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Kosovo: lo Stato più giovane (e fragile) d’Europa

Diceva Winston Churchill che i Balcani producono più Storia di quanta ne possano consumare, perché lì i conflitti del passato sembrano non concludersi mai.

L’affermazione appare incontestabile soprattutto con riferimento al Kosovo, sulle cui origini esistono da sempre due verità: quella albanese e quella serba.

E dove la Storia appartiene a un eterno presente che continua a condizionare la politica anche ai giorni nostri.

Il Kosovo è lo Stato più giovane d’Europa. Ma l’indipendenza è giunta dopo secoli di conflitti tra albanesi e serbi e una recente feroce guerra.

Oggi, infatti, il Kosovo è uno Stato riconosciuto, ma la sua giovane e vulnerabile democrazia soffre ancora degli strascichi della sanguinosa guerra che negli anni Novanta infiammò i Balcani.

Per capire il presente, partiamo dalle origini.

 

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1. ANTICHE RIVENDICAZIONI E L'ARRIVO DEI TURCHI

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A riprova del loro “diritto storico” sul Kosovo, i serbi portano da sempre le centinaia di chiese, monasteri e fortezze serbe risalenti al Medioevo presenti sul suo territorio.

Gli albanesi replicano sostenendo di essere i discendenti delle tribù illiriche dei Dardani che popolarono la regione in epoca pre-romanica, e che nelle fondamenta di quei monumenti medievali si trovano resti di costruzioni illiriche.

Difficile stabilire chi abbia ragione. Si sa per certo che le popolazioni slave, poi identificatesi come serbe, si affacciarono per la prima volta nel territorio della regione intorno al VI secolo, ma se ne impossessarono realmente soltanto dopo l’anno Mille, subentrando al dominio bizantino.

I serbi identificano ancora oggi il Kosovo con la “Vecchia Serbia”: la città di Prizren è il cuore dell’antica dinastia reale dei Nemanja (che dominò dal 1089 al 1371), mentre nella cittadina di Pec (Peja in albanese) edificarono nel XIII secolo un monastero che è ancora oggi la sede spirituale della chiesa ortodossa serba.

Secondo la storiografia albanese, invece, i Nemanja non furono altro che conquistatori e usurpatori di terre albanesi. Il Kosovo è stato abitato da una maggioranza di slavi fino al XIV secolo. Le dinamiche demografiche cominciarono a cambiare con l’espansione ottomana nei Balcani.

L’Impero serbo, dilaniato dalle lotte per il potere dopo la morte di re Dušan, divenne una facile preda per l’efficiente macchina da guerra ottomana. Il 28 giugno 1389 i turchi sconfissero i serbi a Kosovo Polje, la Piana dei Merli, e iniziarono ad annettere i territori della regione risalendo lentamente la Penisola balcanica.

Quella battaglia (foto sotto), così come ci è stata tramandata, rimane il momento più epico e tragico della storia del popolo serbo, che perse la libertà ma riuscì a conservare la propria identità nazionale.

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Su di essa i nazionalisti hanno costruito un mito storico, politico e religioso accentuando il ruolo dei serbi negli eserciti sconfitti ma dimenticano di dire che tra le file serbe ci furono anche traditori e alleati degli ottomani.

La tolleranza religiosa di cui i cristiani del Kosovo beneficiarono in un primo momento venne meno a partire dal XVII secolo, quando l’impero iniziò a convertire forzatamente la popolazione all’islam.

Nel 1690, dopo l’arrivo dei turchi a Belgrado, decine di migliaia di serbi guidati dal patriarca ortodosso Arsenio III e incoraggiati dall’imperatore austriaco Leopoldo I lasciarono la “Vecchia Serbia” per insediarsi nei territori asburgici, dando il via alle grandi migrazioni verso nord e all’insediamento nell’attuale Serbia, in Vojvodina e in Slavonia (oggi Croazia).

Anche questo esodo, noto come Velike seobe (“Grande migrazione”), è un episodio cruciale dell’epica del popolo serbo (tanto da essere raffigurato nell’affresco centrale della sala del Sinodo, nel patriarcato ortodosso di Belgrado).

Qui sotto, l’incoronazione del re Stefan Dusan (1308- 1355) a imperatore di Serbia, Albania e Grecia.

 

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2. LA BATTAGLIA DI KOSOVO POLJE E LE ONDATE MIGRATORIE

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Considerata l’evento fondativo dell’identità nazionale serba, la battaglia di Kosovo Polje (o “Piana dei Merli”, foto accanto) fu combattuta il 28 giugno 1389 tra le truppe del principe serbo Lazar Hrebeljanović e l’esercito turco guidato dal sultano Murad I.

I turchi vinsero, e imprigionarono e decapitarono il principe Lazar. La vittoria turca segnò l’avanzata definitiva dell’Impero ottomano nella penisola balcanica.

La leggenda narra che Lazar, prima di morire, abbia avuto una visione della “Gerusalemme celeste” e, di fronte all’interrogativo su quale regno scegliere (il terreno o il divino) abbia optato per il regno celeste.

Lazar è stato canonizzato dalla Chiesa ortodossa serba e la retorica nazionalista ha trasformato quella battaglia nell’emblema dell’indipendenza perduta. La ricostruzione storica ha però corretto il mito: Kosovo Polje non fu uno scontro religioso tra la Serbia cristiana e gli infedeli. Molti vassalli cristiani dettero infatti man forte al sultano mentre con Lazar erano schierati anche croati, valacchi e bulgari.

Persino i principi albanesi, allora cattolici, furono a fianco dei serbi. Sebbene i popoli dei Balcani abbiano combattuto uniti, quella battaglia è diventata il tragico simbolo di una divisione. Nuove ondate migratorie si registrano poi nel ’700. L’espansione del popolamento albanese del Kosovo, in epoca moderna, è una conseguenza dell’occupazione dei territori lasciati liberi dai serbi in fuga dalla dominazione ottomana.

Quei vuoti vennero riempiti dagli albanesi delle zone circostanti, che convertendosi all’islam riuscirono a ottenere una posizione privilegiata e a beneficiare degli stessi diritti dei turchi, tra cui quello di possedere la terra, negato ai cristiani. Il definitivo inasprimento dei rapporti tra le due etnie fu poi favorito dall’emergere dei nazionalismi nel XIX secolo, che scatenarono indicibili violenze e rappresaglie contro la popolazione civile.

Dopo le guerre balcaniche del 1912- 1913, i serbi si assicurarono il controllo del Kosovo e tentarono di ribaltare gli equilibri etnici della regione. Iniziarono feroci pulizie etniche contro gli albanesi, considerati un corpo estraneo nello Stato governato dalla dinastia reale dei Karadjordjevic, mentre migliaia di appezzamenti di terreno vennero assegnati ai coloni serbi e montenegrini che si insediavano nel Kosovo.

Nel 1938 fu persino firmato un accordo con la Turchia per il trasferimento forzato di 200mila albanesi in Anatolia. Il progetto non fu mai attuato perché nel frattempo scoppiò la Seconda guerra mondiale: anche il conflitto causò nuove pulizie etniche nella regione, stavolta a danno dei serbi. Il resto è storia più recente.

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Qua sotto, la morte del sultano Murad I nella battaglia della Piana dei Merli (28 giugno 1389), in cui si scontrarono ottomani e serbi.Considerata l’evento fondativo dell’identità nazionale serba, la battaglia di Kosovo Polje (o “Piana dei Merli”) fu combattuta il 28 giugno 1389 tra le truppe del principe serbo Lazar Hrebeljanović e l’esercito turco guidato dal sultano Murad I.

I turchi vinsero, e imprigionarono e decapitarono il principe Lazar. La vittoria turca segnò l’avanzata definitiva dell’Impero ottomano nella penisola balcanica. La leggenda narra che Lazar, prima di morire, abbia avuto una visione della “Gerusalemme celeste” e, di fronte all’interrogativo su quale regno scegliere (il terreno o il divino) abbia optato per il regno celeste. Lazar è stato canonizzato dalla Chiesa ortodossa serba e la retorica nazionalista ha trasformato quella battaglia nell’emblema dell’indipendenza perduta.

La ricostruzione storica ha però corretto il mito: Kosovo Polje non fu uno scontro religioso tra la Serbia cristiana e gli infedeli. Molti vassalli cristiani dettero infatti man forte al sultano mentre con Lazar erano schierati anche croati, valacchi e bulgari. Persino i principi albanesi, allora cattolici, furono a fianco dei serbi. Sebbene i popoli dei Balcani abbiano combattuto uniti, quella battaglia è diventata il tragico simbolo di una divisione. Nuove ondate migratorie si registrano poi nel ’700.

L’espansione del popolamento albanese del Kosovo, in epoca moderna, è una conseguenza dell’occupazione dei territori lasciati liberi dai serbi in fuga dalla dominazione ottomana. Quei vuoti vennero riempiti dagli albanesi delle zone circostanti, che convertendosi all’islam riuscirono a ottenere una posizione privilegiata e a beneficiare degli stessi diritti dei turchi, tra cui quello di possedere la terra, negato ai cristiani.

Il definitivo inasprimento dei rapporti tra le due etnie fu poi favorito dall’emergere dei nazionalismi nel XIX secolo, che scatenarono indicibili violenze e rappresaglie contro la popolazione civile. Dopo le guerre balcaniche del 1912- 1913, i serbi si assicurarono il controllo del Kosovo e tentarono di ribaltare gli equilibri etnici della regione.

Iniziarono feroci pulizie etniche contro gli albanesi, considerati un corpo estraneo nello Stato governato dalla dinastia reale dei Karadjordjevic, mentre migliaia di appezzamenti di terreno vennero assegnati ai coloni serbi e montenegrini che si insediavano nel Kosovo.

Nel 1938 fu persino firmato un accordo con la Turchia per il trasferimento forzato di 200mila albanesi in Anatolia. Il progetto non fu mai attuato perché nel frattempo scoppiò la Seconda guerra mondiale: anche il conflitto causò nuove pulizie etniche nella regione, stavolta a danno dei serbi. Il resto è storia più recente.

Qua sotto, la morte del sultano Murad I nella battaglia della Piana dei Merli (28 giugno 1389), in cui si scontrarono ottomani e serbi.

 

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3. TITO, LA GUERRA E LA NATO

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La Iugoslavia comunista fondata da Tito nel 1945 prese la forma di una federazione di sei repubbliche, dove la componente serba comprendeva anche la provincia autonoma del Kosovo.

A partire dai primi Anni ’70 gli albanesi della regione disponevano di parlamento, organi esecutivi, polizia e magistratura indipendenti da Belgrado, nonché di un proprio sistema scolastico e universitario.

Vantavano lo stesso numero di abitanti della Slovenia e del Montenegro e ambivano per questo a essere considerati la settima repubblica della Iugoslavia. Ma dopo la morte di Tito il nazionalismo serbo riaccese la secolare contrapposizione etnica con gli albanesi per il dominio del Kosovo.

Nella foto sotto, profughi albanesi in marcia tra le montagne vicino a Kacanik, nel Sud del Kosovo: in migliaia rimasero bloccati al confine macedone.

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Il 28 giugno 1989 il primo presidente della Serbia postcomunista, Slobodan Miloševic, radunò un milione di persone a Kosovo Polje per celebrare il sesto centenario della battaglia e riesumare il mito ancestrale della Grande Serbia.

Pronunciò un discorso drammatico che risvegliò l’orgoglio nazionale serbo e innescò una serie di violenti scontri dando il via, di fatto, alle guerre balcaniche. Poi presentò un piano di riforme costituzionali che cancellavano definitivamente le autonomie concesse da Tito.

La risposta della popolazione albanese fu inizialmente nonviolenta, guidata dal “Gandhi dei Balcani” Ibrahim Rugova, che nel 1990 fu eletto presidente dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo.

Ma dopo la firma degli accordi di Dayton del 1995, che misero fine alle guerre in Bosnia e in Croazia, i separatisti albanesi dell’Uck (Esercito di liberazione del Kosovo) iniziarono a compiere attentati contro le postazioni militari e le strutture statali di Belgrado.

Le rappresaglie della polizia e dell’esercito serbo non si fecero attendere, in un’escalation di repressione che scatenò una gigantesca crisi umanitaria, con circa diecimila civili uccisi e centinaia di migliaia di profughi.

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La guerra terminò solo nel giugno del 1999, dopo l’intervento aereo della Nato che bombardò obiettivi serbi e costrinse Miloševic alla resa. Il Kosovo venne sottoposto all’amministrazione dell’Onu, ma l’irrisolta questione dello status portò altri anni di tensioni e violenze.

Fino alla definitiva proclamazione dell’indipendenza, il 17 febbraio 2008, che completò lo smantellamento della Iugoslavia e fece del Kosovo il più giovane Stato d’Europa.

Secondo l’ultimo censimento (2011) la sua popolazione è per il 92% albanese, per il 5,3% serba e per il 2,7% di altre nazionalità. Nel suo territorio (poco più esteso dell’Abruzzo) vivono oggi un milione e 800mila persone.

 

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4. CRIMINI DI GUERRA

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A oltre vent’anni dalla conclusione della guerra, il Kosovo resta un focolaio di instabilità al centro di una battaglia di influenze geopolitiche tra la Russia, la Cina e i Paesi occidentali.

Le indagini del Tribunale speciale per il Kosovo sui crimini di guerra commessi alla fine degli Anni ’90 si sono concluse con il rinvio a giudizio di Hashim Thaçi (foto sotto), presidente del Kosovo dal 2016 al 5 novembre 2020, giorno in cui si è dimesso per essere arrestato e processato.

Hashim Thaçi

Thaçi ha dominato la scena politica del Paese negli ultimi vent’anni. Gravissime le accuse mosse contro di lui: crimini contro l’umanità, crimini di guerra, torture, sequestri e sparizioni forzate. Reati che secondo i giudici sarebbero stati commessi da lui e da altri ex membri di spicco dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), all’epoca in guerra contro la Serbia di Slobodan Miloševic (foto sotto).Slobodan Miloševic

Thaçi fu uno dei fondatori dell’Uck, di cui divenne anche uno dei comandanti più noti con il nome di battaglia “serpente”. Nel 1999, ad appena trent’anni, guidò la delegazione albanese ai colloqui di pace di Rambouillet (Francia), il cui fallimento aprì la strada al bombardamento di Belgrado da parte della Nato.

 

 

Curiosità: Chi sono i kosovari?
Il termine“kosovaro”, riferito a ogni abitante del Kosovo a prescindere dal gruppo etnico di appartenenza, è stato inserito nei dizionari solo in anni recenti.
L’identità kosovara albanese ha iniziato a prendere forma dopo la dissoluzione dell’Impero ottomano e si è consolidata ai tempi della Iugoslavia, con la riapertura dell’Istituto di Albanologia a Pristina.
Tra gli albanesi del Kosovo e quelli dell’Albania non esiste oggi alcuna differenza: entrambi parlano il dialetto “tosk” e sono musulmani. Albania? No grazie. I due popoli hanno avuto però una diversa storia recente, che ha visto i kosovari passare dall’esperienza iugoslava alle guerre di indipendenza dalla Serbia.
“Fratelli sì, ma ciascuno a casa propria”, era la frase che ripeteva spesso Ibrahim Rugova, padre del Kosovo indipendente, con riferimento alla “madrepatria” albanese. Le spinte verso la riunificazione con Tirana sono venute meno a partire dalla fine degli Anni’80, dopo la caduta del Muro di Berlino.
Gli albanesi della regione si resero conto che le condizioni di vita nell’Albania comunista erano assai peggiori di quelle del Kosovo. Dopo l’indipendenza (2008), la volontà di restare due entità separate è andata rafforzandosi.
Nella foto sotto, costumi tradizionali di contadini musulmani di Prizren, città del Kosovo.

 

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5. CRONOLOGIA

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I fatti in pillole:

- 1180: il principe serbo Stefano Nemanja prende il controllo di gran parte del Kosovo.

- 28 giugno 1389: battaglia di Kosovo Polje. I turchi sconfiggono i serbi e iniziano a risalire la Penisola balcanica.

- 1689: il Kosovo è coinvolto nella Grande guerra turca.

- 19 aprile 1913: finisce la Prima guerra balcanica. Tre distretti kosovari entrano nel Regno di Serbia, un altro è annesso al Montenegro.

- 1929: il territorio del Kosovo è suddiviso in tre banovine (regioni amministrative) all’interno del Regno di Iugoslavia.

- 1945: nasce la Iugoslavia comunista di Tito. La componente serba comprende anche la provincia autonoma del Kosovo.

- 4 maggio 1980: muore Tito a 88 anni. Dal 1953 è stato presidente della Repubblica socialista federale di Iugoslavia.

- 28 giugno 1989: il presidente serbo Miloševic riesuma il mito della “Grande Serbia” in un gigantesco raduno a Kosovo Polje.

- 1990: Ibrahim Rugova (1944- 2006) viene eletto presidente della autoproclamata Repubblica del Kosovo.

- 1996: iniziano gli attacchi dei separatisti albanesi dell’Uck contro le postazioni militari serbe.

- 1999: l’intervento aereo della Nato costringe Miloševic alla resa. Il Kosovo è sottoposto all’amministrazione Onu.

- 17 febbraio 2008: proclamazione dell’indipendenza del Kosovo

 

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