Motivata di volta in volta da odio, oro, onore o sete di libertà, la guerra si è rivelata l’impresa umana più duratura della Storia.
Il progresso intellettuale ha saputo curare le malattie, costruire grandi metropoli e dare vita a un mondo globalizzato, ma il ricorso alla guerra non è diminuito, né si è ridotto il tributo di sangue che essa pretende.
Anzi, il perdurare dei conflitti ha impresso una spinta sempre più forte alla messa a punto di dottrine e tecnologie in grado di assicurare il conseguimento del dominio assoluto sul campo di battaglia: pensiamo alla fanteria pesante di Roma che falcia le orde barbariche, al cavaliere che travolge con il suo destriero i fanti medievali, alle macchine d’assedio che spianano le città rinascimentali o alle disciplinatissime fanterie armate di moschetto dell’era napoleonica.
In epoca moderna, la capacità di impiegare tecnologie sofisticate per conquistare terra, mare e cielo ha conferito ai militari un potere senza precedenti.
Ma, come scrisse il pensatore militare svizzero Antoine-Henri Jomini, «la superiorità negli armamenti può aumentare le probabilità di successo in guerra, ma da sola non vince le battaglie».
Il crescente ricorso alla tecnologia ha creato la necessità di truppe meglio addestrate e più motivate, e il rassegnato coscritto che combatteva per il suo signore è stato sostituito dal professionista esperto e allenato, capace di combattere a oltranza.
La guerra ha anche colpito l’immaginazione di personalità della cultura che hanno studiato l’arte di condurla, stilando un infinito numero di volumi su come infliggere la massima distruzione al nemico, limitando nel contempo le proprie perdite entro dimensioni accettabili.
Questi uomini (filosofi, poeti, politici e anche semplici fanatici) sono stati motivati tutti dalla promessa di una guerra gloriosa, o dall’imperativo patriottico di difendere la propria terra.
Le parole di Sun Tzu, Machiavelli, Clausewitz e molti altri hanno edotto e ispirato i generali verso la vittoria, e ancora ai giorni nostri rappresentano un punto di riferimento per la corretta conduzione della guerra.
Ma, insieme alla dottrina e alla tecnica, emergono ogni volta le figure dei leader, gli uomini che di fatto sul campo di battaglia sanno guidare i loro soldati alla gloria eterna o a una sconfitta rovinosa.
Nonostante i progressi dell’industria e della tecnologia, però, non si è mai ottenuta un’innovazione capace di cambiare una semplice verità: in guerra gli esseri umani uccidono e si fanno uccidere. Lo dimostrano dieci tra le battaglie più sanguinose della Storia.
Alcuni di questi scontri sono stati combattuti per avidità, ambizione o desiderio di conquista. Tutti saranno ricordati per la distruzione e le devastanti perdite di vite umane che hanno causato.
1. La battaglia di Isso (333 a.C.) e la battaglia di Canne (2 agosto 216 a.C.)
- La battaglia di Isso (333 a.C.)
Nel corso del IV secolo a.C., le straordinarie vittorie del macedone Alessandro Magno composero un impero che si estendeva dai deserti dell’Egitto fino ai confini dell’India.
L’ambizione di Alessandro era una, ed era immensa: trasformare il regno di suo padre Filippo, una regione marginale della Grecia settentrionale, in una potenza capace di guidare il mondo.
Il risultato fu di sprofondare il Mediterraneo orientale e la Persia in una guerra senza fine. La battaglia di Isso diede inizio alla sua grande campagna in Oriente, sconfiggendo i Persiani in campo aperto e spalancando ad Alessandro e alla sua armata le sconfinate distese d’Oriente.
Fu una battaglia rimarchevole per la sua spietatezza. Alessandro era un capo incapace di mezze misure, e quando le sue armate erano in campo non prendeva in considerazione altro che la vittoria totale.
Il suo successo a Isso scaturì dalla conoscenza e dal sapiente uso del territorio, dai suoi falangiti ben addestrati ed equipaggiati, e dalla scarsa disciplina delle truppe persiane. Alessandro schierò i suoi falangiti (armati di una lunghissima lancia, detta sarissa) al centro, per fronteggiare i nemici oltre un fiume, e posizionò la cavalleria sui fianchi.
L’imperatore persiano Dario ritenne che proprio i fianchi fossero i punti deboli dell’avversario e lanciò un attacco generale sulla sua sinistra.
Alessandro ordinò alla sua cavalleria di tenere il campo mentre falangiti e Persiani lentamente si avvicinavano per scontrarsi al centro. Falangiti e cavalleria riuscirono a trattenere i nemici, creando però uno stallo pericoloso.
Alessandro vide che la sua carta migliore per la vittoria era una carica sull’ala destra persiana: lanciò la sua cavalleria contro quella avversaria travolgendola e costringendo Dario ad abbandonare il campo e fuggire. Invece di inseguirlo, Alessandro manovrò la cavalleria e caricò ancora alle spalle della fanteria nemica.
Lance e scudi si spezzarono contro l’impeto di Alessandro, e l’enorme esercito persiano venne schiacciato dal peso della cavalleria e delle sarisse dei falangiti.
Con le schiere al centro distrutte, Dario ordinò la ritirata, seminando il panico tra i suoi, che fuggirono in disordine. Approfittando della rotta dei Persiani, Alessandro radunò la sua cavalleria per l’ultima volta e la lanciò all’inseguimento, massacrando i nemici in fuga.
COMBATTENTI
Regno di Macedonia contro Impero Persiano
PERDITE
Macedoni: 7.000
Persiani: 20.000
CONSEGUENZE
Alessandro penetrò in Persia, provocando il collasso dell’Impero. Quindi sposò un’esponente della famiglia reale persiana, consolidando così il suo dominio sul Medio Oriente.
- La battaglia di Canne (2 agosto 216 a.C.)
Canne rappresenta una delle peggiori sconfitte subite dalla Repubblica di Roma e dalla sua orgogliosa macchina da guerra.
I suoi comandanti Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone furono superati in astuzia e maestria tattica dal cartaginese Annibale, che usò il terreno, la forza militare e il tempo per trasformare la pianura pugliese in una trappola mortale.
Nel 216 a.C., Annibale (considerato da molti il più grande tattico militare di ogni tempo) aveva già attraversato le Alpi e conquistato ampi tratti d’Italia: molte città della Penisola si erano unite a lui, al punto che le sue armate minacciavano la sopravvivenza stessa di Roma.
Non si poteva continuare oltre, così il Senato romano decise che Annibale doveva essere affrontato. Emilio Paolo e Terenzio Varrone furono eletti consoli con il compito di guidare l’esercito, per sconfiggere i Cartaginesi e vendicare l’onore di Roma.
Ma Terenzio Varrone era ambizioso, molto sicuro di sé e troppo ansioso di sconfiggere Annibale. Quando incontrò l’armata cartaginese a Canne, aveva con sé oltre 80 mila uomini, e non vedeva perché aspettare e permettere ad Annibale di sfuggirgli di mano.
Così dispose la fanteria pesante in una formazione progettata per travolgere i Cartaginesi con la forza della massa armata. Desideroso di una rapida vittoria, lasciò i suoi fianchi pericolosamente esposti all’accerchiamento, e Annibale ne approfittò.
Attaccò rapidamente le ali romane con la sua cavalleria, più numerosa e meglio addestrata, e ordinò che la fanteria al centro cedesse lentamente terreno all’impeto di quella romana, per attirarla in una sacca.
Così, mentre i legionari ricacciavano indietro i Cartaginesi, la trappola di Annibale si chiudeva dietro di loro. I Romani erano così accalcati l’uno sull’altro da combattere con difficoltà, divenendo in tal modo facile preda dei nemici.
Alcuni riuscirono a fuggire, aprendosi letteralmente una via in mezzo ai ranghi cartaginesi. La maggior parte, però, morì senza poter reagire, imprigionata nella trappola ordita da Annibale.
Come scrisse lo storico greco Polibio, «poiché ininterrottamente morivano quelli intorno a loro ed erano rinchiusi in breve spazio, alla fine caddero tutti sul posto».
COMBATTENTI
Cartagine contro Roma
PERDITE
Cartaginesi: 5.700
Romani: tra i 55.000 e i 70.000
CONSEGUENZE
Dopo la vittoria di Canne, Annibale continuò l’occupazione di ampie zone del Mezzogiorno, finché l’incrollabile tenacia di Roma lo costrinse a fare ritorno in Africa, dove fu battuto.
2. La battaglia di Salsu (612 d.C.) e la battaglia delle Scogliere Rosse (201 d.C.)
- La battaglia di Salsu (612 d.C.)
Questo antico scontro detiene il poco invidiabile primato di essere uno dei più sanguinosi mai combattuti in campo aperto.
Ebbe luogo sulle pianure della Corea settentrionale, tra il regno coreano di Goguryeo e gli eserciti invasori della Cina imperiale.
Dopo poche ore dal suo inizio, poteva già contare più di 300 mila morti. Nel 612 d.C., sotto la dinastia Sui, la Cina imperiale aveva intrapreso una politica espansiva per ragioni di controllo sulla sua politica interna.
Il piccolo Regno di Corea pareva una perfetta occasione di conquista, anche perché i cinesi ritenevano i coreani deboli, dal punto di vista sia militare che politico.
Più di un milione di soldati cinesi invase la Corea in una delle più grandi spedizioni terrestri mai tentate dalla Cina imperiale, con l’intenzione di distruggere il regno di Goguryeo, nel Nord del Paese, e sostituirlo.
I coreani, però, non avevano alcuna intenzione di sottomettersi alle ambizioni cinesi e combatterono un’efficace guerriglia, tormentando gli invasori con azioni di logoramento che ne minavano il morale e frustravano ogni sforzo per assicurarsi il dominio del territorio.
Alla fine i cinesi raggiunsero un piccolo fiume a nord di Pyongyang, dove i coreani avevano fermato la loro corsa e si erano preparati a fronteggiarli.
Il generale coreano Eulji Mundeok sapeva di non avere speranze di vincere una battaglia campale contro gli invasori, così si avvalse del potere della natura.
Il fiume che i cinesi stavano attraversando aveva le acque basse a causa di una chiusa a monte, ma Eulji aprì la diga proprio mentre lo stavano guadando, provocando un’enorme ondata di piena che rovinò lungo la vallata. I cinesi non ebbero la possibilità di reagire: l’intera area venne allagata, travolgendo e affogando i soldati appesantiti dalle armature.
Quanto rimaneva dell’esercito invasore cercò di riunirsi, ma un’impetuosa carica di cavalleria coreana piombò implacabile, sbaragliando i sopravvissuti.
I cinesi tentarono una rapida ritirata, ma la gran parte non riuscì a tenere a distanza i coreani assetati di vendetta. Una scia di sangue e di morte segnò la strada del ritorno verso il confine tra Cina e Corea nella penisola di Liadong.
COMBATTENTI
Regno di Goguryeo contro Impero della Cina
PERDITE
Regno di Goguryeo: minime
Cinesi: 300.000
CONSEGUENZE
La dinastia cinese Sui iniziò il suo declino a causa della perdita di vite umane e fu infine sostituita dai Tang. Il Regno di Goguryeo venne lasciato in pace.
- La battaglia delle Scogliere Rosse (201 d.C.)
Questo scontro leggendario è ricordato nel folclore cinese come la storia dei “pochi contro molti”.
Due fazioni guerriere si fronteggiavano per decidere il destino del Paese: da un lato le forze alleate dei signori della guerra del Sud, Liu Bei e Sun Quan; dall’altro le forze, numericamente soverchianti, del signore della guerra delle pianure settentrionali, Cao Cao, deciso a riunire l’Impero sotto la sua guida tirannica.
Bei e Quan sapevano di non avere alcuna chance contro Cao Cao in una battaglia in campo aperto, e che l’unica via d’uscita era il ricorso all’astuzia. Così diedero inizio alla battaglia sul fiume Yangtze, dove la flotta improvvisata di Cao Cao era più vulnerabile.
Dopo una breve schermaglia, Bei e Quan finsero di arrendersi, inviando le proprie ammiraglie sul fiume per negoziare un accordo; ma le navi, invece di un’offerta di pace, portavano materiale infiammabile al quale venne dato fuoco, così da appiccare l’incendio anche alla flotta di Cao Cao, che venne distrutta.
Migliaia di uomini, fra soldati e marinai, bruciarono vivi in quell’immenso rogo, e Cao Cao fu costretto a ritirarsi, lasciando la vittoria ai signori della guerra del Sud.
La battaglia fu combattuta sull’acqua.
COMBATTENTI
Gli eserciti di Liu Bei e Sun Quan contro l’esercito di Cao Cao
PERDITE
Non esistono stime sicure, ma la battaglia coinvolse una cifra vicina al milione di uomini, con migliaia di perdite da entrambe le parti.
CONSEGUENZE
Le Scogliere Rosse impedirono alla Cina di riunirsi sotto un unico sovrano.
3. L’assedio di Bagdad (29 gennaio-10 febbraio 1258) e la battaglia di Towton (29 marzo 1461)
- L’assedio di Bagdad (29 gennaio-10 febbraio 1258)
Nel 1258, l’orda dei Mongoli era dilagata dalla Cina alla Persia e stava minacciando i regni mediorientali dei califfati islamici.
Alle loro spalle, i Mongoli avevano lasciato una scia di distruzione, ridotto i popoli in schiavitù e dato vita a spaventose storie di cavalieri invincibili che devastavano la civiltà ovunque la incontrassero.
Bagdad, al centro di un’oasi in mezzo al deserto, era un obiettivo troppo invitante perché il capo mongolo Hulagu Khan non le mettesse gli occhi addosso.
Dopo aver radunato la più grande orda mongola mai impegnata sul campo in un luogo solo (quasi 150.000 guerrieri), si precipitò su Bagdad e la cinse d’assedio. I Mongoli tagliarono le linee di rifornimento della città e iniziarono a costruire macchine da guerra per abbatterne le mura.
Il sovrano di Bagdad, Al-Musta’sim, era convinto che il mondo musulmano non avrebbe tollerato l’ignominia di una grande capitale islamica caduta in mano ai barbari, ma riponeva un’eccessiva fiducia nelle sue relazioni diplomatiche e fu lasciato solo a fronteggiare l’orda.
Quando la situazione si fece disperata, tentò una sortita contro i Mongoli con la sua cavalleria, sottovalutando però l’adattabilità, la resistenza e l’astuzia del nemico.
Gli assedianti, infatti, gli avevano teso una trappola, allagando un fosso e chiudendo la cavalleria nemica tra l’acqua e l’orda per poi annientarla. L’assedio riprese, ma per quanto i difensori combattessero con valore non erano abbastanza numerosi per fermare l’attacco a ondate portato dai Mongoli.
Le mura furono distrutte e la cinta esterna occupata. Al-Musta’sim tentò di trattare la resa della città ma le sue proposte vennero rifiutate: la città fu presa d’assalto e saccheggiata, e la popolazione massacrata.
L’entità della strage compiuta dai Mongoli fu spaventosamente alta: le stime variano dai 200 mila agli 800 mila civili uccisi senza pietà, ma sembra di poter parlare con sicurezza di alcune centinaia di migliaia trucidate sul posto o mentre cercavano scampo nella fuga.
Prima dell’arrivo dei Mongoli, Bagdad era un centro di civiltà, studi e cultura, dotato di un’immensa biblioteca invidiata dal mondo occidentale.
Ora la città era in rovina, le strade disseminate di cadaveri e i pochi sopravvissuti ridotti in schiavitù. I Mongoli proseguirono la loro marcia, lasciandosi alle spalle nient'altro che macerie fumanti.
COMBATTENTI
Impero Mongolo contro Califfato Abbaside
PERDITE
Mongoli: minime
Abbasidi: 50.000 soldati e fino a 800.000 civili
CONSEGUENZE
Dopo l’assedio, i Mongoli furono costretti a ritirarsi da successivi combattimenti.
- La battaglia di Towton (29 marzo 1461)
Nota come la più sanguinosa battaglia mai combattuta sul suolo inglese, Towton fu uno degli scontri decisivi della Guerra delle Due Rose.
Combattuta sui campi gelati dello Yorkshire, vide schierata la casa di York contro quella di Lancaster.
Le forze degli York erano inferiori di numero, ma il loro capo, Lord Fauconberg, seppe trarre vantaggio dai forti venti che soffiavano verso lo schieramento dei Lancaster per decimarli con un fitto tiro di frecce.
L’effetto psicologico fu devastante per gli uomini dei Lancaster, i cui tiri venivano invece vanificati dal vento contrario.
La battaglia sfociò quindi in un brutale combattimento corpo a corpo che si prolungò per ore, tingendo di rosso il paesaggio innevato.
Quando lo scontro giunse al termine, 30 mila uomini giacevano morti sui campi ghiacciati dello Yorkshire.
COMBATTENTI
Casa di York contro Casa di Lancaster
PERDITE
Casa di York: 10.000
Casa di Lancaster: 20.000
CONSEGUENZE
Sconfitti i Lancaster, il controllo della casa di York sul trono era assicurato, e infatti Edoardo duca di York fu proclamato sovrano d’Inghilterra nel giugno 1461. Fu il primo re inglese appartenente a questa casata.
4. La battaglia di Malplaquet (11 settembre 1709) e la battaglia di Lipsia (16-19 ottobre 1813)
- La battaglia di Malplaquet (11 settembre 1709)
La battaglia di Malplaquet fu accompagnata dal rombo del cannone e dal crepitio dei moschetti.
Un’alleanza di Paesi che comprendeva Gran Bretagna, Prussia, Austria e Province Unite (l’Olanda) scese in campo per impedire che la Francia prendesse il controllo della Spagna e del suo vasto impero coloniale in forte espansione.
Fu la battaglia più sanguinosa della Guerra di successione spagnola e forse di tutto il secolo. Il conto delle perdite delle forze alleate e di quelle francesi ammonta a decine di migliaia; polvere da sparo, cannoni e cavalleria pesante trasformarono il campo di Malplaquet in un mattatoio, anticipando le carneficine che avrebbero devastato quelle terre due secoli dopo.
I francesi lasciarono che le forze dell’Alleanza avanzassero contro di loro, godendo così del vantaggio della difesa e facendo a pezzi le forze austriache e olandesi che tentavano di prenderli sul fianco.
Alla fine, le posizioni francesi vennero sopraffatte, ma solo dopo che migliaia di uomini dell’Alleanza erano stati uccisi dall’intenso sbarramento di fuoco che li contrastava. A questo punto i britannici si scontrarono con il centro francese, sbaragliandolo: la cavalleria britannica caricò e fece strage dei fuggitivi.
Benché l’Alleanza avesse vinto, le perdite subite dalle sue truppe furono così alte da rendere impossibile l’inseguimento del nemico in ritirata, e questo permise ai francesi superstiti di combattere ancora.
COMBATTENTI
Alleanza di Gran Bretagna, Austria, Province Unite, Prussia contro Francia e Baviera
PERDITE
Alleati: 21.000
Francesi e bavaresi: 11.000
CONSEGUENZE
A Malplaquet, i moschetti vennero usati su larga scala, dimostrando che ormai era più facile tenere una posizione che attaccarla.
- La battaglia di Lipsia (16-19 ottobre 1813)
Con oltre 600 mila uomini coinvolti, la battaglia di Lipsia fu il più grande scontro tra eserciti per numero di truppe impiegate prima della Grande Guerra.
A scatenarla furono l’orgoglio e l’ambizione sfrenata di Napoleone, che trascinò l’Europa in una guerra totale per imporsi in terra tedesca.
Contro di lui, un ampio fronte di nazioni determinate a resistere alla sua volontà di potenza: la Coalizione, che includeva Prussia, Svezia, Russia e Austria.
I contendenti si scontrarono nei campi attorno a Lipsia in un’epica resa dei conti che provocò la morte di oltre 100 mila uomini. Il piano di Napoleone era semplice: distruggere un pezzo alla volta l’enorme armata che la Coalizione aveva riunito, come aveva fatto in precedenti campagne, grazie all’unità della sua Grande Armée.
Il primo giorno il piano sembrò funzionare: due sanguinosi combattimenti contro truppe austriache e prussiane lasciarono a Napoleone il controllo di Lipsia e di gran parte del circondario.
Egli non riuscì però a sfruttare tali vittorie, permettendo ai due eserciti di raggrupparsi e ricevere rinforzi dalle altre armate della Coalizione. Il 18 ottobre ebbe luogo il più grande scontro mai combattuto nel XIX secolo.
Napoleone aveva ripiegato su Lipsia con l’intenzione di tenerla a tutti i costi, ma le truppe francesi erano ormai intrappolate e martellate dai continui assalti delle fanterie della Coalizione. L’unica via d’uscita prevedeva l’attraversamento di un ponte che conduceva verso la Francia e la salvezza.
Vedendo i suoi uomini massacrati, Napoleone ordinò una ritirata strategica verso quel ponte ormai minacciato dall’avanzata della Coalizione. Nel panico che ne seguì, uno spaventato caporale francese fece saltare il ponte convinto che la Coalizione stesse per occuparlo, proprio mentre i francesi lo stavano percorrendo.
L’esplosione fece saltare in aria centinaia di sfortunati soldati e ne intrappolò altre migliaia a Lipsia. Nonostante il caos, Napoleone riuscì a mettersi in salvo sulla riva occidentale, da dove poté assistere sgomento alla disintegrazione della sua grande armata. Era la prima volta nella sua carriera militare che il nemico gli infliggeva una simile sconfitta sul campo.
COMBATTENTI
La Grande Armée francese contro la Coalizione
PERDITE
Francesi: 60.000
Coalizione: 54.000
CONSEGUENZE
La Coalizione riuscì a conservare l’indipendenza delle regioni tedesche del Reno. Napoleone fu obbligato a ritornare in Francia, dove un anno dopo avrebbe abdicato al trono.
5. La battaglia della Somme (1 luglio-18 novembre 1916) e la battaglia di Stalingrado (23 agosto 1942-2 febbraio 1943)
- La battaglia della Somme (1o luglio-18 novembre 1916)
In termini di conteggio dei morti, la battaglia della Somme fu uno degli eccidi più sanguinosi della storia militare.
Il numero delle truppe coinvolte fu eccezionale, così come quello delle perdite. Nel luglio 1916, la Prima guerra mondiale aveva già seminato distruzione per quasi due anni, senza che nessuna delle due parti fosse riuscita a prevalere.
Le trincee avevano sigillato i fronti fra gli eserciti degli Alleati e delle Potenze Centrali, creando un’insidiosa terra di nessuno che entrambi cercavano molto faticosamente di conquistare.
Sir Douglas Haig, comandante supremo dell’esercito britannico nella battaglia, era convinto di avere la soluzione a questo stallo: un enorme bombardamento di artiglieria, il più poderoso di tutta la storia della guerra, avrebbe letteralmente polverizzato l’esercito tedesco e condotto gli alleati a una facile vittoria.
La sua fanteria avrebbe poi dovuto solo “farsi una passeggiata” attraverso la terra di nessuno e proseguire nella distruzione dell’intera forza militare tedesca.
Si trattava di una strategia non solo ambiziosa, ma anche irrealistica: le probabilità che l’artiglieria britannica riuscisse a sradicare tutto il filo spinato che difendeva le postazioni tedesche o eliminare i nidi di mitragliatrici nemiche erano molto scarse.
Solo nel primo giorno di battaglia, gli Alleati persero 70 mila uomini tra morti e feriti, praticamente senza alcun guadagno tangibile.
La maggior parte di queste perdite fu subita mentre le truppe alleate “passeggiavano” attraverso la terra di nessuno, solo per essere fatte a pezzi dal fuoco delle mitragliatrici tedesche o ridotte in polvere dai proiettili di artiglieria senza troppi complimenti.
L’attrito logorò i tedeschi in modo significativo, riducendo la loro capacità di sostenere il conflitto su altri fronti. Ma dopo aver registrato quasi un milione di morti, i contendenti di fatto si ritrovarono sulle stesse posizioni da cui erano partiti.
COMBATTENTI
Impero Britannico e Francia contro Impero di Germania
PERDITE
Britannici e francesi: 623.907 Tedeschi: 400-500.000
CONSEGUENZE
Per tragica ironia, Haig imparò dalla Somme la lezione sbagliata e si convinse che la strategia di attrito fosse quella vincente.
- La battaglia di Stalingrado (23 agosto 1942-2 febbraio 1943)
Nell’incubo feroce e concreto di Stalingrado si svolse uno scontro titanico tra potenze meccanizzate, che avvolse la città e l’intera Russia meridionale in una cupa nube di cenere e fumo.
Fu la battaglia che decise il destino dell’Unione Sovietica e segnò la fine della dottrina hitleriana del Lebensraum (spazio vitale) nella Russia occidentale. L’ossessione di Hitler per la conquista di Stalingrado sfidava ogni logica strategica.
Quel centro industriale era indubbiamente importante, ma non al punto da intestardirsi tanto irrazionalmente per conquistarlo, nella convinzione che il morale dei sovietici sarebbe crollato ponendo fine alla guerra sul Fronte orientale.
I sovietici rimasero sul filo del rasoio per gran parte della battaglia, e si trovarono costretti in un lembo sottile della città, avendo alle spalle il fiume Volga: la vittoria tedesca sembrava inevitabile.
Tuttavia il tempo lavorava per l’Armata Rossa. Le linee di rifornimento tedesche erano allo stremo e il clima gelido rendeva gli approvvigionamenti ancora più difficili. Stalin, inoltre, aveva messo in campo un’altra arma: il suo miglior comandante, il generale Georgij Zukov.
Scurrile e amante del bere, ma brillante e lucido stratega, Zukov era il capo spietato e deciso di cui l’Armata Rossa aveva bisogno per respingere l’invasore nazista. Nel novembre 1942 avviò un piano per salvare le truppe sovietiche a Stalingrado e al contempo accerchiare la Sesta armata tedesca.
Con l’operazione “Urano”, i sovietici sfondarono le linee tedesche nei loro punti più deboli, difesi da divisioni romene, riuscendo a circondare le truppe di Hitler a Stalingrado e a tagliarle fuori dal resto delle forze germaniche in Russia, condannandole così alla distruzione.
In città, l’Armata Rossa doveva tenere a ogni costo; l’obiettivo fu raggiunto grazie al fuoco incessante dei cecchini, alle trappole e a una costante azione di logoramento verso le linee tedesche. Un sottufficiale della Wehrmacht notò: «Sotto la tempesta di bombe crollano le mura delle fabbriche, i macchinari, le sovrastrutture.
Ma il nemico semplicemente ritorna e utilizza le rovine appena create per fortificare le sue posizioni». Il generale Paulus, comandante della Sesta armata, comunicava la situazione via radio a Berlino, cercando di convincere Hitler a consentirgli la ritirata.
Ma il Führer non ne volle sapere. Al contrario, Paulus ricevette l’ordine categorico di tenere la posizione o morire nell’impresa. Fu addirittura promosso a feldmaresciallo perché nessuno con tale grado si era mai arreso nella storia tedesca...
Nel febbraio 1943, con i suoi uomini affamati, congelati o morti, Paulus si consegnò invece all’Armata Rossa che lo assediava.
A Berlino fu tenuta una cerimonia ufficiale per celebrare l’eroico sacrificio della Sesta armata, sorvolando sul fatto che si fosse arresa. Stalingrado era ridotta a un ammasso di macerie e cemento fumanti.
Poco prima del cessate il fuoco, così commentò un ufficiale tedesco: «Gli animali fuggono da questo inferno. Solo gli uomini possono sopportarlo».
COMBATTENTI
Asse (Germania, Italia, Romania, Ungheria, Croazia) contro Unione Sovietica
PERDITE
Asse: 850.000
Sovietici: circa 1.150.000
CONSEGUENZE
Dopo Stalingrado, la Wehrmacht cominciò una parabola discendente sul Fronte orientale, consentendo ai sovietici di prendere l’iniziativa.