6 storie che sfidano la logica e l’ordine naturale delle cose

Fate che volteggiano lungo un torrente inglese, un intero equipaggio scomparso da un brigantino, reperti dell’antico Egitto scoperti nel Grand Canyon, resti umani inceneriti: nessuna spiegazione convincente ha risolto questi enigmi. E il mistero continua…

Di fronte ad avvenimenti dai contorni poco chiari, l’opinione pubblica cerca di immaginare altre verità. O spiegazioni che li rendano più intriganti. E mai come nella nostra epoca c’è una gran voglia di vedere ovunque complotti e credere a notizie improbabili.

Ma se la verità fosse più semplice? Se le cause fossero da ricercare nell’ordine naturale delle cose? Quegli eventi perderebbero gran parte del loro fascino.

Oggi abbiamo scelto cinque misteri irrisolti, sui quali gli studiosi indagano ancora alla ricerca di una spiegazione convincente, e… un imbroglio.

Beat to Quarters — Mary Celeste

1. Le fate di Cottingley non sono mai esistite, ma molti le credettero vere

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Nel 1919 all’incontro annuale della Theosophical Society, associazione inglese che si occupava di misteri e parapsicologia, la signora Polly Wright mostrò 5 foto scattate vicino al torrente di Cottingley in cui la figlia Elsie (16 anni) e la nipote Frances (10) giocavano con le fate.

La notizia suscitò grande interesse ma fu quando le foto furono ritenute autentiche da uno degli intellettuali più rispettati dell’epoca, Sir Arthur Conan Doyle, autore di Sherlock Holmes, che la vicenda coinvolse l’opinione pubblica.

Lo scrittore volle conoscere la famiglia Wright, che giudicò assolutamente rispettabile. Al contrario Sir Oliver Lodge, celebre studioso di fisica, considerò quelle foto dei falsi. Da allora molti hanno analizzato le immagini che, ovviamente, hanno le sfocature tipiche dell’epoca.

Fu solo negli anni ’80 che Frances confessò che avevano inventato tutto: erano cadute in acqua e per non essere rimproverate avevano detto di aver visto le fate. A prova di ciò si fotografarono con delle sagome di cartone ritagliate da un libro di fiabe tenute su da fili e spilli.

Lo stesso Doyle aveva scambiato la capocchia degli spilli per l’ombelico di fate e gnomi. Usarono la macchina fotografica a lastre del padre di Elsie, che si dichiarò sempre scettico e, pur stimando Doyle, si domandava come sua figlia, “l’ultima della classe!”, fosse riuscita a imbrogliarlo.

Le due cugine, imbarazzate dal clamore raggiunto dalle loro foto, non avevano rivelato la verità. Eppure fino alla morte, nel 1986, Frances sostenne l’autenticità della quinta foto, insistendo di aver visto realmente le fate.

2. L’America fu scoperta dagli antichi Egizi?

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Il 5 aprile 1909 l’Arizona Gazette pubblicò la notizia che nel Grand Canyon era stata scoperta una caverna in cui vi erano armi, oggetti di rame, tavolette con geroglifici, gioielli, statue e mummie.

Nel 1982 in una grotta nell’Illinois l’ex militare Russel Burrows trovò invece oltre 4.000 frammenti di roccia, incisi con scritte ebraiche, sumere, romane, greche, egizie e altro.

Da tempo gli studiosi sono convinti che altri popoli raggiunsero le Americhe prima di Cristoforo Colombo: i Vichinghi circa 1.000 anni fa e i Cinesi intorno al 1420. Ma i primi sarebbero stati gli Egizi, nel 1000 a.C.

Lo conferma la scienziata tedesca Svetla Balabanova (foto sotto), che nel 1992 tra le bende di una mummia di 3.000 anni fa aveva trovato tracce di tabacco e coca, sconosciuti in Europa fino all’800.

Lo scrittore Fred Rydholm, autore di The mystery cave of many faces, è convinto invece che l’America fosse stata raggiunta da rifugiati dell’Egitto tolemaico su navi fornite dal re della Mauritania Giuba II e da sua moglie Cleopatra Selene, figlia di Cleopatra e di Marco Antonio.

Con loro dovevano viaggiare anche i due fratelli della regina, scomparsi da Roma nel 17 d.C., Tolomeo Filadelfo e Alessandro Helios.

Altri parlano di un gruppo di sacerdoti e membri della famiglia reale partiti intorno al 250 d.C. per sfuggire alla dominazione romana e alla cristianizzazione.

Il dibattito è aperto ma diversi elementi fanno riflettere: gli antichi popoli americani rappresentavano le divinità con la pelle chiara, scolpivano teste gigantesche con sembianze africane e alcune località del Grand Canyon hanno nomi come Tempio di Iside (foto sotto), Torre di Set, Torre di Ra, Tempio di Horis, Tempio di Osiride, che sembrano confermare la connessione con l’antico Egitto.

3. Chi ha ucciso gli studenti in un campeggio in Siberia?

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Quando il 26 febbraio 1959 i soccorritori raggiunsero il campo degli studenti del Politecnico degli Urali sul monte Cholatcachl, videro uno spettacolo agghiacciante.

La tenda era squarciata e i corpi, anneriti e sparsi sul pendio, avevano fratture a cranio e torace. Ad alcuni mancavano occhi, lingua, mascella.

Pur essendo a 30 °C sotto zero, indossavano solo biancheria intima. Gli studenti erano partiti il 23 gennaio per scalare il monte Otorten, in Siberia.

Il giorno seguente uno di loro tornò indietro per problemi di salute. Gli altri proseguirono in treno, in camion, con gli sci, attraversando foreste innevate e laghi gelati. Diari e macchine fotografiche permisero di ricostruire gli eventi fino al 1o febbraio.

Per il peggioramento del tempo, dovettero accamparsi su un pendio ghiacciato. Alle 17 avrebbero cenato e preparato i letti. Ma dopo mezzanotte qualcosa dovette spingerli a scappare.

Al buio e sferzati da un vento gelido dovettero provare a rifugiarsi nel bosco, dove in tre ore morirono assiderati.

Si ipotizzò che gli studenti fossero stati assaliti dalla locale tribù dei Mansi, da uno yeti o da UFO (alcuni testimoni notarono luci arancioni nei cieli della zona).

Secondo l’unico sopravvissuto, si erano accampati in un’area militare ed erano stati uccisi per aver scoperto un’arma segreta (da cui le scie luminose, i rottami metallici ritrovati, gli alti valori di radiazioni sui corpi).

Dopo l’incidente la zona fu interdetta per tre anni. L’inchiesta dichiarò che gli escursionisti erano morti per una “irresistibile forza sconosciuta”. Ma il mistero non è mai stato chiarito.

4. Perché l’equipaggio del brigantino Mary Celeste è scomparso e dove sono finiti i coloni dell’isola Roanoke?

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- Perché l’equipaggio del brigantino Mary Celeste è scomparso?
Il 4 dicembre 1872 il capitano Morehouse (foto sotto) della nave Dei Gratia avvistò un brigantino in difficoltà al largo delle Azzorre: era la Mary Celeste, col cui comandante aveva cenato prima di partire.
Fece avvicinare la sua nave e i suoi uomini salirono a bordo: la Mary Celeste risultò deserta.
Orologio e bussola erano rotti e mancavano mappe nautiche, sestante, cronometro, documenti di carico, la ringhiera a prua e la scialuppa di salvataggio.

Nella stiva invasa dall’acqua, dei 1.701 barili presenti 9 erano vuoti: se l’alcol fosse evaporato, avrebbe provocato l’esplosione della nave. C’erano scorte alimentari, i piatti pieni in sala da pranzo, risparmi ed effetti personali nelle cabine e armi sotto il letto del capitano.
Sul diario di bordo l’ultima annotazione del 25 novembre segnalava un forte vento. Per le indagini e anche per rivendicare i diritti di salvataggio la Mary Celeste fu rimorchiata a Gibilterra.
Il brigantino era salpato da New York per Genova il 5 novembre. L’equipaggio era composto da 7 marinai più il capitano Briggs, la moglie Sarah e la figlia Sophia di due anni.
Nessuno fu mai ritrovato. Nel 1873 furono recuperate due scialuppe di salvataggio al largo della Spagna con 5 corpi impossibili da identificare.
La vicenda della Mary Celeste sarebbe stata dimenticata se non avesse ispirato allo scrittore Arthur Conan Doyle un racconto pubblicato sul Cornhill Magazine.

 

- Dove sono finiti i coloni dell’isola Roanoke?
Nell’agosto 1590 l’esploratore John White, incaricato dalla regina inglese Elisabetta I di colonizzare lo stato americano della Virginia, ritornò sull’isola di Roanoke, di fronte alla Carolina del Nord, dove era già stato tre anni prima lasciandovi 115 coloni.
Quando giunse nella colonia, però, la trovò disabitata. Su un albero c’era scritto “Croatoan”, nome di un’isola vicina.
La colonizzazione di Roanoke era stata difficile: il comandante della prima spedizione era impazzito e del primo contingente rimasto sul posto gli esploratori successivi avevano trovato solo uno scheletro.

Finché il 22 luglio 1587 erano sbarcati i nuovi coloni – tra cui White – che avevano instaurato rapporti pacifici con i nativi. Dopo qualche tempo, l’esploratore era tornato in patria per avere rinforzi e rifornimenti.
Al ritorno nel 1590 l’amara sorpresa. Che fine avevano fatto i coloni? Uccisi dagli indigeni o dai conquistatori spagnoli? Travolti da un uragano? Decimati da una epidemia? Emigrati su un’altra isola? Nessuno lo ha mai saputo.
Oggi, anche se indagini sul DNA lo hanno escluso, diversi locali affermano di essere discendenti dei coloni spariti.
Le ultime scoperte risalgono al 2015: la National Geographic Society, in una campagna di scavo sulla vicina isola di Hatteras, ha riportato alla luce stoviglie di fattura inglese, l’elsa di una spada, pezzi di uno scrittoio.
Potrebbero anche essere oggetti recuperati dagli indigeni dal villaggio abbandonato.





5. La contessa Cornelia Zangari morì davvero per combustione spontanea?

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La sera del 14 marzo 1731, come sempre la contessa cesenate Cornelia Zangari, 62 anni, nonna di papa Pio VI, fu aiutata dalla cameriera a svestirsi. Poi disse le preghiere.

Quando però, l’indomani mattina, la domestica entrò nella stanza, di lei non rimaneva che una massa nera bruciata dal fuoco, dalla quale spuntavano metà cranio, mento, tre dita della mano e le gambe dalle ginocchia in giù ancora con le calze.

Le fiamme non avevano bruciato né tende né mobili e le lenzuola del letto erano scostate come se la donna ne fosse scesa in fretta.

Sulle cause dell’accaduto si fecero varie ipotesi: evento diabolico, fulmini globulari, gas intestinali, scariche elettriche, miniere di zolfo sotto il palazzo, sudore alcolico, uso di canfora, farmaci o sostanze stupefacenti.

Il sacerdote Giuseppe Bianchini in Parere sopra la cagione della morte della contessa Zangari (1758) parlò per primo di “combustione umana spontanea”: «Credo addunque che la pia Dama venisse incenerita dal calore che nelle interiora se le insinuò. È dimostrato che le materie che il corpo nostro compongono sono in gran parte molto atte alla combustione e casi abbiamo di acute febbri che hanno le ossa incenerite».

Gli scienziati però non considerano la combustione umana spontanea un fenomeno reale. Ma viene da chiedersi: come fa un corpo a bruciare in pochi minuti quando in un forno crematorio occorre più di un’ora a 1.000° C?








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