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Le allergie: un fenomeno inarrestabile ed in aumento

Antistaminici in gocce, e compresse, collirio, pomata anti prurito, e farmaci spray contro un eventuale attacco d’asma.

Oltre, ovviamente, a un’abbondante scorta di fazzoletti e agli occhiali da sole scuri – molto scuri –, perché la luce diretta negli occhi già arrossati fa lacrimare ancora di più.

È l’armamentario per le scampagnate degli allergici che, prima ancora di interrogarsi su che cosa metteranno sulla griglia, si preoccupano di non soffrire troppo durante la giornata.

Per loro, infatti, un tranquillo weekend in campagna può trasformarsi in un incubo, con la sola consolazione che quasi certamente soffriranno in compagnia.

Con un +5% di “vittime” ogni cinque anni, l’epidemia più fastidiosa di sempre non accenna infatti a rallentare: i raffreddori allergici tormentano ormai più di un italiano su quattro (e quasi un bambino ogni due); l’asma è vicina al 7% (e fra i più piccoli è al 10%) e la dermatite atopica, con le sue chiazze rosse che prudono, è quasi triplicata negli ultimi trent’anni, e oggi spinge a grattarsi il 10-15% dei bambini e il 2-5% degli adulti.

Quella delle allergie è insomma una marcia inarrestabile, che da una cinquantina d’anni a questa parte colpisce tutto il mondo occidentale, ma anche quei Paesi che stanno adottando uno stile di vita simile al nostro.

Nel 2015, in Europa, i ricoveri ospedalieri per attacchi allergici gravi sono stati 7 volte più numerosi di quelli registrati nel 2005. Secondo la European Academy of Allergy, nel 2025 la metà degli europei sarà allergica.

 

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1. In tanti sul banco degli imputati

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A lungo gli scienziati si sono interrogati sulle cause di questo aumento, concludendo che un unico colpevole non c’è.

Alimentazione e stili di vita, inquinamento e cambiamento climatico sono tutti elementi che concorrono al fenomeno.

Questi fattori hanno il duplice effetto di modificare la nostra fisiologia, rendendoci più suscettibili alle allergie, e di far aumentare la distribuzione degli allergeni nell’ambiente, esacerbando i sintomi. Ma iniziamo dal noi: che cosa sta accadendo al nostro corpo?

La prima osservazione che legava lo stile di vita all’aumento delle allergie risale al 1989, quando l’epidemiologo inglese David Strachan notò che fra i figli unici il raffreddore da fieno era più frequente. Strachan pensò che all’origine del fenomeno ci fosse una ridotta esposizione ai germi, che circolano più abbondanti se ci sono tanti bambini in casa.

E, ampliando il ragionamento, ipotizzò che l’aumento dell’incidenza delle allergie, che già allora si stava osservando, fosse legato alla riduzione del numero di figli per famiglia, ma anche ad altre abitudini che nel tempo avevano diminuito il contatto con i batteri durante la prima infanzia, come la pulizia più accurata delle abitazioni o la maggior cura dell’igiene personale.

La sua idea, battezzata “ipotesi igienica”, è stata poi confermata da altri studi e oggi siamo anche in grado di darne una spiegazione.

Il sistema immunitario dei neonati è formato prevalentemente da linfociti di tipo Th2, che reagiscono contro parassiti, pollini e altri allergeni. I linfociti Th1, che invece ci difendono da virus e batteri, possono formarsi soltanto se i bambini vengono a contatto con una molteplicità di germi nei primi cinque anni di vita.

Se questo non accade, la risposta immunitaria prevalente sarà di tipo allergico. In particolare, a determinare il corretto sviluppo del sistema immunitario è una molecola chiamata endotossina, presente in alcuni tipi di batteri, ma non in tutti.

 

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2. Addio germi amici

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A condurci dove siamo, insomma, sono stati i divieti di sporcarsi con la terra, di accarezzare gli animali e di mettere le mani in bocca, la frequentazione meno assidua dei coetanei e la quasi sterilità in cui i bambini sono fatti crescere, specie nei primi anni di vita.

Come se non bastasse, abbiamo fatto di tutto anche per modificare (in peggio) i microrganismi che normalmente albergano nel nostro corpo, e che potrebbero invece aiutarci.

Il tipo di microflora intestinale di ciascuno di noi influenza la suscettibilità alle allergie e, purtroppo, da qualche decennio a questa parte, gli stili di vita occidentali sono andati nella direzione di favorire le specie batteriche che non ci proteggono.

La colpa è dell’abuso di antibiotici nella prima infanzia, ma anche del loro impiego negli allevamenti, che ci forniscono la carne che poi mettiamo in tavola.

Persino l’aumento del numero di parti cesarei ha avuto conseguenze: durante il parto naturale, infatti, il neonato acquisisce dalla madre i batteri che iniziano a colonizzare il suo intestino.

Questo momento, importantissimo affinché la microflora si sviluppi in modo favorevole, viene a mancare nel parto cesareo.

Un ulteriore problema, per noi e i nostri germi, è infine connesso all’aumento del tasso di obesità, che secondo studi recenti è andato di pari passo con quello delle allergie. Le due condizioni sono infatti strettamente connesse.

L’obesità si accompagna ad alterazioni della normale flora batterica intestinale. Inoltre, determina uno stato particolare di infiammazione, che attiva i linfociti di tipo Th2, quelli responsabili delle reazioni allergiche.

Lo stesso meccanismo infiammatorio collega anche le allergie all’inquinamento dell’aria, al quale siamo più esposti oggi di un tempo, perché la popolazione che vive in città è aumentata.

Polveri sottili, ozono e ossidi di azoto – i principali componenti dello smog – stimolano infatti la produzione di molecole che favoriscono le infiammazioni: per questo motivo, in corrispondenza dei picchi di inquinamento, i ricoveri per attacchi di asma si impennano.

 

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3. Un buon clima... per i pollini

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Ma la relazione fra ambiente e allergie è ancora più insidiosa se si prende in esame il cambiamento climatico, determinato dall’aumento nell’atmosfera di anidride carbonica (CO2), generata dall’uso dei combustibili fossili.

L’anidride carbonica è l’alimento base delle piante e ne favorisce la crescita. Questo effetto sembra però particolarmente pronunciato per molte specie che producono pollini allergenici.

Diversi studi hanno confermato il dato: per esempio, alcuni anni fa una ricerca coordinata dal Politecnico di Monaco ha trovato che i pollini prodotti da una ventina di piante presenti in Europa, molte delle quali allergeniche, è cresciuto parallelamente all’incremento di CO2 in atmosfera.

Inoltre, si è modificata la composizione dei granuli ed è aumentata proprio la concentrazione delle componenti che scatenano gli attacchi allergici.

A peggiorare il quadro interviene infine l’aumento della temperatura, che ha fatto sì che piante particolarmente allergeniche, come le graminacee, abbiano colonizzato nuovi territori e ha inoltre allungato la stagione dei pollini.

Il cambiamento climatico, insomma, ha tutti gli ingredienti per creare la tempesta perfetta. E in effetti, fuor di metafora, almeno in un caso la tempesta perfetta c’è stata davvero e ha fatto anche parecchie vittime.

L’ultimo a salire sul banco degli imputati è stato il sale: una ricerca pubblicata su Science Translational Medicine lo accusa di essere fra i responsabili dell’aumento delle allergie, perché, stando ai test condotti in laboratorio, favorirebbe la formazione dei linfociti di tipo Th2: quelli responsabili di starnuti e pruriti. Inoltre, sulla pelle di chi soffre di dermatite atopica i ricercatori hanno trovato concentrazioni di sale anomale.

«L’incremento delle allergie», argomentano gli autori, «è andato di pari passo con la diffusione di cibi industriali, che ha determinato un incremento nei consumi di sale nella popolazione».

Lo studio è interessante, ma va confermato da altre ricerche che dimostrino che i livelli di sale che assumiamo normalmente possono davvero determinare l’effetto che è stato osservato in laboratorio.

Se il dato fosse confermato, sarebbe un altro buon motivo per ridurre il consumo di sale, che non fa bene alla salute soprattutto perché fa aumentare la pressione arteriosa.

 

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4. Meteo letale

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Il 21 novembre 2016 a Melbourne, in Australia, era primavera piena.

Attorno alle sei del pomeriggio, a cambiare il volto a una giornata tranquilla fu un violento temporale.

In pochi minuti la temperatura crollò di 10 gradi, l’umidità salì a oltre il 70%, e nelle ore successive i pronto soccorso della città si affollarono di migliaia di persone, per lo più giovani, in preda a crisi respiratorie apparentemente inspiegabili.

Nel corso della notte, e per tutto il giorno seguente, i medici si trovarono ad affrontare un’emergenza senza precedenti: alla fine, i ricoveri furono circa 10.000; 35 persone finirono in terapia intensiva; 10 morirono.

Più della metà dei pazienti non aveva mai avuto crisi di asma prima di allora, ma quasi tutti erano allergici ai pollini. Che cosa era successo?  Quello di Melbourne è il più grave episodio di asma da temporale che si sia mai registrato, ma non è il solo.

Siamo portati a pensare che la pioggia ripulisca l’aria e faccia crollare la concentrazione di pollini, ma in certe condizioni accade il contrario e un temporale primaverile può provocare reazioni allergiche molto gravi.

A scatenare questi eventi concorrono diversi fattori: il vento, che trasporta i granuli di polline verso le nuvole, e l’umidità, che li fa esplodere, frantumandoli in particelle piccolissime.

Infine la pioggia, che li riporta in basso, mentre il brusco calo di temperatura favorisce le infiammazioni delle vie respiratorie e le rende più vulnerabili. Normalmente i pollini si fermano fra naso e gola.

Ma i loro frammenti possono invece raggiungere i bronchi e i polmoni. Questo può scatenare crisi respiratorie gravissime anche in persone che sono solo fortemente allergiche, ma non hanno mai sofferto di asma.

Questi episodi sono molto rari, ma con il cambiamento climatico potrebbero aumentare. Infatti, i temporali violenti in primavera ed estate stanno diventando sempre più frequenti.

 

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5. In 5 sotto accusa e come difendersi

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Ecco i principali fattori per cui siamo più allergici.

1. Troppa pulizia
Gli standard igienici più elevati hanno ridotto il contatto con i batteri, che sono invece necessari al corretto sviluppo del sistema immunitario nella prima infanzia.
2. Antibiotici
L’uso eccessivo di questi farmaci nei bambini e negli allevamenti ha alterato la flora batterica intestinale, che avrebbe un effetto protettivo.
3. Obesità
Anche l’eccesso di peso modifica la microflora intestinale. Inoltre, determina un’infiammazione cronica che favorisce le allergie.
4. Inquinamento
Lo smog causa l’infiammazione delle vie aeree e le rende più vulnerabili, specie nei confronti dell’asma.
5. Cambiamento climatico
Ha allungato la stagione dei pollini e ha fatto sì che piante allergeniche (per esempio, le graminacee) abbiano colonizzato nuovi territori.

Difendetevi così:
Sulle allergie bisogna giocare d’anticipo. Nella prima infanzia si può infatti prevenirne lo sviluppo, facendo sì che i bambini frequentino abitualmente i coetanei, giochino spesso all’aria aperta e abbiano in casa un animale domestico.
Recentemente, poi, la World Allergy Organization ha aggiunto la raccomandazione di assumere alimenti contenenti batteri probiotici (come gli yogurt e i latti fermentati), che arricchiscono la flora intestinale.
Ma il consiglio di agire per tempo vale anche per chi è già allergico: l’immunoterapia permette infatti di desensibilizzare il sistema immunitario, rendendolo meno attivo verso gli allergeni, e riducendo così i sintomi fino ad annullarli.
Per funzionare, tuttavia, deve essere attuata nei mesi che precedono la stagione più critica.
Chi non si è protetto, infine, può gestire starnuti e prurito con i farmaci antistaminici (da assumere dopo aver consultato il medico) ma anche con un po’ di attenzione.
Sono infatti disponibili online i calendari dei pollini, che indicano quali sono i giorni in cui la concentrazione di allergeni è più elevata, durante i quali è comunque meglio tenersi alla larga dai prati fioriti.

 

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