Pelle ambrata e occhi penetranti, una straordinaria bellezza unita a un’intelligenza acuta e sottile.
In questo modo le fonti antiche ritraggono la volitiva Zenobia, regina di Palmira, una donna colta che parlava fluentemente il greco e l’egizio, così come l’aramaico, e conosceva il latino, pur senza padroneggiarlo completamente.
Colta, astuta, pragmatica e volitiva, divenne, alla morte del marito, la sovrana di Palmira, la splendida città crocevia dell’Oriente, e con l’aiuto del filosofo greco Cassio Longino minacciò a lungo il dominio di Roma in tutta l’area.
Ma chi era veramente Zenobia, la sovrana che volle sfidare Roma? Scopriamolo insieme.
1. Zenobia e Palmira
Zenobia si proclamava erede della prestigiosa dinastia seleucide, che aveva governato la Siria nell’età ellenistica, e la sua famiglia aveva ottenuto la cittadinanza romana da una generazione.
L’immagine di regina astuta e pragmatica, che con l’aiuto del filosofo greco Cassio Longino a lungo minacciò la sovranità di Roma sull’Oriente, resterà eternamente avvolta nella leggenda.
Palmira, la città di Zenobia, nel centro della Siria, fu per oltre un millennio il crocevia più importante tra Occidente e Oriente, punto di incontro tra diverse civiltà che assorbì e fuse armoniosamente insieme.
Annessa all’Impero romano nel I secolo d.C., Palmira divenne un fiorente centro commerciale: la “perla del deserto”, come la chiamavano gli antichi viaggiatori, era una tappa obbligata sulla rotta delle carovane che giungevano da est.
Sorta intorno a un’oasi, Palmira era impreziosita da magnifici edifici, come il tempio di Bel, la principale divinità del pantheon palmireno, o il grandioso teatro romano, molti dei quali sono sopravvissuti al trascorrere dei secoli.
La stessa regina Zenobia, il cui nome in aramaico era Bat Zabbai, sembrava incarnare il pluralismo culturale che caratterizzava la Città delle palme.
Figlia di Giulio Aurelio Zenobio (che aveva acquisito la cittadinanza romana), nel 260 d.C. sposò Settimio Odenato, il Signore di Palmira, di origine araba, che si avviava a prendere il controllo della parte orientale dell’Impero romano, in quel momento profondamente indebolito da una crisi interna ed esterna.
In Oriente infatti si faceva sempre più minacciosa una grande potenza rivale: l’Impero persiano della dinastia dei Sasanidi. Il loro re, Sapore (Shapur) I, dopo aver conquistato la Mesopotamia invase la Siria e, a Edessa, in Assiria, nel 260 d.C., catturò addirittura l’imperatore Valeriano.
Nella foto sotto, l'arco monumentale che, risalente al III secolo d.C., si ergeva all’ingresso di Palmira. Fiorente sotto il dominio romano grazie al commercio carovaniero con l’Oriente, Palmira entrò in decadenza dopo la sconfitta di Zenobia nel 272.
2. Il sogno di un impero orientale
A risolvere la situazione intervenne nel 262 d.C. proprio Odenato che, nominato dux romanorum e corrector totius Orientis dal nuovo imperatore Gallieno, succeduto al padre Valeriano nel 260 d.C., sconfisse Sapore I e riconquistò la Mesopotamia, vendicando così l’umiliazione subita da Roma.
Fu presto chiaro però che le sue mosse erano dettate da un’ambizione del tutto personale: acquisire il controllo completo dell’Oriente romano e regnare solo e incontrastato dalla sua fastosa capitale: Palmira.
Le aspirazioni di Odenato furono tuttavia stroncate a pochi anni di distanza da un banale intrigo di palazzo. Il trionfatore palmireno morì infatti assassinato nel 267 d.C., forse proprio per ordine della sua seconda moglie, la regina Zenobia.
Quest’ultima fu nominata reggente fino alla maggiore età del figlio che aveva avuto da Odenato, Vaballato. Sotto il governo della regina rimanevano dunque Palmira e i domini appena conquistati in Oriente, territori che andavano dall’Eufrate alle frontiere della Bitinia.
Zenobia diede avvio a una politica espansionistica, tesa a costituire un forte Stato orientale indipendente da Roma.
A poco a poco, attraverso un’intelligente politica di alleanze con i vicini Stati dell’Armenia e della Persia, che temevano la sua inimicizia, e consigliata dal filosofo Cassio Longino, Zenobia sottomise i territori della Siria e proseguì fino a conquistare Arabia, Palestina, Cappadocia e Bitinia.
L’ambiziosa sovrana si impossessò perfino dell’Egitto, la più ricca tra le province dell’Impero romano, proclamandosi discendente di Cleopatra, colei che “aveva preferito la morte alla sottomissione”.
Nella foto sotto, l'area archeologica di Palmira. Si osserva la via colonnata che attraversava la città da nord a sud, affiancata da diversi edifici monumentali come il teatro e il tetrapilo e, in alto a destra, la valle delle tombe.
3. L’implacabile Aureliano
Zenobia seppe approfittare del momento di crisi che attraversava l’Impero, sottoposto a forti tensioni territoriali, dalla lontana Hispania fino all’Eufrate.
La regina sfidò Gallieno e respinse con forza i suoi generali; e l’imperatore successivo, Claudio II il Gotico, impegnato in un sanguinoso conflitto contro i Goti che premevano alle frontiere settentrionali dell’Impero, non poté contrastare né arginare le sue mire espansionistiche.
Tuttavia Zenobia avrebbe presto dovuto affrontare un avversario più temibile dei precedenti: Lucio Domizio Aureliano (foto a sinistra), il generale proclamato imperatore dalle truppe nel 270 d.C.
All’acume e alla cultura della regina orientale, Aureliano contrapponeva un’astuzia innata e una rigida disciplina militare, temprata sulle fredde frontiere del Danubio e dell’Illiria.
La sua audacia nei combattimenti era proverbiale: le fonti antiche riferiscono che egli uccise con le sue mani quarantotto Sarmati in un solo giorno e quasi mille nemici nelle battaglie seguenti.
Il suo valore fu lodato dai soldati e celebrato in rozze canzoni, il cui ritornello recitava: “Mille, mille, mille occidit”. Nei cinque anni del suo regno, Aureliano si dedicò con energia alla salvezza dell’Impero minacciato dai barbari e minato da rivolte interne.
Non solo ricacciò i Goti oltre il confine del Danubio e respinse gli Iutungi e gli Alemanni calati nella Penisola italiana, ma nel 273 d.C. riaffermò l’autorità di Roma sulla Gallia, che dal 270 d.C.si trovava sotto il controllo dell’usurpatore romano Esuvio Tetrico, annoverato peraltro fra i Trenta tiranni nella Historia Augusta, una raccolta di biografie del IV secolo d.C. che comprendeva le vite di imperatori, Cesari, pretendenti e usurpatori da Adriano a Numeriano (dal 244 al 253).
L’imperatore Aureliano ristabilì l’ordine e la disciplina delle legioni romane, imponendo un severo codice di condotta che proibiva il gioco e le pratiche divinatorie. Le punizioni per chi disobbediva erano talmente dure che non si correva il pericolo che qualcuno commettesse una seconda volta la stessa colpa.
Aureliano si compiaceva di essere più temuto dai suoi stessi soldati che dai suoi nemici. Era dunque chiaro che l’affronto di Zenobia, che insieme al figlio Vaballato aveva disconosciuto la sovranità di Roma, autoproclamandosi Augusta nel 272 d.C., non sarebbe rimasto a lungo impunito.
Aureliano in persona marciò verso Oriente alla testa di un possente esercito, per sottomettere la fiera sovrana della Città delle palme.
La regina Zenobia venne privata dei suoi domini territoriali, che caddero l’uno dopo l’altro, e perse i suoi alleati, che le voltarono le spalle, a mano a mano che le legioni romane avanzavano inarrestabili. Sconfitta ad Antiochia e a Emesa, alla regina non restò che mettersi in salvo dietro le mura della sua splendida capitale.
Nella foto sotto, un'altorilievo funebre. Le tombe dei ricchi mercanti di Palmira erano decorate con magnifici rilievi, come questo, che raffigura Zenobia con una dama di compagnia. Museo Nazionale, Damasco.
4. Il lungo assedio
Non fu una campagna facile per Aureliano, che dovette attraversare il deserto siriano, tormentato dai continui attacchi degli uomini di Zenobia, che agivano con tattiche di guerriglia.
Il Romano non sottovalutò la rivale, nonostante il disprezzo dei suoi soldati per un esercito comandato da una donna.
Quando finalmente giunse davanti alle mura di Palmira, propose alla regina di arrendersi a condizioni di favore. Ma Zenobia rifiutò sprezzante la resa. Cominciò quindi il lungo assedio.
La sovrana si aspettava che i Romani sarebbero stati piegati dalla fame e dal duro clima desertico, ma Aureliano era prima di tutto un efficiente militare e organizzò efficacemente l’approvvigionamento delle sue truppe, privando nel contempo Palmira di qualsiasi tipo di rifornimento o aiuto esterno.
Nel frattempo il suo fidato generale Marco Aurelio Probo portava a termine la sanguinosa riconquista dell’Egitto, durante la quale andò distrutta gran parte della celebre biblioteca di Alessandria.
I soccorsi inviati a Palmira dai popoli alleati come Saraceni e Armeni furono intercettati, e la regina, ormai disperata, tentò di fuggire a dorso di un dromedario verso la Persia, ma venne catturata mentre cercava di attraversare il fiume Eufrate.
La Città delle palme non tardò ad arrendersi, lasciando tutti i suoi tesori nelle mani dei Romani.
Nella foto sotto, il tetrapilo di Palmira. È una struttura monumentale del II secolo d.C. formata da quattro gruppi di quattro colonne di granito rosa. Ricostruito recentemente, conserva una sola colonna originale.
5. Esibita come bottino di guerra
Lo scontro tra Zenobia e Aureliano si concluse con il pieno trionfo dell’imperatore romano e la scena della resa della regina viene narrata nella Historia Augusta.
Pare che la fiera regina si prostrò davanti al vincitore e quando Aureliano le chiese come avesse osato opporsi così insolentemente a Roma, lei rispose abilmente: “Riconosco come imperatore te che mi vinci”, facendo capire che al contrario gli imperatori precedenti erano stati indegni della sua obbedienza.
Secondo la leggenda, Zenobia fu trasportata a Roma perché sfilasse, legata in catene d’oro, insieme all’usurpatore Esuvio Tetrico, nel trionfo celebrato in onore di Aureliano.
Sulla sua sorte vi sono però versioni contrastanti. Secondo alcune fonti morì con tutti i membri della sua famiglia poco dopo il suo arrivo nell’Urbe, per malattia o per decapitazione.
Altri storici riferiscono invece che l’imperatore Aureliano, colpito dalla bellezza della regina, la perdonò e le concesse un esilio dorato in una villa di Tivoli, vicino Roma, dove visse nel lusso fino alla morte, nel 275 d.C.
Sembra addirittura che la sua discendenza continuò a sopravvivere tra le famiglie aristocratiche romane.
In ogni caso, qualunque sia la verità, la figura di Zenobia era destinata a catturare l’immaginazione di storici, artisti e letterati, che per secoli avrebbero evocato la vicenda dell’ambiziosa e altera regina orientale che aveva osato sfidare la potente Roma.