ventimila abitanti, nel sottosuolo un’antichissima rete di gallerie un tempo abitate: 13 livelli che scendono fino a oltre 60 metri di profondità e collegano diverse città con stanze, depositi, chiese, ricoveri per gli animali e spazi attrezzati per la preparazione e la conservazione dei cibi.
Un luogo oscuro che poteva ospitare fino a cinquantamila persone.
Nel corso dei millenni, diverse popolazioni l’hanno utilizzato per sfuggire ad attacchi nemici. Secondo gli archeologi, la nascita di Derinkuyu risale a poco meno di tremila anni fa, all’età del bronzo, ma ci sono anche alcune teorie che si discostano e retrodatano il sito di qualche centinaio di anni.
Quel che è certo, è che l’edificazione di questa città e dei suoi tunnel deve essere stata un’impresa titanica, addirittura sorprendente per quel periodo.
- Francia, antiche pitture
Nella Dordogna c’è un paesino di poco più di duemila abitanti: Montignac. È qui che si trovano le celebri grotte di Lascaux, esempio mirabile di arte preistorica rupestre.
Disegni a parete che risalgono al Paleolitico superiore, circa ventimila anni fa. I soggetti sono per la gran parte enormi animali, dipinti con una ricchezza di particolari originale per l’epoca. Il complesso di caverne è diviso in stanze.
Le più importanti sono la grande sala dei tori, la lancia dell’uomo morto, il diverticolo dei felini e la galleria. In totale si tratta di circa 1.600 figure che fanno di questo luogo uno dei più enigmatici e spettacolari del genere nel mondo.