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I messaggi dei sogni… ai tempi del Coronavirus

Assurdi, surreali, vividi e colorati: sono alcuni dei modi con cui molte persone descrivono i loro sogni da quando è iniziata la pandemia da Coronavirus.

Un fenomeno curioso, registrato in tutto il mondo, che ha portato alla nascita dell’hashtag #pandemicdreams (“sogni da pandemia”). Peraltro sono proprio i social a darci un’idea di questa tendenza.

Secondo i dati raccolti dalla piattaforma Pulsar, ad esempio, su Twitter l’espressione inglese weird dreams (“sogni strani”) ha avuto un’impennata: da una media giornaliera di poche centinaia, tra gennaio e marzo si è arrivati a qualche migliaio ad aprile.

Ne è nato persino un blog collettivo – I dream of COVID (“sogno il COVID”) – che raccoglie sogni strani dagli utenti di tutto il mondo.

Anche il mondo scientifico si è mosso: ad esempio su Psychology Today, Patrick McNamara, neuroscienziato alla Boston University (USA), ha annunciato che assieme ad altri ricercatori sta raccogliendo e studiando questi particolarissimi sogni, confrontandoli con quelli di prima della pandemia.

In effetti, quando è iniziata la pandemia da Coronavirus, dormiamo sonni più lunghi e più agitati e alcune zone del cervello, sede delle emozioni, sono “iperattive”. Gli specialisti ci spiegano il perché…

 

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1. Dormire in tempi di lockdown

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Le ipotesi su questa ondata di sogni strani sono molte, ma ancora nulla di definitivo.

Da un lato la vita in lockdown ci ha spinto a modificare le nostre routine e quindi anche il modo di dormire è cambiato.

È possibile che molte persone abbiano dormito di più la mattina rispetto a quando si alzavano per andare a lavorare.

L’ultima parte del sonno mattutino è quella caratterizzata dalla più elevata attività onirica e pertanto il protrarsi di questa fase potrebbe aumentare la quantità di sogni molto vividi.

La pandemia in effetti ha scombussolato il nostro sonno: non a caso l’Associazione italiana di medicina del sonno (AIMS) ha attivato un servizio online di supporto e consulenza per chi sta sperimentando difficoltà a dormire bene, ed è sempre la stessa associazione che, in collaborazione con La Sapienza di Roma, ha studiato l’impatto dell’ansia da COVID proprio sull’attività onirica.

Luigi De Gennaro, psicofisiologo presso l’università capitolina, ha spiegato in un’intervista al National Geographic che molti disturbi del sonno sono certamente conseguenza dell’angoscia della pandemia: lo stesso fenomeno fu individuato dopo il terremoto dell’Aquila, nel 2009, quando incubi e sonno disturbato si manifestavano con intensità proporzionale alla vicinanza all’epicentro.

I sogni possono essere infatti un segnale di un trauma psicologico vissuto in prima persona o quantomeno temuto.

Lo conferma lo psicoanalista Stefano Bolognini, già presidente della Società psicoanalitica italiana: «In tutto il mondo le persone sembrano aver reagito al trauma della pandemia in modo estremamente dignitoso, mettendo in atto comportamenti mediamente corretti e assumendosi le proprie responsabilità», dice.

«Tuttavia, a livello profondo, emozioni come la paura resistono, anche se non hanno modo di emergere. Ed è per questo che trovano sfogo nel sogno». Se tutti noi avessimo reagito all’emergenza COVID in modo irrazionale, forse i nostri sogni non sarebbero stati così intensi.

 

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2. Neuroscienze o psicoanalisi?

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Ma per la psicoanalisi il sogno non è solo manifestazione di un trauma. Il celebre fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud, ad esempio, partiva dall’idea che i sogni rappresentassero conflitti irrisolti tra desideri repressi e la censura sociale.

Oggi sappiamo che le cose stanno anche diversamente: il sogno può essere una manifestazione creativa e persino, durante un percorso di psicoterapia, un indicatore di come il paziente ne sta vivendo le diverse fasi.

Va notato che oggi le teorie psicoanalitiche sono sempre più supportate dalle evidenze neuroscientifiche. I due punti di vista sono sempre più integrati e si influenzano a vicenda. Ad esempio le scoperte sul funzionamento del sonno stanno fornendo elementi utili anche alla psicoanalisi.

Come funziona il sonno? Ormai dagli anni Cinquanta sappiamo che le fasi in cui sogniamo di più sono quelle REM (dall’inglese Rapid Eye Movements, “movimenti rapidi degli occhi”). In queste fasi, circa quattro o cinque per notte, l’attività cerebrale è simile a quella della veglia: ad esempio, quando sogniamo un volto, si attivano le stesse aree coinvolte nel riconoscimento dei visi da svegli.

Nonostante ciò, nelle fasi REM è presente un’atonia muscolare, una sorta di paralisi che ci impedisce di muoverci seguendo le azioni che stiamo sognando, con il rischio di farci del male.

Fino a pochi anni fa si credeva che sognassimo solo nelle fasi REM: oggi sappiamo che lo facciamo anche durante il sonno profondo, ovvero le fasi non-REM, ma in modo diverso.

In alcune sue ricerche, Pierre Maquet, ricercatore all’Università di Liegi (Belgio), ha sottoposto a tomografia a emissione di positroni (PET) dei volontari durante il sonno, scoprendo che nelle fasi REM impulsi nervosi bombardano la corteccia e alcune zone limbiche, sedi delle emozioni.

Ciò spiega perché i sogni di queste fasi, così attive durante il lockdown in particolare la mattina, siano più movimentati e vividi: la corteccia si trova a dover dare senso a questa tempesta di segnali elettrici e lo fa creando immagini intense.

C’è però un altro aspetto che potrebbe favorire il ricordo dei sogni da pandemia: nelle scorse settimane molte persone non hanno usato la sveglia e dunque il loro risveglio è più graduale e naturale.

Questo ci consente di fissare meglio nella memoria i sogni. È infatti esperienza comune che i sogni vengano dimenticati appena ci alziamo dal letto. Se vogliamo ricordarli, dovremmo ripeterceli a mente o annotarli sul cellulare appena aperti gli occhi, ma senza alzarci.

La tendenza a dimenticare i sogni, detta amnesia onirica, ha però una sua funzione protettiva. Alcune persone con malattie del sonno tendono a ricordare i sogni come fossero realtà, sperimentando stress e disagio durante il giorno.

 

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3. A che cosa servono i sogni?

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Resta infine una domanda alla quale la scienza non ha ancora dato risposta: a cosa servono i sogni?

Alcuni hanno tendenza a considerarli solo una sorta di sottoprodotto del sonno, più che un fenomeno con una funzione specifica.

Qualche ipotesi però è stata proposta. Per altri, invece, rappresenterebbero una forma di realtà virtuale a cui il cervello dà vita per allenare funzioni mentali utili durante la veglia, come la capacità di affrontare pericoli o di regolare le emozioni.

Questo riguarderebbe soprattutto i bambini, per i quali il sogno è un vero e proprio strumento fondamentale per lo sviluppo cerebrale. I più piccoli sono nella fase REM per il 50 per cento del riposo notturno, fase utile alle funzioni mnemoniche.

Del resto, anche uno studio del 2004 condotto dal neurologo Pierre Maquet e pubblicato da Neuron aveva mostrato come sonno e sogni siano utili alla memoria. Lo studioso chiese ad alcuni soggetti di giocare a un videogioco, per poi monitorarne l’attività cerebrale durante il sonno della notte successiva.

Risultato? Mentre le persone dormivano fu rilevata la riattivazione delle stesse regioni dell’ippocampo in funzione durante la partita: in pratica il sonno e i sogni consolidavano le procedure messe in atto nel gioco e al contempo consentivano di riorganizzare le informazioni apprese, eliminando quelle superflue e confondenti.

Se i sogni sembrano avere una funzione di apprendimento e consolidamento della memoria in particolare nei bambini, da adolescenti vanno di pari passo con le paure e le emozioni connesse alla crescita. Il periodo di “fioritura” ormonale dà luogo a un immaginario vastissimo di sogni.

In questa fase, infatti, all’80 per cento dei ragazzi capita di sognare di essere inseguiti o di dover scappare, mentre al 73 per cento di cadere nel vuoto: tutte immagini che richiamano paure connesse alla maturazione e dunque il tentativo del cervello di imparare a gestirle.

«Spesso i giovani adulti sognano anche di arrivare in ritardo per un esame o di non riuscire a raggiungere l’aula», ha aggiunto Tore Nielsen, ricercatore allo Sleep Research Center dell’Hôpital du Sacré-Coeur di Montréal (Canada), dove nel 2003 fu condotto uno studio sui sogni di quasi 1.200 giovani.

I momenti di cambiamento sono quelli più ricchi di sogni: è esperienza di tutti che l’attività onirica si fa intensa quando stiamo cambiando casa o per sposarci o prima di qualsiasi svolta.

Forse la magia dei sogni sta anche qui, nell’essere un’esperienza che vive con noi tutta la vita schiudendo brevi spiragli sulla nostra interiorità.

 

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4. I sogni premonitori esistono davvero?

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I sogni non sono solo un’espressione della mente: nella storia hanno ricoperto significati sociali, culturali e addirittura artistici.

Una corrente artistica come il surrealismo si è ispirata fortemente alla Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud: il volume uscì nel 1900 e il movimento iniziò a svilupparsi a Parigi negli anni Venti.

L’essenza “magica” dei sogni ha però portato molti a ipotizzarne una funzione di premonizione. Nel mondo greco avevano una funzione sapienziale.

I sogni dei personaggi di spicco venivano interpretati come premonizioni o indicazioni da seguire per il futuro della società. Freud seppe trasformare il sogno da fatto sociale a individuale e la premonizione in interpretazione.

Ma l’idea che il sogno possa preannunciare qualcosa che accadrà non ha mai abbandonato l’uomo: secondo le teorie di Carl Gustav Jung, altro padre della psicoanalisi, rielaborando esperienze passate nel sogno anticipiamo possibili situazioni di vita che spesso finiscono con l’avverarsi.

Certo capita a tutti di fare sogni che sembrano effettivamente prevedere fatti poi realmente accaduti: le spiegazioni del fenomeno, questa volta scientifiche, sono diverse.

Da un lato l’evento sognato e realmente accaduto potrebbe non essere scaturito dal nulla: il nostro inconscio potrebbe aver registrato, nei periodi precedenti, elementi che lo anticipavano.

D’altro canto c’è la statistica: studi dimostrano che la probabilità che almeno una persona al mondo “preveda” in un sogno un evento globale, come ad esempio una catastrofe, non è così bassa.

Lo spiega il matematico americano Joseph Mazur nel suo saggio Travolti dal caso. Matematica e mitologie delle coincidenze (Il Saggiatore) secondo cui la maggior parte delle coincidenze, come appunto i sogni premonitori, possono essere spiegate dalla matematica.

Per Mazur ci accorgiamo delle coincidenze, e quindi anche delle premonizioni nei sogni, perché tendiamo a memorizzare solo quando queste avvengono, dimenticandoci di quando non accadono.

In pratica, è il fenomeno della memoria selettiva: poniamo attenzione su quelle pochissime volte in cui ciò che sogniamo si avvera, dimenticando i numerosissimi casi in cui le “premonizioni” non si avverano.

 

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5. Questione di dopamina e quando sogno e realtà si confondono

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- Questione di dopamina

Ci sono persone che ogni notte vivono esperienze quasi psichedeliche: i loro sogni sono estremamente colorati, vividi, pieni di personaggi e con trame simili a quelle di un film.
Altre invece non ricordano quasi mai quel che sognano e quando succede si tratta di brevi immagini senza senso.
Alla base di queste differenze ci sono fattori biochimici: grazie a tecniche di neuroimaging, ricercatori della Sapienza di Roma e di altre due università italiane hanno dimostrato anni fa che è la dopamina il principale neurotrasmettitore coinvolto nel determinare complessità e vividezza dei sogni.
Per arrivare a questa conclusione i ricercatori hanno studiato pazienti con malattia di Parkinson, caratterizzata da una carenza di dopamina.
Le persone affette da questa malattia neurodegenerativa, infatti, non sognano o riferiscono sogni semplici e poco realistici. Nello studio, uscito su Human Brain Mapping, è stato inoltre possibile individuare una delle aree più interessate dalla formazione dei sogni.
Confrontando individui che abitualmente ricordano i sogni con altri che li dimenticano è stato possibile rilevare una differenza di attività della giunzione temporo-parieto-occipitale, di fatto la sede dei sogni.
Del resto, è questa l’area più frequentemente lesionata nei pazienti che, dopo un trauma cerebrale, mostrano anoneria, ovvero la perdita del ricordo dei sogni.
Che l’attività onirica possa essere alterata agendo sul cervello è noto agli psichiatri: persino diversi psicofarmaci possono modificare il modo di sognare.
Ad esempio le benzodiazepine, ovvero i più comuni ansiolitici, possono far dimenticare i sogni, mentre alcuni antidepressivi possono causare incubi specie nei primi periodi di assunzione. Anche alcuni farmaci contro le allergie e antiretrovirali usati nella terapia dell’infezione da HIV possono alterare i sogni.
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- Quando sogno e realtà si confondono

Si muovono, parlano, ma stanno dormendo. Il sonnambulismo è una forma di parasonnia (disturbo del sonno). Si pensa si tratti di un risveglio incompleto.
Talvolta è come se una parte del cervello fosse sveglia e un’altra no. Accade quando il soggetto è stanco e stressato: una parte della mente dorme mentre l’altra preme per il risveglio.
Non è un caso che svegliando un sonnambulo a volte questi racconti sogni spiacevoli. Il sonnambulismo dimostra come sonno e realtà non abbiano sempre una demarcazione netta: lo si capisce anche quando i sogni “incorporano” sensazioni fisiche provenienti dal mondo esterno.
Capita ai bambini che fanno la pipì a letto: se stanno dormendo, è probabile che sognino proprio di orinare. Non è la norma: in genere il cervello è in grado di discriminare gli stimoli sensoriali esterni.
Un caso tipico è quello delle mamme: possono dormire anche in presenza di rumori intensi, ma appena sentono il debole pianto del loro bimbo proveniente da un’altra stanza si svegliano immediatamente.

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