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Glutine: colpevole o innocente?

Glutine o non glutine, questo è il problema.

Non più un dubbio, ma una certezza che si è di usa come un virus tra i cultori delle “diete del senza”.

Ormai l’alimentazione è diventata una lotta piena di esclusioni: dall’olio di palma allo zucchero, dalla farina bianca al latte. Il catalogo dei cibi o delle sostanze da cui astenersi si ingrossa.

Non per motivi di salute, ma per ragioni salutistiche. Cioè non perché si è celiaci o intolleranti al lattosio, ma perché Gwyneth Paltrow, Lady Gaga o un guru qualsiasi della nutrizione hanno lanciato la loro fatwa.

«Il livello di infiammazione generale diminuisce, il gonfiore addominale sparisce, il peso corporeo scende, le prestazioni atletiche migliorano»: sarebbero questi i principali benefici sventolati da chi ha dichiarato guerra alla proteina del frumento.

Il glutine gonfia. Infiamma. Ingrassa. Fiacca. È indigesto. Fa male alla pelle. Queste le principali accuse che gli vengono rivolte. Ma è colpevole o innocente? Scopriamolo insieme.

 

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1. Quando si aggiungeva alla pasta

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E pensare che un tempo si diceva esattamente il contrario, e cioè che per sentirsi meglio, più energici e in forma bisognava consumare alimenti addizionati con il glutine.

L'idea di aggiungerlo nella pasta venne a Giovanni Buitoni, che mise in produzione la "pastina glutinata" nel 1884. All'inizio venne aggiunto il 15% in peso di glutine secco.

Successivamente si è passati a percentuali maggiori, tant'è che la concentrazione di glutine nelle pastine "iperglutinate" è arrivata a essere il 30% del totale. 

Una pubblicità recitava "La buona salute si difende con la pastina glutinata". Uno slogan che oggi certo fa sorridere, ma anche riflettere, perché la dice lunga su quanto il marketing riesca a orientare i consumi in un verso come nel suo esatto contrario.

Oggi scrivere su un prodotto "con aggiunta di glutine" sarebbe un suicidio commerciale, come scrivere "con aggiunta di veleno.

Ma perché il glutine non è di facile digestione? Dipende dal fatto che il glutine è ricco di prolina (un aminoacido) e che nell'uomo non ci sono enzimi in grado di digerirla.

Però ci sono altri enzimi, grazie ai quali la molecola del glutine viene comunque frammentata. La digestione del glutine è più elaborata, ma questo non si può certo far passare per intolleranza.

Stesso discorso per il gonfiore: il glutine è una sostanza altamente fermentabile, che tende a produrre gas nell'intestino. Come del resto avviene con i legumi: che facciamo, escludiamo anche quelli?».

 

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2. Un business planetario

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Dalla gloria degli altari gastronomici alla polvere delle fobie collettive il passo è stato molto redditizio.

Il mercato dei prodotti gluten free vale a livello globale 6,6 miliardi di dollari.

In Italia cresce a doppia cifra (più 27% in un anno) e si attesta intorno ai 320 milioni di euro.

L'Associazione italiana celiachia (Aic) fa sapere che la malattia celiaca — l'infiammazione cronica dell'intestino tenue, scatenata dall'ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti — interessa nel nostro Paese circa 600mila persone, di cui appena 190mila diagnosticate.

Mentre a seguire una dieta totalmente, parzialmente o occasionalmente gluten free senza averne bisogno sono circa 6 milioni di italiani, cioè dieci volte tanto, convinti che sia a prescindere più salutare, e che per di più faccia dimagrire.

Un equivoco pericoloso che non solo «svilisce e banalizza la celiachia e le difficoltà di chi ne soffre, ma che rischia di mettere in discussione diritti e tutele fondamentali che i celiaci hanno faticosamente conquistato» avverte l'Aic.

Oggi i pazienti celiaci ricevono dal Servizio sanitario nazionale un contributo per l'acquisto di prodotti senza glutine fino a un tetto massimo di spesa che è in media di circa 90 euro al mese.

Non va neppure sottovalutato il rischio per la salute di chi inizia per moda una dieta gluten free: dal momento in cui si smette di assumere glutine, nei celiaci i segni dell'infiammazione si spengono, quindi in chi non sa di esserlo questo potrebbe portare a un ritardo o a una mancata diagnosi della malattia.

 

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3. La bestia nera dei salutisti

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La glutenfobia è stata alimentata dalla cattiva informazione e dalla cattiva ricerca, da celebrità gluten free e da produttori e venditori di questi prodotti.

«Finora però non c'è stato alcuno studio fatto in modo serio che sia riuscito a dimostrare qualsivoglia beneficio derivante dall'esclusione del glutine per chi non è celiaco.
Anzi, se non si sta attenti, si rischia di assumere pochi carboidrati, che sono la nostra principale fonte di energia, e di non assumere fibre a sufficienza.
Queste non solo mantengono in buona salute l'intestino, ma attenuano il senso di fame. Per cui si rischia di mangiare di più, altro che dimagrire»
spiegano molti esperti Mauro Serafini, professore ordinario di Alimentazione e nutrizione umana all'università di Teramo, inserito da Thomson Reuters nella lista dei ricercatori internazionali più brillanti, i cui lavori scientifici sono stati tra i più citati al mondo nel decennio 2003-2013.

Chi pensa che non mangiare glutine "disintossichi", faccia funzionare meglio l'intestino o migliori l'aspetto della pelle è in errore.

L'altra faccia della medaglia della demonizzazione di alcuni cibi sta nell'esaltazione di altri, considerati superfood: la curcuma, la quinoa, le bacche di Goji, i mirtilli....

«Ci si concentra su cibi-feticcio a discapito della varietà. Invece gli alimenti eccezionali sono un miraggio: è la dieta nel suo complesso che è buona o cattiva, così come lo stile di vita. Non esistono scorciatoie».

 

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4. Un percorso difficile

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Chi decide di mettere al bando il glutine per moda ha di fronte a sé un percorso difficile e oneroso, perché la proteina si trova nei cereali più e meno comuni: frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale.

Questo significa non solo rinunciare al piacere di mangiare pane, pasta, biscotti, pizza e cracker di frumento, ma dover gestire mille difficoltà quotidiane: in famiglia, a cena con gli amici o al ristorante.

Si tratta di una scelta anche dispendiosa, dal momento che chi non è celiaco non può accedere ai rimborsi del Servizio sanitario nazionale e deve pagare a carissimo prezzo i prodotti gluten free.

Il calcolo è presto fatto: basta selezionare i prodotti gluten free più diffusi di tre diversi gruppi — pasta, biscotti e sostituti del pane (cracker e gallette) — e confrontare il loro prezzo con quello dei rispettivi prodotti tradizionali.

La differenza è evidente: per 100 grammi di prodotto standard si spendono 36 centesimi, mentre per la stessa quantità di prodotto senza glutine bisogna sborsare tre volte tanto: in media 1 euro e 17 centesimi.

In commercio si trovano alimenti che riportano semplicemente la scritta "senza glutine" e altri che accompagnano questo claim a un logo, la cui presenza consente ai celiaci di andare a colpo sicuro, senza leggere l'etichetta.

I loghi più comuni sono quello del ministero della Salute (che riporta la frase "alimento senza glutine, prodotto erogabile") e quello dell'Aic, con la spiga rossa barrata.

Gli alimenti che riportano questi marchi costano in media il 25% in meno rispetto a quelli che dicono solo di essere "senza glutine".

 

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5. Sulle tracce del glutine

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Logo o no, tutti questi alimenti devono rispettare il regolamento europeo (n. 828/2014), che consente l'uso della dicitura "senza glutine" solo se il contenuto di questa sostanza non è superiore a 20 milligrammi per chilogrammo (o 20 ppm, parti per milione).

Infatti “senza” non significa “zero”: si deve restare sotto la soglia di sicurezza dei 20 mg per kg.

Un contenuto che anche nel caso di consumi elevati di questi alimenti, come avviene in Italia, consente ai celiaci di non superare il limite di tossicità giornaliero, che è di 10 mg: sotto questa quantità non si attiva la risposta immunitaria.

Dover rispettare un limite non vuol dire che si possano usare piccole (e neppure piccolissime) quantità di ingredienti contenenti all'origine glutine.

Questa pratica è vietata, dal momento che la soglia si riferisce solo alla possibilità di contaminazione durante il processo di produzione.

Gli alimenti in commercio che si dichiarano senza glutine, certificati o no, rispettano il limite stabilito per legge? In soldoni, c'è da fidarsi?

Diversi controlli effettuati in laboratorio di molti prodotti "senza glutine" — pasta, crackers, gallette e biscotti — tra i più noti e venduti, alcuni dei quali erano privi di qualsiasi certificazione gluten free, hanno dato risultati molto confortanti: in nessun prodotto acquistato è stato trovato la presenza di glutine..

Si tratta di alimenti contenenti cereali (mais e riso) e pseudo cereali (cioè non appartenenti alla famiglia delle graminacee), come grano saraceno e quinoa.

Ciò significa che gli standard produttivi sono affidabili e il rischio di contaminazione è stato ridotto al minimo. Una buona notizia per i celiaci.

 

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