Le 5 malattie più pericolose del cane 1-800x400

Le 5 malattie più pericolose per il nostro cane

Allevare un cane fin da quand'è cucciolo e portarlo sano ed efficiente fino alla vecchiaia è un'esperienza felice, emotivamente gratificante.

Non basta però assicurargli quella salute psichica che al cane deriverà da una buona educazione e dall'equilibrato rapporto di relazione che si instaurerà tra lui e noi, bisognerà anche garantirgli una buona salute fisica perché anche questa sarà una delle basi su cui poggerà una convivenza serena e rispettosa della sua animalità.

Aver cura del cane è anche un dovere a cui non ci si può sottrarre non solo per ovvi motivi di convenienza, ma anche per la responsabilità che ognuno di noi deve assumersi ogni volta che diviene arbitro della vita di un altro essere vivente.

Una premessa va fatta per sgombrare il campo da dannose velleità: mai bisogna sostituirsi al veterinario convinti di potersi fidare del proprio intuito o delle conoscenze apprese dai libri o, peggio ancora, del sentito dire e dei consigli di pseudo esperti che non hanno una laurea a supporto dei loro insegnamenti.

Il veterinario deve essere l'unico interlocutore e il suo numero telefonico deve essere sempre a portata di mano di ciascun componente la famiglia che possiede un cane o un altro animale. Nel momento in cui decidete di portare in casa un cane, diventate responsabili del suo benessere e della sua salute.

Oltre a un’alimentazione, a una cura e a un comportamento corretti, occorre provvedere anche a una sufficiente immunità vaccinica. Le vaccinazioni proteggono il vostro cane contro gravi malattie dalla gioventù fino alla vecchiaia. Oggi esistono affidabili sostanze vacciniche contro patologie infettive contagiose, epatite, leptospirosi, parvovirosi, cimurro, rabbia e tosse canina.

La vaccinazione consiste nell’inoculare sottocute dei germi attenuati (meno pericolosi) che in genere causano la medesima malattia contro la quale si vuole proteggere l’animale. In questo modo il cane produce degli anticorpi e se dovesse trovarsi a contatto con il germe il suo sistema immunitario è pronto a combatterlo.

Il cucciolo appena nato è protetto contro alcune malattie infettive dagli anticorpi che ha ricevuto dalla madre durante la gravidanza, sarà quindi protetto per un certo periodo da anticorpi presenti nel latte della madre, ma dovrà sviluppare un sistema di difesa proprio.

Vaccinando un cucciolo acceleriamo il processo di maturazione del sistema immunitario del cane riducendo il rischio di contagio.

Le medicina veterinaria ha raggiunto negli ultimi anni uno sviluppo notevole avvicinandosi per certi versi alla medicina umana. Le vaccinazioni da fare al proprio cane sono parecchie, alcune sono obbligatorie (cimurro, epatite infettiva, leptospirosi, parvovirosi, e tracheobronchite o tosse canina) ed alcune facoltative e possono essere consigliate dal veterinario in casi specifici. 

Ma nonostante i vaccini, alcuni tipi di malattie molto pericolose e spesso letali, continuano a colpire i nostri amici cani (e non solo).

Oggi parleremo di malattie canine molto pericolose, temibili e (sovente) fatali. Vediamole insieme.

1. La rabbia

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Sviluppatasi nel 1968 a partire da un focolaio localizzato nell'Europa centrale, la rabbia si è estesa sino all'Appennino Tosco-Emiliano.

L'importanza di questa malattia e commisurata alla sua prognosi - sempre fatale sia per l'uomo sia per il cane. La rabbia è conosciuta fin dall'antichità; bisogna però attendere il 19º secolo perché le nozioni su questa malattia contagiosa e trasmissibile all'uomo siano più precise.

E' un veterinario lionese, Victor Galtier, che si deve la dimostrazione del carattere virulento della saliva di un cane affetto da rabbia. In effetti, il coniglio a cui egli aveva inoculato la saliva del cane doveva ben presto presentare i sintomi della malattia. Nella comunicazione presentata il 25 agosto 1879 all'Accademia delle scienze, Galtier utilizzava già il termine "virus rabbico" quando questo non era ancora stato isolato.

Nel 1885 Pasteur dimostrò che il virus distrugge il sistema nervoso e, il 6 luglio 1885, applicò il primo trattamento antirabbico a un bambino alsaziano di 9 anni (Joseph Meister), che era stato morso da un cane affetto da rabbia. Una volta isolato il virus, vennero preparati vaccini sempre più efficaci; oggigiorno, anche se è considerata fra le patologie che si possono prevenire, la rabbia resta una malattia ineluttabilmente mortale per l'uomo. 

In Europa il cane viene generalmente contagiato da volpi, gatti o cani malati. La malattia si trasmette essenzialmente attraverso il morso, poiché è la saliva l'elemento portatore del virus. Dopo un periodo di incubazione variabile, ma sempre lungo (da 15 a 60 giorni), l'animale presenta i primi sintomi della patologia, che si evolve rapidamente verso la morte.

È tuttavia necessario sapere che la secrezione del virus nella salina comincia parecchi giorni prima (12 al massimo) dell'apparire dei primi sintomi (fase di "virulenza presintomatica della saliva"). Questo è il motivo per il quale la legislazione italiana obbliga a porre i cani che mordono sotto osservazione per 10 giorni, termine che oltrepassa la durata massima della virulenza asintomatica della saliva.

Durante tale periodo, un controllo veterinario permetterà di verificare se l'animale non presenti alcun segno di rabbia o, al contrario, di osservare l'evoluzione clinica della malattia e di prendere in questo caso tutte le misure necessarie per curare efficacemente le persone che sono entrate in contatto con l'animale. La rabbia è una malattia virale, che causa principalmente una meningoencefalite le cui manifestazioni possono essere estremamente diverse.

"Tutto è rabbia e nulla è rabbia". Tale diversità si spiega con la molteplicità di localizzazione del virus nel sistema nervoso centrale. Ciò malgrado, e di qualunque tipo siano le sue manifestazioni, la malattia evolve inesorabilmente verso la morte. Clinicamente si manifesta con turbe nervose, che determinano disturbi psichici (forma furiosa), motori (forma paralitica: rabbia muta), o organico-vegetativi.

Le turbe psichiche sono molteplici: si traducono in una prostrazione o al contrario in una continua agitazione, in disturbi del comportamento con sviluppo dell'aggressività, e per i quali l'animale talvolta emette ringhi o addirittura
ululati (ululati della rabbia). I disturbi motori sono caratterizzati dalle paralisi: paralisi della mandibola inferiore (che diviene pendente), che si accompagna a una imponente salivazione e a una incapacità di abbaiare (rabbia muta); paralise degli arti (emiplegia, paraplegia).

I disturbi organico-vegetativi interessano lo stomaco e l'intestino; in certi casi può essere presente il prurito. L'evoluzione della malattia qualunque sia la sua forma, va da 3 a 5 giorni. Nessuna diagnosi clinica è possibile, essendo numerose le patologie con sintomi simili a quelli della rabbia (cimurro, toxoplasmosi, pseudorabbia o morbo di al Aujesky, tetano, corpi estranei nella gola, intossicazioni, trauma del rachide, tumori del sistema nervoso, ecc.).

Soltanto ricerche di origine epidemiologico possono orientare la diagnosi, che però non è confermabile se non dopo la morte dell'animale, in seguito al ritrovamento nel sistema nervoso centrale di segni dell'infezione. La morte del cane sopraggiunge generalmente in modo naturale, ma è possibile che si decide di sopprimere l'animale (solo il servizio veterinario statale e autorizzato a praticare l'eutanasia a un cane rabbioso) nel caso in cui rappresenti un pericolo evidente.

Tale misura deve comunque rimanere una eventualità eccezionale, anche perché si oppone alle tecniche di ricerca del virus nel cervello. Esse consistono nell'evidenziare, mediante immunofluorescenza, l'antigene virale in una particolare zona del cervello, il corno di Ammone, e nel ricercare specifiche inclusioni nelle cellule nervose del corno di Ammone (corpi di Negri).

Il virus responsabile della rabbia è un rhabdovirus in cui l'acido nucleico è un RNA, a forma di obice irta di spicole. L'RNA è ricoperto da un involucro proteico elicoidale: la nucleocapside. Questa è a sua volta circondata da una membrana costituita da lipidi e da due proteine codificate dal virus. Una di queste proteine è un enzima (transcriptasi) che permette di produrre particelle virali in seno alla cellula infetta mentre l'altra forma le spicole.

Quest'ultima proteina gioca un ruolo importante dato che attiva nell'organismo infetto una reazione di difesa, grazie alla quale si arriva alla sintesi di anticorpi in grado di neutralizzare il virus e all'afflusso di linfociti T intorno alle cellule infette. Dopo il morso o il graffio da parte di un animale rabbico, il virus in un primo tempo si moltiplica nel punto di inoculazione nelle cellule muscolari, poi colonizza il sistema nervoso.

Avanzando dapprima verso i centri nervosi superiori, ridiscende quindi alla periferia, occupando l'intero percorso di nervi. A questo stadio il virus è presente nella saliva e i sintomi clinici sono sul punto di diventare palesi. Uno dei metodi diagnostici per identificare la malattia è quello di evidenziare il virus in una zona particolare del cervello (il corno di Ammone). A questo scopo si ricorre all'esame istologico oppure all'immunofluorescenza.

Se il vostro cane morde una persona, dovete: 

  • pulire la ferita con acqua e sapone; 
  • disinfettare con soluzioni a base di sali di ammonio quaternario; 
  • consigliare la persona morsa di consultare il medico; 
  • porre l'animale sotto sorveglianza veterinaria per 10 giorni; 
  • avvertire il vostro assicuratore (responsabile civile), se è stata stipulata una polizza assicurativa.

2. Il cimurro

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Prima dell'esistenza della vaccinazione sistematica contro questa temibile malattia, i cani, e soprattutto i cuccioli, morivano a migliaia. La situazione è oggi notevolmente migliorata, ma la percentuale di decessi è ancora notevole.

Il cimurro, che colpisce i cani e altri carnivori, è una malattia contagiosa e virulenta dovuta a un virus specifico. Chiamata ancora malattia della giovane età, questa affezione, la cui evoluzione è spesso mortale, è presente in Europa dal 17º secolo. Fu descritta per la prima volta nel 1809 da Jenner (medico inglese al quale si deve il vaccino contro il vaiolo), ma fu Carrè, nel 1905, a scoprirne la causa.

Se, in normali condizioni, il cane è bersaglio principale del virus, altri carnivori possono ugualmente esserne colpiti: il furetto in particolare, ma anche la volpe, il lupo e il visone. Da qualche anno, la diffusione di questa malattia
si è notevolmente ridotta grazie alla vaccinazione.

Attualmente il cimurro colpisce animali non vaccinati, giovani o adulti, o cani già vaccinati che non abbiano ricevuto nessuna iniezione di richiamo (caso di cani adulti). Infine, non è raro constatare dei casi di cimurro in cani correttamente vaccinati ma a scadenza di immunizzazione.

Dopo un periodo di incubazione, che vanno generalmente dai 3 ai 7 giorni, l'animale presenta febbre alta (40 °C), il naso e gli occhi colano, l'appetito diminuisce. Questa fase dura 2 o 3 giorni, poi sopravvengono i sintomi classici della malattia:

  • sintomi digestivi (diarrea, vomito, stomatite, tonsillite);
  • sintomi respiratori (tosse, dispnea, emissioni muco purulente in caso di sovrainfezione batterica);
  • sintomi oculari (congiuntivite purulenta);
  • sintomi cutanei (pustole; 
  • sintomi nervosi (convulsioni, paralisi, contrazioni muscolari, polinevrite, meningoencefalite).

 

Questi sintomi polimorfi sono diversamente associati nello stesso animale. In genere la malattia evolve verso la morte nel giro di qualche giorno o, al massimo, di qualche settimana. Nella migliore delle ipotesi, cioè in caso di guarigione, le conseguenze neurologiche sono frequenti (epilessia, convulsioni, paralisi). Si osservano a volte delle forme croniche, in particolare forme nervose isolate, senza altre manifestazioni cliniche.

Non esiste alcun trattamento specifico per il cimurro. I sieri non hanno alcuna utilità. In generale si prescrivono degli antibiotici al fine di prevenire o di trattare le complicazioni batteriche secondarie (essenzialmente a livello respiratorio). Dei trattamenti sintomatici vengono prescritti in caso di congiuntivite, diarrea, vomito. Tenendo conto di tutto ciò la vaccinazione si rivela di estrema importanza.

La vaccinazione contro il cimurro è molto efficace e non pericolosa. Il vaccino viene preparato su colture cellulari a partire da virus vivi modificati. La vaccinazione può essere eseguita fin dall'età di 2 mesi, nel qual caso bisogna praticare una seconda iniezione di richiamo un mese più tardi. A partire dai 3 mesi una sola iniezione è sufficiente. I richiami, che si effettueranno ogni 12 mesi, devono essere ripetuti per tutta la vita dell'animale.

In generale questo vaccino viene associato ad altri: epatite di Rubarth, leptospirosi, parvovirosi, rabbia. L'agente responsabile di questa malattia è un virus appartenente alla stessa famiglia di quello della rosolia e della peste bovina. Questo virus, estremamente fragile, può essere coltivato in vitro su delle cellule renali di cane così come su altri sistemi cellulari; questa possibilità è sfruttata per la produzione del vaccino.

Le particelle virali lasciano in tutte le cellule delle tracce del loro passaggio sotto forma di inclusioni caratteristiche: sono proprio queste ultime che vengono ricercate in laboratorio al fine di poter formulare una diagnosi precisa, attraverso analisi eseguite sull'epitelio bronchiale, intestinale che vescicale.

Il virus che provoca il cimurro ha una predilezione per le cellule epiteliali nervose. Inoltre, quando la malattia è spontanea, si possono ricercare altri segnali dell'infezione, in particolare negli anticorpi.

3. Le leptospirosi canine

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Le leptospirosi sono malattie batteriche comuni a numerose specie animali, dal cane...all'uomo.

I batteri che causano queste malattie attaccano soprattutto i roditori (il topo nero, il topo di fogna) e i porcospini (si dice che siano dei nidi d'infezione). Questi piccoli mammiferi non sembrano patire tale infezione ed elimino le leptospire con le urine. Una volta escreti, i batteri per sopravvivere devono trovare condizioni favorevoli, vale a dire un ambiente umido. Infatti, le leptospire si sviluppano specialmente nell'acqua: stagni, fiumi, pozze, canali.

Le leptospire, che gli specialisti classificano nella famiglia delle spirochete, si presentano sotto forma di fini filamenti spirali (da 20 a 30 spire serrate) che misurano da 6 a 15 μm circa di diametro. Tali batteri, molto mobili, cono animati sia da movimenti elicoidali sia da movimenti di arresto e di inflessione. La microscopia elettronica mette in evidenza una struttura adattata al movimento in ambiente acquatico.

L'animale sano si contamina sia per contatto diretto con l'animale infetto (morso) sia per contatto indiretto (attraverso un ambiente o degli oggetti infetti). I germi penetrano nell'organismo attraverso le mucose, la pelle, gli occhi.

L'uomo contrae la malattia attraverso il contatto con animali malati o con un ambiente infetto. In Italia le leptospirosi canine sono trasmesse principalmente dai topi e tutte le misure di prevenzione debbono tener conto di questo fatto.

Numerosi sierotipi possono infettare il cane, ma 2 sono i più frequenti: Leptospira ictero-haemorragiae  e Leptospira canicola. Nel cane le leptospirosi si manifestano in 3 forme cliniche: gastroenterite emorragica, ittero e nefrite.

La prima, detta anche morbo di Stuggart o tifo canino, è dovuta alla Leptospira ictero-haemorragiae o alla Leptospira canicola. Questa forma di gastroenterite associa vomito emorragico e una profusa diarrea, pure emorragica, a un'insufficienza renale acuta.

La forma itterica è data esclusivamente dalla Leptospira ictero-haemorragiae. in questo caso problemi digestivi, con vomiti e diarree, si aggiungono a un ittero di color giallo arancio fiammeggiante e a una sindrome emorragica che si traduce in piccole macchie rosse (petecchie) sulle mucose. La nefrite leptospirosica è provocata dalla Leptospira canicola. Le lesioni renali causano una sindrome uremica acuta.

Esistono forme meningee, forme oculari e forme inapparenti, queste ultime particolarmente pericolose, poiché gli animali che ne sono affetti spargono, all'insaputa di tutti, i batteri attraverso le urine e diffondono in questo modo la malattia.  Diagnosticare una leptospirosi è difficile.

Numerosi metodi possono essere utilizzati: evidenziazione della presenza del germe nel sangue - per emocoltura nel corso dei primi 6 giorni della malattia - o nelle urine; inoculazione di sangue o di urina a un animale sensibile (cavia, criceto); diagnosi sierologica mediante la ricerca di anticorpi specifici (reazioni di agglutinazione-lisi). 

Nelle forme classiche della malattia la prognosi è molto sfavorevole condizionata essenzialmente dal grado in cui sono stati attaccati i reni. Malgrado l'utilizzo di tecniche specifiche di rianimazione medica, la guarigione è sempre un fatto del tutto eccezionale.

La prevenzione delle leptospirosi è al tempo stesso sanitaria e medica. La profilassi sanitaria mette l'accento sulla distruzione dei topi, principali nidi d'infezione, ma anche sul prosciugamento dei terreni fangosi e paludosi e sulla disinfestazione dei locali.

La profilassi medica consiste essenzialmente nella vaccinazione. I vaccini, il cui valore immunogeno non è eccellente, sono composti da leptospire rese inattive dalla formalina. Ma soltanto 2 sierotipi sono presenti nei vaccini: L. icterohaemorragiae e L. canicola il che spiega l'insucesso della vaccinazione in caso di contaminazione da parte di altre leptospire.

Per il cane da caccia, più esposto di altri all'infezione, è consigliabile praticare tale vaccinazione 2 volte all'anno, per tutta la vita dell'animale. Per cani che vivono in ambienti meno ostili, una vaccinazione annuale è sufficiente, ma non si dovranno mai dimenticare i richiami.

4. La parvovirosi

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La parvovirosi canina è una malattia infettiva e contagiosa dovuta a un virus particolarmente piccolo: il parvovirus.

Questo virus si incontra non solo nel cane, ma anche in numerose altre specie animali (topo, ratto, coniglio, visone, gatto, maiale, bovino, oca, anatra). La malattia si manifesta principalmente con una gastroenterite emorragica, che può essere mortale, soprattutto per i cuccioli.

La patogenesi dell'infezione può essere schematizzata nel modo seguente: il virus ingerito o inalato è intercettato dal tessuto linfoide faringeo, quindi si diffonde nell'organismo, nel quale le cellule bersaglio sono principalmente quelle a tasso di rinnovamento elevato. Questa prima localizzazione provoca un'immunodepressione, talvolta grave, che favorisce le complicazioni batteriche.

A partire dalle cellule immunocompetenti infettate il virus raggiunge i linfonodi dell'apparato digerente, principalmente i linfonodi mesenterici, per infettare alla fine le cellule intestinali. Negli animali molto giovani, nati da madri non vaccinate, la localizzazione cardiaca era molto frequente ancora qualche anno fa. 

Dopo la realizzazione di un vaccino efficace, le localizzazioni cardiache, responsabili di miocarditi mortali, sono in pratica scomparse. Bisogna peraltro aggiungere che la ricettività al virus è legata allo stato generale dell'animale: il parassitismo, la malnutrizione, le infezioni intercorrenti, lo stato immunitario, l'igiene dei locali sono altrettanti fattori che modulano lo sviluppo o la gravità dell'infezione virale.

Il parvovirus canino si sviluppa essenzialmente nelle cellule a rapida crescita. In condizioni naturali, perciò, esso infetta le cellule intestinali, il tessuto linfonoide, il cui tasso di rinnovamento è elevato, ma anche (per gli stessi 
motivi) il tessuto cardiaco e, nei cuccioli, i timo. Queste localizzazioni spiegano le principali manifestazioni cliniche provocate dal parvovirus.

I parvovirus sono virus il cui acido nucleico è un DNA; misurano da 20 a 25 nm sono costituiti da 32 capsomeri. Questi virus resistono molto bene agli antisettici e alla temperatura. Quando infettano delle cellule sensibili, le particelle virali provocano un'inclusione specifica e suscitano nell'organismo infettato la produzione di anticorpi emoagglutinanti, ossia in grado di agglutinare i globuli rossi. Queste proprietà sono sfruttate per la diagnosi della malattia in laboratorio.

Clinicamente, la parvovirosi canina si manifesta con una febbre fugace, accompagnata da una diminuzione del tasso di globuli bianchi (leucopenia) con segni di gastroenterite emorragica. Il vomito e la diarrea provocano un'intensa disidratazione, con un rapido dimagrimento. Dato il suo carattere contagioso, la malattia può prendere una svolta catastrofica, in particolare se gli esposti al contagio sono numerosi.

Nei cuccioli di qualche settimana di età si possono osservare segni di attacco cardiaco, seguiti da una rapida morte. La diagnosi di parvovirosi può essere formulata con certezza solo sulla base di diversi esami di laboratorio.
Non esiste alcun mezzo per neutralizzare i virus e pertanto il trattamento si limita ai sintomi, mira cioè a lottare contro le infezioni secondarie di origine batterica, la disidratazione e le emorragie gastrointestinali.

Sono pertanto necessari antibiotici, soluzioni reidratanti e, talora, trasfusioni di sangue. La prognosi della malattia è sempre grave e tanto più grave quanto più l'animale è giovane e lo stato di shock notevole. Fortunatamente la profilassi si rivela sempre più efficace.

Se nel 1978-79, data della sua comparsa in Italia, la parvovirosi ha mietuto diverse vittime tra i cani giovani e adulti, oggi questa malattia si osserva essenzialmente negli allenamenti, dove colpisce soprattutto i cuccioli di età compresa tra le 4 e le 8 settimane; dopo questa età gli anticorpi materni sono praticamente scomparsi e la vaccinazione ha pieno effetto, poiché la produzione di anticorpi vaccinali è in tal caso massima.

Inoltre, i cuccioli colpiti dalla malattia soffrono solo di disturbi digestivi, perché le forme cardiache sono oggi praticamente scomparse. Nell'adulto la vaccinazione ha dato eccellenti risultati. Solo gli animali non vaccinati o mal vaccinati (mancanza di richiamo) e quelli con immunità interrotta sono esposti al contagio.



5. L'ehrlichiosi canina

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Per molti proprietari di cani, le zecche ricordano immediatamente la piroplasmosi (o babesiosi). Peraltro, questi acari possono anche essere responsabili di altre malattie, in particolare dell'ehrlichiosi. 

L'ehrlichiosi è una malattia infettiva provocata da una rickettsia, cioè da un microrganismo simile ai batteri, e trasmessa dalle zecche di tipo Rhipicephalus sanguineus. La malattia venne osservata per la prima volta in Algeria nel 1935, poi in Francia , in cani che vivevano sulle coste del Mediterraneo. in seguito è stata segnalata in diverse aree: nelle Antille, in Asia (Vietnam) e negli Stati Uniti.

La rickettsia responsabile, Ehrlichia canis, alloggia nel sangue e, più precisamente nei globuli bianchi mononucleari. In natura il parassita viene trasmesso dalla zecca di tipo Rhipicephalus sanguineus. Una volta infestato, in assenza di trattamento, il cane sembra che diventi un portatore permanente; costituisce dunque una riserva di germi, in quanto la zecca è solamente un vettore.

Altre malattie parassitarie possono essere trasmesse contemporaneamente alla ehrlichiosi, in particolare la piroplasmosi e la leishmaniosi

Descritta da Donatien e Lestoquard, la malattia  si presenta sotto forme cliniche molto diverse  e non si  limita, come si è voluto credere, alla forma americana conosciuta sotto il nome di "pancitopenia tropicale". Quest'ultima, caratterizzata da emorragie nasali accompagnate da febbre persistente e che evolve inesorabilmente verso la morte, fu osservata nei cani dell'esercito americano che avevano partecipato alla guerra in Vietnam.

Secondo i risultati sperimentali, l'ehrlichiosi si manifesta in un periodo che va dai 10 ai 20 giorni dopo la puntura della zecca infestante. Appaiono allora dei sintomi caratteristici: febbre, anoressia, naso che cola, a volte in forma emorragica (epistassi), anemia, diminuzione delle piastrine (trombocitopenia).

Nel cucciolo, degli scompensi nervosi e un aumento del volume della milza (splenomegalia) possono rendere ancora più grave il quadro generale. Nell'adulto, esistono delle forme croniche caratterizzate da una sindrome emorragica diffusa, da edemi, febbre, emorragie oculari e da anemiaL'evoluzione avviene generalmente in 2 tempi: a una prima fase acuta, che dura da 4 a 6 settimane circa, succede una fase cronica

La diagnosi di questa malattia si fonda contemporaneamente sull'esame clinico e sui risultati di laboratorio. Il solo esame clinico dell'animale non può permettere al veterinario di constatare in maniera certa una ehrlichiosi; tutt'al più si può supporre la presenza della malattia tenendo conto dei sintomi constatati e delle informazioni fornite dal proprietario dell'animale rispetto a un eventuale soggiorno dell'animale in una zona endemica della malattia.

La diagnosi non può essere ammessa con certezza se non dopo aver messo in evidenza diretta l'agente responsabile nelle cellule mononucleate del sangue (monociti). Anche se è relativamente facile, la ricerca dei parassiti nel sangue circolante spesso non permette che di porre una diagnosi per difetto, e può rendersi necessario il ricorso a un ago aspirato polmonare, in quanto questo organo è ricco di monociti.

Ai nostri giorni, la sierologia dà la possibilità per immunofluorescenza, di scoprire la presenza nel siero di anticorpi diretti contro l'Ehrlichia canis. Questo esame è estremamente affidabile dal momento che permette di riconoscere la malattia nel 94% dei casi.

Il trattamento dell'ehrlichiosi fa appello alla somministrazione di antibiotici (tetracicline). Questo tipo di trattamento è efficace nelle forme acute, mentre per quanto riguarda le forme croniche la prognosi resta riservata. È importante ricordare che il fatto di aver avuto una ehrlichiosi non protegge contro nuove eventuali infezioni da Ehrlichia canis.






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