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Il clan degli elefanti

Sono dei mangioni, vivono in gruppi guidati dalle femmine, usano la proboscide in “mille” modi e hanno davvero una memoria… da elefante!

Nessun animale, a parte le scimmie, ha una vita sociale ricca come quella degli elefanti.

Questi grandi erbivori passano gran parte della vita in un branco, composto solitamente da una dozzina di individui (ma possono essere anche 30), guidati da una femmina esperta, chiamata “matriarca”, che spesso è anche la più anziana.

Gli elefanti possono vivere 70 anni e hanno tempi di sviluppo e svezzamento simili a quelli umani.

Una memoria a lungo termine, che consente loro di accumulare esperienze per tutta la vita, diventa quindi indispensabile per sopravvivere e ricordare, anno dopo anno, la posizione dei pascoli o delle fonti d’acqua e mantenere i rapporti con gli altri elefanti che frequentano gli stessi luoghi.

L’elefante africano non è solo l’animale terrestre più grande al mondo ma ha terrestre più grande al mondo ma ha anche molte altre doti: è intelligente, sociale, con una grande memoria e se si arrabbia…

Venite a scoprirlo!

Carta d’identità
Nome comune: elefante africano.
Nome scientifico: Loxodonta africana.
Altre specie: gli elefanti più piccoli che vivono nelle foreste dell’Africa centrale sono classificati come specie a sé e chiamati “elefanti di foresta” (Loxodonta cyclotis). L’elefante indiano (Elephas maximus) è più piccolo e ha orecchie e zanne di dimensioni inferiori.
Peso: fino a 6 tonnellate i maschi, 3,5 le femmine.
Dimensioni: fino a 4 metri alla spalla i maschi, 3 le femmine.
Dove vive: Africa centro-meridionale.
Habitat: savana, ma anche ambienti più aridi e foreste non troppo fitte.
Cosa mangia: erbivoro, consuma ogni tipo di materia vegetale, rami e cortecce comprese.

1. Comanda la "nonna" e i messaggi a lungo raggio

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  • Comanda la "nonna"
    Nessun animale, a parte le scimmie, ha una vita sociale ricca come quella degli elefanti.
    Questi grandi erbivori passano gran parte della vita in un branco, composto solitamente da una dozzina di individui (ma possono essere anche 30), guidati da una femmina esperta, chiamata “matriarca”, che spesso è anche la più anziana.
    Non sono territoriali, cioè non proteggono l’area dove vivono dai loro simili, e devono spostarsi continuamente per trovare da bere e da mangiare.
    L’esperienza della matriarca e degli individui più anziani, quindi, è fondamentale per guidare il branco verso fonti di cibo abbondanti o pozze d’acqua nei periodi di siccità.
    Ogni animale riconosce anche un centinaio di altri individui, che sono i suoi “contatti” nell’area dove vive: oltre ai membri del branco, anche gli individui che spesso incontra lungo i fiumi o nei pascoli migliori.
    Sono riconosciuti con la vista e con l’olfatto, che in questi animali è molto più sviluppato che negli uomini.
    I maschi, in ogni caso, non hanno un ruolo importante nel branco: quando raggiungono l’età adulta, a circa 13-14 anni, lasciano il gruppo e diventano indipendenti.
    Si spostano per le savane, fanno esperienza, spesso accompagnandosi con altri “scapoli” fino a che, qualche anno dopo, trovano un altro gruppo con nuove femmine alle quali unirsi.
    Ma spesso non diventano parte del branco e la loro presenza è occasionale.
  • Messaggi a lungo raggio
    Per un animale sociale comunicare è essenziale, e gli elefanti lo fanno in diversi modi: con i barriti, il linguaggio del corpo (le diverse posizioni raccontano lo stato d’animo dell’animale) e le tracce odorose nell’urina.
    Quando vogliono farsi ascoltare lontano, usano brontolii a bassa frequenza, che noi uomini riusciamo a malapena a percepire, ma che possono arrivare a diversi chilometri di distanza.
    I loro enormi padiglioni auricolari (circa il 20% della superficie corporea), però, non servono a rilevare questi suoni, ma funzionano come uno “scambiatore di calore”: sventolandoli in aria raffreddano il sangue che vi circola e abbassano la temperatura corporea.
    Le orecchie, inoltre, hanno piccoli segni distintivi e sono un po’ come le nostre impronte digitali, che consentono ai ricercatori che li studiano di riconoscere gli animali a distanza.

 

2. Memoria “da elefante” e un grande appetito

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  • Memoria “da elefante”
    Gli elefanti possono vivere 70 anni e hanno tempi di sviluppo e svezzamento simili a quelli umani.
    Una memoria a lungo termine, che consente loro di accumulare esperienze per tutta la vita, diventa quindi indispensabile per sopravvivere e ricordare, anno dopo anno, la posizione dei pascoli o delle fonti d’acqua e mantenere i rapporti con gli altri elefanti che frequentano gli stessi luoghi.
    Vari episodi indicano che questi animali riconoscono parenti e amici anche a 20 anni di distanza.
    Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: gli elefanti ricordano molto bene anche le esperienze negative che hanno avuto con l’uomo (per esempio l’essere stati cacciati o minacciati) e possono essere vendicativi.
    Questi animali, inoltre, sanno anche fingere, per ingannare altre specie e i loro simili.
    Capita, per esempio, di vedere individui avvicinati da veicoli con i turisti che fanno finta di mangiare senza essere interessanti alla presenza umana, ma in realtà seguono tutte le mosse degli intrusi troppo vicini.
  • Un grande appetito
    Gli elefanti mangiano ogni tipo di materiale vegetale: tuberi, radici, gemme e addirittura la corteccia e i rami secchi degli alberi, ingurgitandone anche 300 kg al giorno (la metà per le femmine e i giovani).
    Nei periodi di carestia abbattono gli alberi per raggiungere i rami più gustosi in alto e sono quindi tra gli animali che modificano più profondamente l’habitat in cui vivono.
    Gestire la fame degli elefanti è uno dei maggiori problemi nelle aree protette in cui questi animali prosperano.
    Dove non hanno modo di migrare, infatti, possono causare gravi danni al loro habitat. Masticare vegetali per tutta la vita è un grande impegno per i denti e infatti gli elefanti rimpiazzano i loro molari 6 volte nell’arco della vita.
    Gli individui più esperti sanno addirittura trovare le piante per combattere eventuali malesseri, proprio come facevano i nostri antenati.

3. Nasone milleusi e diventare grande

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  • Nasone milleusi
    Per raccogliere il cibo gli elefanti utilizzano la proboscide, il naso più versatile e sorprendente del mondo animale.
    Questa appendice multiuso può fare di tutto: oltre a consentire la respirazione e avvertire gli odori, è un braccio forte e sensibile capace di sollevare fino a 300 kg, un aspiratore per l’acqua, uno strumento di precisione capace di raccogliere un sasso o una foglia, una tromba per comunicare e addirittura una specie di boccaglio da usare quando attraversano acque profonde.
    Il suo segreto sta nella struttura, costituita da sei gruppi di muscoli che scorrono gli uni sugli altri: mentre alcuni si irrigidiscono per fare da punto di appoggio, gli altri possono accorciarsi ed estendersi garantendo un’enorme libertà di movimento.
  • Diventare grande
    Un elefantino impiega 22 mesi per nascere (la gestazione più lunga del mondo animale) e circa 15 anni per raggiungere la maturità.
    Per i primi 2 anni il piccolo, che alla nascita pesa già 100-120 kg, è molto vulnerabile.
    Può essere attaccato dai leoni e dalle iene e infatti è sempre a stretto contatto con la mamma o le sue sorelle, che lo sorvegliano costantemente.
    A 5-6 anni può cominciare a tirare un sospiro di sollievo ma ha ancora molta strada da fare prima di diventare un grande maschio che non ha alcun avversario da cui guardarsi. Gli elefanti adulti, infatti, in genere non hanno predatori che li minaccino.
    In alcune zone dell’Africa Meridionale, però, alcuni grandi branchi di leoni hanno imparato a cacciare quelli di taglia piccola e media, attaccandoli in gruppo di notte alla fine della stagione secca, quando sono più deboli.

4. Rapporto difficile

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Per le grandi dimensioni e un comportamento a volte poco prevedibile (perché influenzato da esperienze che non conosciamo) gli elefanti sono tra gli animali più temuti dagli africani.

Se si invade il loro spazio vitale, infatti, possono caricare persone e automobili, ma quasi sempre fanno capire le loro intenzioni consentendo a chi sa leggere il loro comportamento di mettersi al riparo.

Un elefante arrabbiato mette in mostra e sventola la orecchie per apparire più grande, fa oscillare la testa, barrisce, colpisce la vegetazione con la proboscide, e si avvicina minacciosamente, anche se spesso si ferma pochi metri prima di colpire il bersaglio.

Le cariche più pericolose sono quelle silenziose, in cui le orecchie sono tenute aderenti al corpo e la proboscide è arrotolata sotto al capo per proteggerla: un segno che l’animale vuole arrivare fino in fondo.

Non si può scappare a piedi da un elefante, perché per brevi tratti può correre a quasi 40 chilometri all’ora. Non hanno tutti i torti, però, a essere molto diffidenti. Siamo proprio noi uomini, infatti, il loro più grande nemico.

Migliaia di individui vengono uccisi ogni anno per vendere in Asia l’avorio delle loro zanne, che nei maschi più grandi misurano 3 metri di lunghezza con un peso di 40 kg (ma oggi non se ne vedono più di questa taglia).

Molti elefanti vengono uccisi anche quando si avvicinano troppo ai raccolti o danneggiano gli allevamenti. Ne restano solo 470.000 in Africa: può sembrare un buon numero, ma un secolo fa erano probabilmente dieci volte più numerosi.





5. Salviamoli così e i cimiteri per elefanti

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  • Salviamoli così
    Per proteggere gli elefanti, i grandi parchi naturali africani sono lo strumento principale, ma spesso non bastano.
    Oggi sappiamo che i branchi si spostano continuamente e lo fanno sempre più a causa dei cambiamenti climatici; per questo, devono poter disporre di corridoi ecologici, dei passaggi sicuri per riuscire a muoversi da un’area protetta all’altra (progetto Elephant without borders: elephantswithoutborders.org).
    Anche il turismo naturalistico può aiutare questi animali. Con i soldi raccolti è infatti possibile proteggerne almeno una parte dai bracconieri. In alcuni luoghi esistono addirittura gruppi di elefanti abituati all’uomo.
    Nell’Abu Camp in Botswana (abucamp.com), nel Delta dell’Okavango, accompagnati dalle guide è possibile passeggiare nella savana con un piccolo gruppo di elefanti selvatici, tutti orfani o animali reintrodotti in natura dalla cattività, un’esperienza davvero unica.
  • Esistono cimiteri per elefanti?
    Forse avrete sentito parlare dei cimiteri degli elefanti, luoghi dove questi animali andrebbero a morire tutti insieme.
    In realtà, non è mai stato documentato un comportamento del genere, ma spesso i maschi più anziani si radunano intorno a laghi e paludi, dove possono trovare vegetali più morbidi per i loro denti ormai consumati; in queste aree poi muoiono, alimentando così la diceria.
    È vero, invece, che hanno coscienza della morte: vegliano sui loro defunti per ore e se trovano ossa di individui della loro specie si fermano a osservare e manipolare i resti con la proboscide.








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